Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

IntraText CT - Lettura del testo

  • Libro quinto
    • [Il papa, temendo il concilio nazionale, propuone agli ambasciatori il generale, e si risolve a convocarlo]
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

[Il papa, temendo il concilio nazionale, propuone agli ambasciatori il generale, e si risolve a convocarlo]

Il papa, avuto aviso della risoluzione del convento di Fontanableò, scrisse al cardinale di Tornon che facesse ogni opera per impedir la ridozzione de' vescovi; il che, quando non potesse effettuare, se ne tornasse a Roma. Et a' 23 di settembre chiamò a sé gl'ambasciatori, a' quali narrò prima il bisogno che in vi era di presta celebrazione del concilio generale, attesa la deliberazione de' francesi di far il nazionale: il qual se ben aveva dato ordine al cardinale Tornone che procurasse d'impedire, però non sperava che l'impedimento succedesse. Ma egli si vedeva ben in necessità di celebrar l'universale, acciò non fosse detto che i nazionali si facevano per non aver voluto egli far il generale; però era forza aprir questo concilio di Trento e levar la sospensione; che il luogo era opportunissimo tra la Germania e l'Italia, se bene altri gli prepongono Spira e Treveri et altri luoghi, quali riceverebbe se fossero sicuri, pronto anco d'andar a Constantinopoli, quando potesse con sicurezza. Che fede si può aver in quelli che non hanno fede? Che nissun catolico sarebbe sicuro in quei luoghi, manco l'imperatore stesso. Che se non vorranno Trento, non mancheranno luoghi nello Stato di Milano, nel regno di Napoli, nello Stato di Venezia, del duca di Savoia o di Fiorenza. Ma quanto al revocar le cose determinate, già non era da parlarne; egli non voleva né revocarle, né confermarle, ma rimetter tutto al concilio, il qual con l'assistenza dello Spirito Santo determinerà quello che a Dio piacerà. Ponderò molto la cosa del concilio nazionale di Francia, aggiongendo che sarà un cattivo essempio e che Germania vorrà seguitarlo, et anco in Italia succederà qualche moto, se non si farà provisione; che vorranno sottometter il concilio et il ponteficato e, tutte le cose sue; ma che egli «pro fide et religione volumus mori». Invitò gl'ambasciatori a dir il loro parere; onde quello dell'imperatore disse che era meglio interponer tempo, poiché lo stato delle cose di Germania non concedeva che l'imperatore potesse consentirvi. A che il pontefice mostratosi alterato, soggionse l'ambasciator che era utile guadagnar prima gl'animi de' prencipi di Germania; onde il papa piú alteratamente disse che non vi era tempo; e dicendo l'ambasciator che con questo moto dubitava non si incitassero gl'eretici contra l'Italia, il papa alzò la voce, dicendo che Dio non abandoneria la causa sua et egli saria aiutato co' prencipi catolici, che averebbe avuto gente e danari per difesa. Quello di Spagna lodò la mente di Sua Santità e disse che il suo re non averebbe mancato di favorirla, sí come per questo effetto aveva già mandato Antonio di Toledo in Francia. Offerirono parimente gl'ambasciatori di Portogallo, di Venezia e gl'altri il favore e l'assistenza de' suoi prencipi, et in fine il papa ordinò loro che scrivessero l'intenzione sua e gli licenziò.

Ebbe poi risposta dal cardinale Tornon che, fatto ogni tentativo, non aveva potuto rimover il re, né alcuno del suo conseglio, né meno sperava che l'avvenire potesse portar congiontura megliore; anzi vedeva chiaro lo stato delle cose impeggiorare. Il re di Spagna ancora, mandata al papa la risposta finale fatta al Toledo, scrisse appresso che il re di Francia si scusava di non poter se non col concilio nazionale rimediare a' desordini del suo regno, al che è ubligato, e che non dovesse maravegliarsi se, per ovviare agl'inconvenienti, convengono i re far soli quello che doverebbe esser fatto in compagnia col papa: la qual lettera travagliò molto il pontefice, intendendo che volesse inferire di far il medesimo esso ancora in Fiandra. Si scoprí dopo che il pontefice aveva in animo, se non poteva fuggir a fatto il concilio, differirlo almeno sino che avesse accommodato le cose di casa sua; perché, facendo concilio, era necessario dar buon essempio di sé in quel mentre e far spese eccessive in mantener i prelati poveri et ufficiali, et altre cose necessarie per la sinodo, che assorbiriano tutte le entrate. Il negozio anco da per sé solo dover occuparlo intieramente, onde non averebbe potuto attender alla casa: però con molto malanimo si risolvé di non differir piú la convocazione. Onde a' 20 d'ottobre tenne una congregazione de' cardinali, dove diede conto della risposta data dal re di Francia a don Antonio di Toledo, di quello che il re a lui scriveva e del negozio del cardinale di Tornon; aggiongendo un altro nuovo aviso di Francia, che quantonque il concilio generale si apri, non sono per andarvi, se i protestanti non consentiranno essi ancora di riceverlo: le qual cose misero grandissima confusione, temendo tutti che, se ben s'apriva il concilio generale, la Francia nondimeno fosse per far il nazionale, dal che in consequenza ne nascesse alienazione dall'obedienza della Sede apostolica et essempio al rimanente delle nazioni cristiane d'alienarsi similmente, o con volontà, o senza volontà de' loro prencipi.

Da alcuni anco era molto stimato che era stato protestato al cardinal di Trento che non dovesse allargarsi in offerir quella città, ma raccordarsi che l'imperatore ne è patrone, senza la volontà del quale non può, né deve disponer della città in tal affare: il qual imperatore s'era decchiarato di voler onninamente far la dieta prima. Dava ancora gran pensiero quello che scriveva don Antonio di Toledo che tutti i grandi et i vescovi stessi fomentavano le opinioni nuove per assettare et aummentare le cose loro. Con tutto questo, nondimeno, l'opinione de' cardinali tutti, eccetto che quello di Ferrara, fu che il concilio s'aprisse, levando la sospensione; et il pontefice disse di volerlo fare per san Martino: e considerando bene i pericoli imminenti e le speranze di superarli, risolse in se medesimo e consolò anco con questo i cardinali et altri dependenti suoi, che il male sarebbe stato ben grande alla Francia, ma poco alla Sede apostolica, la qual finalmente averebbe perso poco, non cavandosi dall'espedizione di quel regno piú di 25000 scudi all'anno, essendo dall'altro canto grandissima l'autorità del re nel distribuir i beneficii, concessagli da' pontefici, la qual egli perderebbe, poiché, levata l'autorità ponteficia, entrerebbe la Prammatica et i vescovi sariano eletti da' canonici e gl'abbati da' monasterii, et il re spogliato d'una tanta distribuzione. Perilché a lui non rincresceva se non la perdita di quelle anime. Ma se Dio voleva castigargli de' loro delitti e della loro infideltà, egli non poteva fargli altro.

Gionsero in Roma al principio di novembre altre lettere dalla corte cesarea, dove l'imperatore, se ben con parole generali, diceva che intorno al concilio, quanto alla persona sua, voleva far quello che al papa piaceva; nondimeno ci aggiongeva che il tener il concilio fuori di Germania, overo il continuare il concilio di Trento, levando le sospensioni, non farebbe frutto, anzi ecciterebbe ne' protestanti maggior odio, con pericolo anco che procurassero d'impedirlo con le armi, di che gli erano pervenute alle orrecchie diverse trattazioni, sí come facendo un nuovo concilio vi era speranza d'indur molti di loro ad andarvi. Il che era causa di varie opinioni ne' cardinali, vedendosi chiaramente che, non continuandosi il concilio di Trento, tutte le cose già determinate si potrebbono chiamar vane e di nissun valore, non essendo state approvate da nissun pontefice. Propose il papa la materia in congregazione, dove si consultò e se ne parlò longamente, senza che fossero dati i voti; e con un'altra congregazione, dimandati li voti, Carpi con longo discorso mostrò che bisognava al tutto continuar il concilio, levando sola la sospensione, il che fu confermato da Cesis e Pisano; ma Trento, che seguiva, disse che in materia dove si tratta de summa rerum, piena di tante difficoltà, era meglio pensarvi un poco piú. E questa opinione fu seguita da tutti gl'altri cardinali. Et opportunamente la sera seguente gionse un corrier di Francia in diligenza, con protesti che, non facendosi il concilio generale, il re non poteva impedir piú il nazionale: però che non bisognava pensar a Trento o ad altro luogo d'Italia, perché, essendo già tanti anni ricercato il concilio per i bisogni di Germania, et ora aggionto il pericolo di Francia, conveniva farlo in luogo commodo ad ambe le nazioni; altrimente sarebbe vano, se tedeschi e francesi non vi andassero. Proposero Costanza, o Besanzone, aggiongendo che se si eleggesse alcun luogo in Francia, promette il re che sarà sicurissimo.

In fine non parve al pontefice di differire piú oltre, ma a' 15 di novembre in concistoro deliberò di far la domenica seguente una processione in cenere e cilicio, dando un giubileo e cantando una messa dello Spirito Santo per deliberazione fatta di celebrar il concilio in Trento; concludendo che se dopo congregato parerà piú commodo trasferirlo altrove, lo trasferirà e vi anderà anco in persona, purché sia luogo sicuro; aggiongendo che troverà anco arme per impedire se alcun volesse infringere le cose determinate; e si diede a pensare il tenore della bolla. Perilché ogni dí si faceva congregazione per risolvere se si doveva apertamente dicchiarare la continuazione, rimovendo la sospensione, come egli desiderava, acciò non si mettessero in disputa o in essamine le cose determinate. S'affaticavano molto gl'imperiali et i francesi appresso il papa et i deputati che fosse chiamato un nuovo concilio, dicendo che cosí vi sarebbono andati tedeschi e francesi, e là poi s'averebbe potuto risolvere che le cose determinate non fossero retrattate; altrimente era vano il parlar di concilio per ridur i protestanti, dando loro occasione sul primo passo di rifiutarlo, con dire di non poter sottoporsi a chi gl'ha condannati senza udirgli; in contrario i spagnuoli et insieme con loro il duca di Fiorenza, che si ritrovava in Roma, facevano opera che solo si levasse la sospensione e si chiamasse continuazione del già incomminciato. Fu eletto dal papa e da' deputati un conseglio medio, sperando che dovesse sodisfar ad ambe le parti. Publicò il pontefice un giubileo e lo mandò in tutti i luoghi, et a' 24 egli a piedi, con solenne processione, andò col collegio de' cardinali e con tutta la corte da San Pietro alla Minerva, la qual incaminata non processe senza confusione, perché gl'ambasciatori, assueti a caminar inanzi la croce, vedendo che dopo quella seguivano i vescovi e dopo essi il duca di Fiorenza in mezo di doi cardinali minori, volsero quel luogo essi ancora. Onde nacque disordine: per compor il quale, dopo qualche contrasto, il papa diede loro luogo tra sé et i cardinali che lo precedevano.

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License