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AA.VV Rime dei memoriali bolognesi IntraText CT - Lettura del testo |
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Appendice a Fora de la bella bella cabia ese lo rignisionello.
Planze lo fantino però che non trova né lo ozellino en la gaiba nova; e disse cun dollo: «Chi t'abrí l'usollo?» E disse cun dollo: «Chi t'aprí l'usollo?»
Verso di documento datato 2 luglio 1288 conservato nella busta delle carte di corredo della Curia del Podestà. (Caboni, XLVI, II, p. 78).
b Dolce lo mëo sire, che me fa' lanquire, or te tinise [. . . -ore] in grande pena d'amore.
Se misère m'amase sí como eo amo lui, e di mi se curase com' se cura d'altrui, [ . . . . . . . . . -ui] belo faria lanquire sí como feci lanquire [ . . . ] lo meo core.
Se tosto a mi no vene per cui eo moro amando, et ëo sazo bene che di mi va gabando: l'omo vase vantando che di mi ha aputo quello che ha voluto, mo no ch'i sia onore.
Frammento di quaderno (?) dell'anno 1291 A. Gualandi, Accenni alle origini della lingua e della poesia italiana, cit., appendice n. 8 (con riproduzione fotografica).
c O mortal morte mia, malvasitate, gaudio e coltello, donn'e nemico mio; nullo for te sor me ha potestate, teco n'ha ciascun quasi el suo disio; prend'e fiede [. . .]
Verso di copertina membranacea di un volume di atti del Podestà dell'anno 1293 (n. 1110) scritto da Giovanni Guidonis Bonromensis notaio di Borgo San Lorenzo nel Mugello. I documenti vanno dal 6 aprile al 1° ottobre, nel periodo del Capitano Bonacursio de Donatis di Firenze. (Pellegrini, n. 11, p. 133).
d Merzede, Amor, poi che m'avete priso or non mi fate sí fera prigione ched io mi trovi a mano a man conquiso. Che se volete ver' me far ragione, voi mi trarrete là 'nd'io sonn'ho miso però che ben n'è omai la stagione. Poi, se voi mi trovate in falligione che per amore null'altra guardi in viso, allora m'ancidete e fie ragione.
Il componimento si trova sulla stessa pagina del precedente. (Pellegrini, n. 10, p. 133).
e Io faccio prego all'alto Dio potente et alla glorïosa intercedente che ti dia vita e gaudio lungamente, gemma fina;
ché voi sète la stella mattutina per cui lo meo core di posar non fina, e fresca piú che rosa della spina e collorita;
e di tuta beltà sète compita e vertudiosa piú che calamita, e sprendent'è piú che margarita lo vostro viso.
Vostre mammelle ben mi sono aviso che ssiano pome nate in Paradiso: la boca avete dolce col bello riso e lo capo biondo
e risprendente piú che auro mondo; li ochi amorosi e lo viso giocundo avete piú ch'altra d'esto mondo, rosa aulente.
E ben vi fece Cristo veramente, per far meravilliar tutta la gente; piú bella crïatura, al meo parvente, ch'altra sia.
Però vi prego, dolce donna mia, che di me vi rimembri in cortesia da poi che io sono in vostra signoria iudicato.
E già fa lungo tempo sono stato nel vostro amor sí forte inamorato che vi deveria prender peccato di me taupino,
ché voi m'avete nel vostro dominio assai piú che 'l veglio l'assessino, e di servire a voi sempre affino ogna dia.
La vostra boca aulisce tuttavia piú che non face rosa né lomia, e piú andate conta per la via che reina.
Quando vi sguardo m'arde la corina d'un amoroso foco che m'afina, che ben mi par miracolo, dovina sí mi 'ncende.
Ché tutto quanto lo core mi struge e stende come la cera quando 'l caldo prende. Se 'l vostro amore inver' me non s'arrende ben morragio.
Se voi sapeste le pene ch'i' agio, quand'io non vegio 'l vostro chiero visagio, merzé vi prenderia di me, che v'agio sempre amata.
E sète, bella, lo fiore della contrata che ne lo core mi sète plantata: non fue sí bella Morgana la fata al meo parere,
ché tutte l'altre faite disparere. Sed ïo 'l giorno potesse vedere che 'n braccio vi tenesse al meo volere, serei magiore
che ss'i' fusse rei e imperadore o d'esto mondo chiamato signore tutt'è 'l bene e 'l grande amore ch'io vi porto.
E non vorrëi mai altro diporto, quand'io avesse 'l vostro buon conforto: s'io no l'avesse, ben fareste torto da poi ch'i' v'amo.
Di voi servire ho disio e bramo piú che non ebe de lo pomo Adamo; però a voi medesma mi richiamo del meo tormento:
e, se io vo faccio o dicco fallimento sí nde chero a voï donamento Che mi ne diate qualunco pentimento a voi piace.
Recto della seconda copertina di un fascicolo di atti giudiziari del Podestà di Bologna, n. 768 (anni 1299-1300). Notaio Andrea de Corelia (forse Coreglia Antelminelli, oggi in provincia di Lucca). (Pellegrini, n. 12, p. 134).
f Da poi che piace all'alto dio d'amore ch'i' mmi cominci a dire lo gran valore di quella ch'è di tutte l'altre 'l fiore di bellezze,
diròvi alquante delle sue adorneze e delle sue angeliche belleze; poi vi contrabo le sue gentilezze e 'l bel parlare
che 'n tutto 'l mondo non si truova pare; io tanto mi pare piacente da sguardare com'è quella che mi fae gioioso stare notte e dia;
ma alquanto mi ne cocca gelosia no ella mi cangi per altr'om che ssia: ma vogliola pregare per cortesia umilemente
che 'l meo servire tuttora agi' a mente, ch'i' l'ameragio infin al meo vivente e sempre le starò leal servente e fino amante.
Ch'ela mi pare conta et avenante e virtudiosa piú che n'è 'l diamante; Isotta ch'ebe bellezze tante non fue tale.
Però prego 'l Signore celestale che la mia donna sí guardi de male che sopra tutte l'altre monta e sale in grande altura.
E mai non vidi sí bella figura in carne, in taglio né in pintura: all'aire l'assimiglio, tant'è pura e diliciosa.
Però prego la donna glorïosa ch'è sopra tutte l'altre precïosa, ched ella guardi di pena 'ngosciosa e di ria morte
e del tormento ch'è ssí duro e forte che no nde tocchi a llei alcuna sorte; ma facciala intrare dentro alle porte del Paradiso,
là ov'è solazo gioco e riso e nullo bene del mondo v'è deviso, e lo nostro Crïatore v'è sempre assiso co li santi.
Or prego Lui che noi e li altri amanti, che ssiamo in questo seculo cotanti, conducali ai gioiosi e dolci canti di vita eterna,
là ov'è la glorïa soperna e l'alta maiestà che la coverna: apress'ov'è la donna ch'è lucerna dei peccatori.
Va' serventese coperto di flori, saluta da mia parte li amadori, quelli c'hanno fermi li lor cori in ben servire;
e dilli che ssi degiano sbaldire e loro affare in gioia convertire e aspectare lo bene che dé venire per amare.
Recto della seconda copertina di un fascicolo di atti giudiziari del Podestà di Bologna, n. 768 (anni 1299-1300). Notaio Andrea de Corelia. (Pellegrini, n. 13, p. 137).
g [Dante Alighieri] [Ne li occhi porta la mia donna Amore, per che si fa gentil ciò ch'ella mira;] là unche passa, ogn'om ver' le' si gira [e cui saluta fa tremar lo core,] sí che, sbassando 'l viso, tutto smore, et [d'ogni suo difetto allor sospira:] fuge davanti a le' superbia et ira. Aiutatemi, [donne, farle onore].
Ogni dolceza, ogni pensero omíle nasce nel core a chi parlar la sente, und'è laudato chi prima la vide. Quel ch'ella par quand'un poco soride, non si può dicer né tener a mente, tant'è novo miracul e gentile.
Volume di atti n. 374 (già 70, indi 375) del 1300. Notaio Isfacciato Antonii de Montecatino. (Pellegrini, n. 16, p. 147).
h [Cino da Pistoia] Sta nel piacer della mia donna Amore come nel sol lo razo e 'n ciel la stella, che nel mover delli ochi il porge al core sí ch'ogni spirito smarrisce in quella. Soffrir non possan li ochi lo splendore, né 'l cor pò stare inloco, sí li abella! Isbatte forte, tal sente 'l dolzore; quine si prova chi di lei favella.
Ridendo par ch'allegri tutto loco, per via passando, angelico diporto, nobil ne li atti et umil nei sembianti; tutt'amorosa di solazo e gioco, è sagia nel parlar, vit'e conforto, gioi e diletto a chi le sta davanti.
Volume di atti n. 374 (già 70, indi 375) del 1300. Notaio Isfacciato Antonii de Montecatino. (Pellegrini, n. 17, p. 148).
i [Guido Cavalcanti] [...] Tu puoi seguramente gir, canzone, [71] là uve ti piace, ch'io t'ho sí adornata ch'assai laudata - serà tua ragione da le persone - c'hanno entendimento; di star coll'altre tu non hai talento.
Volume di atti n. 374 (già 70, indi 375) del 1300. Notaio Isfacciato Antonii de Montecatino. (Pellegrini, n. 18, p. 149).
l Io mi sono tutto dato a trager oro a poco a poco del fiume che l mena, pensando m'aricchire. E credone amassar - piú che 'l re Poro tragendol sotilmente della rena, unde io spero gioire.
E penso tanto in questo meo lavoro che, s'io trovasse d'arïento vena, no mi poria gradire: perciò che no mi pare - che sia tesoro se no s'è quel che trage 'l cor di pena e contenta 'l disire.
Però io mi contento pur d'amare voi, gentil donna, per cui mi convene piú sotilmente la speranza trarre che l'oro di quel fiume.
Di ciò ch'un altro amante trarria pene, spesse fïate mi fa ralegrare; ch'i' m'asotiglio di traer del mal bene e de lo scuro lume.
Recto della seconda copertina del volume di atti n. 374 (già 70, indi 375) del 1300. Notaio Isfacciato Antonii de Montecatino. (Pellegrini, n. 19, p. 151).
m [Giacomo da Lentini] Feruto sono isvarïatamente; Amore m'ha feruto; or, per che cosa? Perch'io vi saccia dir lo convenente di quelli che del trovar non hano posa: che dicono lor ditto spessamente ch'Amore ha in sé deïtate inclusa; et io sí dico che non è neiente, che piú d'un dio non è, né esser osa.
E chi lo mi volesse contastare, io lil mosserei per via e manto come non è piú d'una deïtate. In vanitate non voglio piú stare: voi che trovate novo ditto e canto, partitevi da ciò, ché voi peccate.
Recto della seconda copertina del volume di atti n. 374 (già 70, indi 375) del 1300. Notaio Isfacciato Antonii de Montecatino. (Pellegrini, n. 20, p. 154).
n [Abate di Tivoli] Qual om riprende altru'ispessamente, a le rampogne vene a le fïate: per voi lo dico, amico, imprimamente, che non credo che lealmente amiate. Che, s'Amor vi stringesse coralmente, non parlereste per dovinitate, anzi credereste veracemente che elli avesse in sé gran potestate.
Perciò ch'è di sí scura canoscenza che doven come d'una bataglia: chi stâ veder riprende chi combatte. Quella ripresa non tegn'e' valenza: chi acatt'al mercato, sa che vaglia; chi leva, sente piú che quei che 'batte.
Recto della seconda copertina del volume di atti n. 374 (già 70, indi 375) del 1300. Notaio Isfacciato Antonii de Montecatino. (Pellegrini, n. 21, p. 155). |
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