XL [Dante Alighieri]
Donne ch'aviti
intelletto d'amore,
e' vòi' cun voi
de la mia donna dire,
non perch'eo
creda soa laude fenire,
ma rasonar per
isfogar la mente.
E' dico che
pensando al so vallore
Amor sí dolce me
se fa sentire
ca, s'eo allora
non perdesse ardire,
farei, parlando,
innamorar la gente.
Ma eo non vòi'
parlar sì altamente,
ch'eo devenisse
per temenza vile;
ma trattarò del
so stato gentile
respetto de lei
legeramente,
donne e dongelle
amorose, cun voi,
che no è cosa de
parlare altrui.
Angello chiama in
divino intelletto
e dice: «Sire, [nel
mondo si vede]
meraveglia ne
l'atto [che procede]
d'un'anema che
fim qua sú respiende».
Nel cielo no have
null'altro deffetto
se no aver lei:
al so segnor la chede,
e zascun santo ne
crida merzede.
Sola Pietà nostra
parte deffende,
[che parla
Dio, che di madonna intende:]
«Dilletti mei,
sofferiti in pace
che vostra spene
sie quanto ne piace
[là 'v'è alcun
che perder lei s'attende,
e che dirà ne
lo inferno: "O mal nati,
io vidi la
speranza de' beati"]».
Madonna è disiata
in summo cielo:
or vòi' de soa
vertù farve asavere.
Dico, qual vole
gentil donna parere
vada cun lei;
quando va per via,
getta nei cor'
villani Amor un gelo,
per ch'onne lor
vertú aghiaza e pere;
e qual sofferisse
de starla a vedere
deveria nobel
cosa, o se moria.
[E quando
trova alcun che degno sia
di veder lei,
quei prova sua vertute,
ché li avvien,
ciò che li dona, in salute,
e sí l'umilia,
ch'ogni offesa oblia.]
Anche gli a Deo
mazor gratia dato
che non pò mal
fenir chi gli ha parlato.
[. . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . .]
Mem. 82 (1292, Pietro
Alegrançe), c. 129v.
(Caboni, XXXVIII,
p. 70).
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