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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro settimo
    • [Cesare trattien Morone. I francesi si straccano del concilio]
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[Cesare trattien Morone. I francesi si straccano del concilio]

I francesi in Trento ebbero per superfluo far instanza a' padri, conforme al commandamento regio, inanzi il ritorno di Morone, essendo cosa appontata con tutti che le azzioni conciliari si differissero sin allora. Ma l'imperatore non aveva ancora spedito quel cardinale, anzi pur in quel medesimo tempo fece intender a Lorena che, per diversi accidenti e per esser le materie proposte di tal peso et importanza che meritavano matura deliberazione e consultazione, non aveva ancora potuto dargli risposta risoluta, ma ben sperava di farla tale in tempo e luogo, che ognuno potesse conoscer le sue azzioni corrispondere al desiderio suo di veder ridrizzati gl'affari del concilio a commun beneficio; perilché anco, non ostanti le occupazioni e vigenti bisogni delle altre provincie, dissegnava di fermarsi in Ispruc, per favorir con la presenza sua la libertà del concilio, sin tanto che averà speranza di veder qualche buon profitto. A Morone non era grata cosí longa dimora e che l'imperatore rimettesse, come faceva, tutte le negoziazioni sue a teologi e conseglieri, e dubitava cosí egli, come il pontefice che si differisse il risolverlo sin tanto che avesse udito Birago, del quale già avevano inteso che era per proponer traslazione del concilio in Germania, per dar sodisfazzione agl'ugonotti, cosa alla quale il pontefice era risoluto di non assentire, cosí per propria inclinazione, come perché glie n'era fatta instanza da tutto 'l collegio de cardinali e da tutta la corte. E si maravegliava dell'umor de' francesi, che da una parte dimandavano riforma, e dall'altra parte traslazione del concilio, e da una parte trattavano d'aver sovvenzione dalle chiese per estinzione de' debiti regii, e dall'altro canto si mostravano tanto fautori di quelle.

Ma la verità era che li francesi, certificati in se medesimi di non poter ottener dal concilio, mentre che gl'italiani facevano la parte maggiore, cosa che fosse per loro servizio, incomminciavano a non sperar piú, né tener conto alcuno del concilio, mentre stasse in Trento; levarono la provisione a' teologi mandati dal re e concessero licenza di partire a chi voleva; lasciandogli però in libertà di restare. Perilché l'uno dopo l'altro partirono quasi tutti. Restarono sino in fine li doi benedittini, a' quali erano somministrate le provisioni da' monasterii loro; e l'Ugonio, per il commodo che gli era dato da' ponteficii di trattenersi, al quale fecero aver luogo e spese nel monasterio, oltre la provisione di 50 scudi che gl'avevano assegnato ogni tre mesi.

Il cardinale di Lorena, avendo essaminato e fatto essaminar le allegazioni mandate dal papa all'imperatore e fattaci sopra una censura, la mandò a quella Maestà. Egli credette d'aver fatto il tutto secretamente, ma dal sudetto teologo, non solo fu scoperto, ma ancora fattane copia a' legati, li quali, aspettando di breve il Morone, scrissero a' vescovi partiti da Trento, di ordine del papa, che dovessero ritornar per repigliar le azzioni conciliari. Tra tanto il 10 di maggio fu fatta congregazione per leggere le lettere della regina di Scozia, presentate dal cardinal di Lorena, nelle quali ella dicchiarava che si sottometteva al concilio, e commemorata la successione sua, ch'aspettava nel regno d'Inghilterra, prometteva che, come fusse seguita, averebbe sottomesso l'un e l'altro di quei regni all'obedienza della Sede apostolica. Dopo lette le lettere, il cardinal con una elegante orazione iscusò quella regina se non poteva mandar né prelati, né ambasciatori al concilio, per essere tutti eretici, e promesse ch'ella mai averebbe deviato dalla vera religione. Gli fu risposto per nome del sinodo con ringraziamento, ridendo però alcuni che l'officio di quella regina fusse di persona privata e non di prencipe, poiché non si ritrovava pur un suddito catolico di mandare. Ma li piú intelligenti giudicorono che quest'officio fusse stato mendicato et estorto, perché bene lo poteva ella fare da prencipe, avendo sempre avuto appresso di sé non pochi catolici.

 

 




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