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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quinto
    • [Il re de' francesi muore, con dispiacer del papa, il quale tosto lo segue. Tumulto popolare in Roma contra i Caraffa]
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[Il re de' francesi muore, con dispiacer del papa, il quale tosto lo segue. Tumulto popolare in Roma contra i Caraffa]

Tutte queste cose erano al papa note, e sí come sentiva dispiacer grande per il progresso della dottrina novamente introdotta ne' Stati dell'un e l'altro re, cosí gli piaceva che quei prencipi vi pensassero, e ne faceva con loro instanza per suoi noncii e per ufficii con gl'ambasciatori appresso a sé residenti, ma non averebbe voluto altro rimedio che quello dell'Inquisizione, la quale era stimata da lui unico rimedio, sí come in ogni occasione diceva, riputando che quello del concilio non fosse per far maggior frutto di quello che ne' prossimi anni s'aveva veduto seguire, cioè ridur in peggior stato le cose. Mentre sta in questi pensieri, ritrovandosi anco molto indisposto del corpo, ecco la morte del re di Francia, successa a' 2 luglio per una ferita ricevuta nell'occhio correndo alla giostra; della quale fece dimostrazione grandissima di duolo, et in vero se ne doleva. Perché, se ben sospettò e con raggione, per l'intelligenza tra i due re, nondimeno pur restava qualche speranza di separargli; ma morto questo, si vedeva a discrezione di quel solo, e piú temeva, cosí per esser piú offeso, come per esser di natura occolta e difficile da penetrare. Temeva anco che nel regno di Francia non s'allargasse afatto la porta per introdur le sette e che non si stabilissero inanzi che il nuovo re acquistasse tanta prudenza e riputazione, quanta si vedeva necessaria per opporsi a tante difficoltà. In queste angostie visse pochi giorni afflitto e deposte tutte le speranze che l'avevano sino allora sostenuto, morí il 18 agosto, non raccommandando altro a' cardinali salvo che l'ufficio dell'Inquisizione, unico mezo, come diceva, di conservar la Chiesa; essortando tutti a metter i loro spiriti per stabilirlo ben in Italia e dovunque si potesse.

Morto il pontefice, anzi spirante ancora, per l'odio concepito del popolo e plebe romana contra lui e tutta la casa sua, nacquero cosí gran tumulti in Roma, che i cardinali ebbero molto piú a pensare a quelli, come prossimi et urgenti, che a' communi a tutta la cristianità. Andò la città in sedizione; fu troncata la testa alla statua del papa e tirata per la città; furono rotte le preggioni publiche e liberati piú di quattrocento incarcerati ritenuti in quelle, e nel luogo dell'Inquisizione, che a Ripeta era, andati, non solo estrassero li preggioni, ma posero fuogo in quello et abbruggiarono tutti i processi e scritture che si vi guardavano, e poco mancò che il convento della Minerva, dove i frati soprastanti a quell'ufficio abitavano, non fosse dal popolo abbruggiato. Già ancora vivendo il papa, il collegio de' cardinali aveva ricchiamato il Caraffa, e dopo la morte, nella prima congregazione che i cardinali tennero, fu liberato dal Castello il cardinale Morone, impreggionato, che era stato vicino ad esser sentenziato per eretico. Vi fu gran difficoltà se poteva aver voto nell'elezzione, opponendosi quelli che lo tenevano per contrario; ma in fine fu decchiarato che intervenisse. Furono i cardinali costretti a consentire che le insegne di casa Caraffa per tutta Roma fossero stracciate le mobili e demolite le stabili.

Ridotti poi nel conclavi il 5 settembre, ottavo giorno dopo il legitimo tempo, trattenuti dagl'inconvenienti, composero i capitoli che secondo il costume da tutti sono giurati a fine di dar qualche ordine al governo, tutto sconcertato per i modi troppo severi tenuti da Paolo. Due ne furono spettanti alla materia di che trattiamo: l'uno, che la differenza con l'imperatore, come pericolosa di far perdere quel rimanente di Germania che restava, fosse sopita et egli riconosciuto per imperatore; l'altro, che per la necessità della Francia e della Fiandra il concilio, come unico rimedio contra le eresie, fosse restituito.

 

 




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