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Paolo Sarpi Istoria del Concilio tridentino IntraText CT - Lettura del testo |
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[Arrivano a Trento il legato Altemps, gl'ambasciatori di Cesare e quel di Portogallo] Mentre queste cose si trattano, a' 5 di febraro arrivò in Trento il cardinale Altemps, nipote del papa, quinto legato, et insieme la nuova dell'editto di Francia di sopra recitato, che confuse molto ogni uno: poiché, mentre il concilio è in piede per condannare le novità, quelle da' prencipi siano permesse con publico decreto. Il dí seguente fu ricevuto in congregazione generale Antonio Miglicio, arcivescovo di Praga, ambasciator dell'imperatore; fu letto il mandato di Sua Maestà Cesarea, l'arcivescovo fece una breve orazione e riservò il rimanente al signor Sigismondo Tonn, secondo ambasciatore di Sua Maestà, che non era ancora gionto. La sinodo rispose che con molta allegrezza vedeva gl'ambasciatori dell'imperatore e che ammetteva il mandato imperiale. Tentò l'ambasciator di preceder il cardinale Madruccio, vescovo di Trento, allegando le raggioni e pretensioni di don Diego nel primo concilio, e con la risposta di quello che successe, non di quello che fu preteso, s'acquietò e sedette di sotto. A 9 fu accettato Ferdinando Martinez Mascarenio, ambasciator di Portogallo, letta la lettera di credenza del re et il mandato: fu fatta una orazione assai longa da un dottore che con lui era, dove narrò il frutto che la Chiesa cava da' concilii, la necessità di questo presente, gl'attraversamenti che ha sostenuto ne' passati tempi e come la prudenza di Pio pontefice gli ha superati in questo tempo; disse l'autorità de' concilii esser cosí grande che i decreti loro sono ricevuti per oracoli divini. Il re aver speranza che da quel concilio sarebbono decise le differenze nella religione et indrizzati i costumi de' sacerdoti all'evangelica sincerità; perilché gli prometteva ogni ossequio, di che potevano render testimonio i vescovi già arrivati e quelli che arriveranno; narrò la pietà, religione et impresa degl'antichi e piissimi re, e di questi le fatiche per sottopor tante provincie dell'Oriente all'imperio della Sede apostolica: delle qual eroiche pietà debbono aspettar immitazione in Sebastiano re. Lodò in poche parole la nobiltà e virtú dell'ambasciator, et in fine pregò i padri ad ascoltarlo, quando sarà bisogno per le chiese del suo regno. Il promotore in poche parole rispose: la sinodo aver sentito piacere leggendosi il mandato del re et udendo l'orazione con narrativa della sua pietà e religione, cosa non però nuova, ma a tutti nota, essendo conspicua la gloria debita a lui et a suoi maggiori, per aver conservato in questi tempi turbolenti la religione catolica nel suo regno et averla portata in luoghi lontani; che di ciò la sinodo rende grazie a Dio e riceve il mandato del re, come debbe. Ma nella congregazione delli 11 si presentò l'altro ambasciatore dell'imperatore, il qual fu senza molta ceremonia ricevuto, essendo stato già letto il mandato; onde vi fu tempo di trattare delle cose conciliari, e detto alquanto nelle medesime materie, fu data libertà a' legati d'elegger padri per formar una congregazione sopra l'Indice et altri a formar il decreto per la futura sessione. Furono nominati da' legati per attender al negozio de' libri, censure et Indice, l'ambasciator d'Ongaria, il patriarca di Venezia, 4 arcivescovi, 9 vescovi, un abbate e 2 generali. Alli 13 gl'ambasciatori dell'imperatore comparvero a' legati e fecero una esposizione con 5 ricchieste, che lasciarono anco in scritto, acciò potessero deliberar sopra: che si fuggisse il nome di continuazione del concilio, perché da ciò li protestanti pigliavano occasione di ricusarlo; che si differisse la futura sessione, o almeno si trattassero cose leggieri; che non si essasperassero quelli della confessione augustana in questo principio del concilio col condannare i loro libri; che si desse a' protestanti amplissimo salvocondotto; che quanto si trattasse nelle congregazioni fosse tenuto secreto, perché il tutto si publicava sino a' plebei. Poi, avendo offerto tutti i favori et assistenze per nome dell'imperatore, soggionsero aver ordine dalla Maestà Sua, essendo chiamati da Sue Signorie reverendissime, di consegliare le cose del concilio et adoperar l'autorità imperiale per favorirle. Alli 17 risposero i legati che, essendo necessario sodisfar tutti, sí come a loro instanza non si nominaria continuazione, cosí, per non irritar li spagnuoli era necessario astenersi anco dal contrario; che nella prossima sessione si passerebbe con cose generali e leggieri, et all'altri si daria longo tempo; che non si era pensato di dannar per allora la confessione augustana. Quanto a' libri de' confessionisti non si parlerebbe allora, ma l'Indice de' libri si farebbe nel fine del concilio; che si daria salvocondotto amplissimo alla nazione germanica, quando fosse ben deciso se si dovesse darglielo separatamente o metterlo con le altre; che si provederebbe alla secretezza con buona maniera, e tutto quello che tratteranno lo communicheranno con loro, essendo certi della buona volontà dell'imperatore e che gl'ambasciatori suoi corrispondono alla pietà e religione del patrone. Giorgio Drascovizio, vescovo di Cinquechiese, terzo ambasciator dell'imperatore, che era gionto in Trento sino il mese passato, il 24 febraro presentò in congregazione generale il suo mandato et allora fece un'orazione nella quale si estese nelle lodi dell'imperatore, dicendo che Dio l'ha donato in questi tempi per sollevamento di tante miserie; lo comparò a Constantino nel favorir le chiese; narrò li molti officii fatti per la convocazione del concilio et avendolo ottenuto, primo di tutti i prencipi volle mandar ambasciatori, doi per l'Imperio, regno di Boemia et Austria, e sé separatamente per il regno di Ongaria; presentò il mandato e ringraziò la sinodo che anco inanzi di veder il documento della legazione, gli dasse il luogo conveniente alla qualità d'ambasciatore. Fu letto il decreto formato da' deputati in termini generali, il che fu fatto cosí per sodisfar alla ricchiesta degl'imperiali, come perché non era ben digesta la materia. Il che fatto, il legato Mantova fece una modesta e grave ammonizione a' padri di tener secrete le cose che si trattavano nelle congregazioni; cosí, acciò publicandosi non fosse opposto qualche attraversamento, come anco perché, quando ben non vi fossero simil pericoli, le cose hanno riputazione maggiore e sono in maggior riverenza tenute, quando non sono da tutti sapute; poi ancora perché, non usando molte volte ogni uno tutta la circonspezzione conveniente, o non servando il decoro, è con indegnità di tutto 'l consesso se si publica. Aggionse anco non esservi collegio o conseglio, cosí secolare, come ecclesiastico, né ristretto, né numeroso, che non abbia la sua secretezza; la quale è imposta con legami o di giuramenti o di pene. Ma quella sinodo esser di persone cosí prudenti, che non debbono esser ligati salvo che dal proprio giudicio. Che esso cosí dicendo non parlava piú a' padri, che a' colleghi et a se stesso principalmente, essendo ogni uno soggetto d'ammonir se stesso ad ogni cosa condecente. Dopo passò a raccordar la difficoltà che s'era scoperta nella materia del salvocondotto, e però essortò ogni uno a pensarvi con accuratezza, soggiongendo in caso che inanzi la sessione non si potesse risolver, si aggiongerà al decreto che il salvocondotto si possi conceder in congregazione. Questo fu risoluto tra li legati; perché avendo scoperto la difficoltà, massime per l'Inquisizione di Roma e di Spagna, avevano scritto tutto quello che era stato detto, cosí sopra quel ponto, come intorno l'Indice, et aspettavano risposta da Roma.
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