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Paolo Sarpi Istoria del Concilio tridentino IntraText CT - Lettura del testo |
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[Il papa, sdegnato contra Cesare, richiama il suo nepote legato. Cesare si rende padrone della Germania] Mentre in Trento queste cose si trattano, il papa, ricevuto aviso dal cardinale Farnese e considerato con quanto poca sua riputazione un legato apostolico stava in Ratisbona mentre le sue genti erano in campo, lo ricchiamò: con lui partí un buon numero de gentiluomini italiani della gente ponteficia. Al mezo d'ottobre i doi esserciti si ritrovarono a Santhen tanto vicini, che solo un picciol fiume era in mezo tra loro, e cosí stando Ottavio Farnese, mandato da Cesare con le genti italiane e con altri tedeschi aggiontigli, prese Donavert, quasi sugl'occhi dell'essercito nimico, il quale, non avendo fatto alcuna impresa mentre s'era trattenuto in Svevia, se non tenere l'imperatore impedito, al novembre fu costretto d'abandonar quel paese per una gran diversione fatta da' boemi et altri della fazzione imperiale contra la Sassonia et Assia, luoghi de' due capi protestanti, che si retirarono alla difesa delle cose proprie, lasciando la Germania superiore a discrezione di Cesare, e fu causa che alcuni prencipi e molte delle città collegate inclinarono ad accommodarsi con lui, avendo onesta cauzione di tener la loro religione: ma egli non volle che in scritta se ne facesse menzione, a fine che non paresse la guerra fatta per quella causa, che sarebbe stato un offender quelli de' suoi che lo seguivano, difficoltare la dedizione degli altri, et insospettire anco gli ecclesiastici di Germania che speravano veder restituito il rito romano in ogni luogo; i ministri suoi nondimeno davano parola a tutti che non sarebbono molestati nell'uso della religione, scusando il padrone se per molti rispetti non poteva sodisfargli di farne capitulazione, et egli operava in maniera che appariva ben chiara la deliberazione sua di contentargli con la connivenza. In queste dedizioni acquistò Cesare numerosa quantità d'artegliaria e cavò dalle città per raggione di condanna molti danari alla somma d'assai centenara di migliara, e, quel che piú di tutto importa, restò assoluto patrone della Germania superiore. Questa felicità diede molta gelosia al pontefice e gli fece metter pensiero alle cose proprie prima che tutta Germania fosse posta in obedienza. Le genti sue sotto il nipote Ottavio erano molto diminuite in numero per i già partiti col cardinale Farnese e per altri sfugiti alla sfilata per i disaggi. Quel rimanente, al mezo di decembre, ritrovandosi l'essercito imperiale allogiato vicino alla villa di Sothen, partí tutta per ordine del pontefice, dal quale ebbe il nipote Ottavio commandamento di ritornare in Italia e dire al suocero che, essendo finiti i sei mesi, il papa non poteva piú sostener tanta spesa; che era finito il tempo dell'obligazione e ridotto ad effetto quello per che la lega fu contratta, cioè ridotta la Germania in obedienza; con gran querela dell'imperatore che fosse abandonato aponto nella opportunità di far bene e quando piú l'aiuto gli bisognava; perché niente era fatto, quando non fossero oppressi i capi, quali non si potevano dir vinti per esser retirati alla difesa delli Stati proprii; da che, quando fossero liberati, era da temere che ritornassero con maggiori forze et ordine che prima. Ma il papa giustificava la raggione sua di non continuare nella lega e la partita de' suoi con dire che non era fatto partecipe degli accordi fatti con le città e prencipi, che non si potevano stabilire senza lui; e massime che anco erano conclusi in molto pregiudicio della fede catolica, tolerando l'eresia che si poteva esterminare; che egli non aveva, secondo i capitoli della confederazione, participato degli utili della guerra, né de' danari tratti dalle terre accordate; che l'imperatore si doleva di lui quando egli era l'offeso e vilipeso, con danno anco della religione. Né contento di questo, negò anco all'imperatore che potesse continuar a valersi de' danari delle chiese di Spagna oltra i sei mesi: e quantonque i ministri di Cesare facessero con lui replicati e potenti ufficii, mostrando che la continuazione della causa per che furono concessi ricercasse anco che si continuasse la concessione e che l'opera resterebbe vana e senza frutto, quando non si conducesse al fine la guerra, non potero moverlo dalla risoluzione presa. Successe anco che, essendo nata una congiura pericolosa in Genova, che quasi ebbe effetto, dalla famiglia Fiesca contro la Doria che seguiva le parti imperiali, ebbe l'imperatore per certo che il duca di Piacenza, figlio del papa, ne fosse stato l'autore e credette che dal papa venisse, e non si astenesse di aggiongere questa querela alle altre. Il papa teneva per fermo che l'imperatore sarebbe occupato in Germania per longo tempo e senza poterlo offendere con forze temporali, ma temeva che, col far andar i protestanti al concilio, potesse eccitargli qualche travaglio. Il rimedio di separare il concilio gli pareva troppo violento e scandaloso, massime essendo stato 7 mesi in trattazione non publicata; venne in parere di fare publicare le cose già digerite, poiché per quella dicchiarazione o i protestanti averebbono ricusato andarvi, o andando sarebbono costretti accettarla: nella quale voltandosi il cardine di tutte le controversie, la vittoria sarebbe stata la sua; e quando non vi fosse altra raggione di farlo, questo solo lo consegliava: che, desiderando l'imperatore che s'astenesse da decidere le controversie, questo bastava per concludere esser utile a lui il farlo, dovendo esser contrarii i consegli di chi ha contrarii fini. Vedeva ben che l'imperatore l'averebbe ricevuta per offesa grave, ma già a' disgusti poco si poteva aggiongere, et era il papa salito, quando nelle deliberazioni si trovava serrata tra le raggioni che la confortavano e dissuadevano, ad usar il motto fiorentino: «cosa fatta capo ha», e dare mano alla essecuzione della parte necessaria. Però alle feste di Natale scrisse a' legati che facessero la sessione e publicassero i decreti già formati.
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