XXVII
IL PITTORE PERFETTO
LAURO
Poscia ch'avete
dipinta la nostra pittura così estratta dall'altre virtù, e molto sopra tutte
esaltata, sete anco tenuto a ritrovar un pittore più degli altri uomini perfetto,
e da loro estratto come di capacità integra a tanta intelligenzia.
FABIO
Eh? chi
potrebbe distinguere un uomo da un pittore, s'il pittore di necessità convien
esser uomo?
LAURO
Non dico separato
di materia e forma, ma qualificarlo e ornarlo, sì come par a voi che comporti
la grandezza di tal arte.
FABIO
Come diavolo
trovar un pittore? Sono forse li pittori promessi da Iddio miracolosamente, o
aspettati dagli uomini, come dagli Ebrei il Messia?
LAURO
M'avveggio ben
io che voi dite queste parole masticando il prencipio; accomodative a vostro
aggio. So che non potete mancarmi, volendo aggroppare insieme tutte le lodi
della pittura.
FABIO
Diamogli fine,
per l'amor d'Iddio, ché non vi accheteresti in tutt'oggi, e dubito che vi
corruciareste meco.
LAURO
Non
so certo se mi sdegnasse, ma l'arei a male
FABIO
Sono varj li
giudicj umani, diverse le complessioni, abbiamo medesmamente l'uno dall'altro
estratto l'intelletto nel gusto, la qual differenzia causa che non a tutti
aggradano equalmente le cose. E però chi s'applica alla grandezza delle
littere, altri più sensitivi si comettono all'onorato preggio dell'armi, alcuni
più modesti si vestono di religione. È ben vero ch'a tal varietà concorre
l'influsso delle stelle, le quali inseriscono in noi la proprietà della lor
natura (come vuoleno gli astronomi). Però, s'ardisco formare un pittore che
sodisfaccia a tutti li pittori, m'espono all'impossibile; s'anco attendo a
comporre un pittore perfettamente, qualificato ugual al merito e grandezza
dell'arte, vi parrà ch'io neghi l'integrità degli altri pittori, e terrete per
impossibile che gli uomini possino esser perfetti pittori. Imperò che mai
nacque uomo (parlando di puri uomini) integramente ornato di tutti quei doni
insieme da Iddio e dalla natura infusi tra tutti noi mortali. Conviemmi adonque
(per adequar questa nostra umidità) dipignere una cosa possibil tra noi. Per
tanto non desidero che nel nostro pittore sia altro che le qualità necessarie e
proprie della pittura, a tal che non faccio caso s'il pittore nasce di sangue
oscuro e di prosappia vile, ché non s'apprezza nell'uomo altro che la virtù propria,
come cosa acquistata da lui, e quelli pigri e inerti, che tengono bastarli lo
gonfiarsi nel freggio acquistato dalla virtù de' progenitori, sono adulati e
scherniti, e non veramente istimati, e però dice Erodoto che non si die aver
riguardo all'uomo che sia di nobil patria, ma a chi ne è degno. Abbiamo per
isperienza nell'arte nostra molti esser d'inculti divenuti eccellenti pittori,
come oggi dì appare. Questo perché siamo guidati a tal perfezione per lo meggio
d'una buona disposizione naturale, e questa vien infusa in noi da alcune
congiunzioni de' più benigni pianeti, o nella nostra generazione, over nella
natività, e di questi sarà il nostro pittore, acciò che più facilmente divenghi
nella perfezion dell'arte; e anco mi piace ch'il pittore sia ornato di buona
creanza, perch'ha da negociare con persone publiche e grandi. E perché si vede
espresso che tutte le creature appetiscono il loro simile, non fà al preposito
ch'il pittore sia di statura picciola o difforme, che potrebbe di facile
incorrer nelli proprj errori, dipignendo le figure nane e mostruose; e anco
molti di loro sono inconsiderati e troppo veementi. Non sia grande in estremo,
assai delli quali sono sgraziati, pigri e inscipidi; ma sia il pittore nella
porzione che già v'ho descritta secondo Vitruvio, ch'averà più facile adito di
formare le figure perfette, traendo l'essemplo
da se stesso. Vorrei che fusse grazioso per parteciparne con l'opere sue.
Bisogna ch'il nostro pittore sia come ebrio nello studio dell'arte, di modo che
con la buona disposizione si facci pratico nel disegnare la qualità e quantità
delle cose, svegliato nell'invenzioni, e nel colorire perfetto; che
l'intelligenzia sua s'istendi nell'universale per riuscire in tutte
l'occorrenzie, come dipignere a oglio, a fresco, a guazzo, a secco, e con
ciascun altro modo; eccellente nelle figure, dotto nelli paesi, e pratico in
altre bizzarrie, consumato nella prospettiva; vago nella scultura, il che c'è
al proposito anco nel far delli modelli per veder gli atti e acconciare i panni;
sia amico dell'architettura, come membro dell'arte nostra; e franco nel
maneggiar li colori, sì che, mancandone uno, ei sappia porre in opera gli
altri, e tra molti fargli far l'effetto di quello che non vi è. Non però voglio
ch'il nostro pittore si inveschi in altre pitture che nel far figure a
imitazione del naturale, ma sia questo il suo fondamento e il suo studio
principale; e dietro a ciò ami grandemente il farsi pratico e valente nelli
lontani, del che ne sono molto dotati gli oltramontani, e quest'avviene perché
fingono i paesi abitati da loro, i quali per lor selvatichezza si rendono
gratissimi; ma noi Italiani siamo nel giardin del mondo, cosa più dilettevole
da vedere che da fignere, pur io ho veduto di mano di Tiziano paesi miracolosi,
e molto più graziosi che li fiandresi non sono. Messer Gierolemo bresciano in
questa parte era dottissimo, della cui mano vidi già alcune aurore con rifletti
del sole, certe oscurità con mille descrizioni ingeniosissime e rare, le qual
cose hanno più vera imagine del proprio che li Fiamenghi. Questa parte nel
pittore è molto propria, e dilettevole a se stesso e agli altri; e quel modo di
ritrare li paesi nello specchio, (come usano li Tedeschi) è molto al proposito.
Ma intendo ch'il pittor nostro abbi la vista acuta, la mano sicura e stabile,
l'intelletto libero senza ingombri di cure famigliari, acciò che perfettamente
discerni e facci elezione delle più belle e graziose parti. Li conviene esser
sitibondo d'onore, acciò che con dilettazione riduca il tutto a perfezione.
Accetterà però l'ordine tenuto dal grande Apelle, il qual per non mancar
nell'integrità, poste le sue tavole in publico, di nascosto ascoltava la
diversità dell'openioni, le quali poi considerate da lui, con la qualità della
cosa dipinta l'ammetteva, o reprobava secondo il suo giudicio, e fra gli altri
accettò una fiata l'opposizione d'un calzolaio perch'avea legate le scarpe
d'una figura alla riversa; del ch'invaghito il calzolaio, volendo procieder più
oltra nel giudicare gli abiti delle figure, disse Apelle: «Fratello, questo
s'apertiene al sarto, e non a te». Così restò il calzolaio confuso
LAURO
Non meno rimase
vinto il nostro Paolo Pino, ritraggendo una donna, e sopragionta la madre di lei
disse: «Maestro, questa macchia sott'il naso non è in mia figliola»; rispose il
Pino: «Gli è il lume che causa l'ombra sott'il rilevo del naso»; disse la
vecchia: «Eh? come può stare ch'il lume facci ombra?». Confuso il pittore
disse: «Quest'è altro che fillare»; et ella, dando una guanciattina alla
figliuola, in modo di scherzo disse: «E quest'altro che pittura; non vedete voi
che sopra questa faccia non vi è pur un neo, non che machie tanto oscure?».
FABIO
La
prontezza dell'arguzie è assai famigliar alle femine. Voleva (come ho detto)
Apelle intendere più openioni, perché molte fiate la virtù intellettiva resta
dal troppo frequente operare come avelata e ottusa; il per che sovente ci
occorre che, credendo aggiognere perfezione nell'opere, se gli accresce
disgrazia. Non per ciò voglio ch'il nostro pittore assiduamente s'eserciti nel
dipignere, ma divertisca dall'operare, intratenendosi e istaurandosi con la
dolcezza della poesia, aver nella soavità della musica di voce e istromenti diversi,
o con sue altre virtù, del che ciascuno vero pittore debbe esser guarnito.
LAURO
Mi fate sovenir
d'Alberto, Duro alemano, il qual compose un'opera nel suo idioma che trattava
anco di pittura, la qual cosa, mertò esser degnamente scritta latina; e di Leon
Battista Alberto fiorentino, molto erudito nelle scienzie, come è accertato
dalle sue opre latine, nelle quali ardì fondatamente, nel libro che fà di
prospettiva, opponere a Vitruvio prospetico; e del Pordonone, che fu buon musico,
in molte parti ebbe buona cognizion di littere, e maneggiava leggiadramente più
sorti d'armi. Frate Sebastiano dal Piombo come riuscì eccellente nel liutto!
Intendo del vostro Bronzino che si diletta molto di littere, di poesia e
musica. E Giorgio da Rezzo giovanne, il qual, oltra che promette riuscir raro
nell'arte, è anco vertuosissimo, et è quello che, come vero figliuol della
pittura, ha unito e raccolto in un suo libro con dir candido tutte le vite e
opere de' più chiari pittori. Quasi che mi scordavo di Silvestro dal Fondaco,
nipote della pittura per esser figliuolo della musica, sirocchia dell'arte
nostra. Costui ha un intelletto divino, tutto elevato, tutto virtù, et è buon
pittore. E veramente non creggio che mai fusse pittore privo totalmente di
virtù, dico oltre la pittura.
FABIO
Tutti
costoro furono pittori integri. E perché la pittura non vuol laboriosità
corporale, ma tien l'uomo quieto e malancolico, con le virtù naturali affisse
nell'Idea, util cosa sarà alla conservazione di questo individuo essercitarsi
in cavalcare, giocare alla palla, lottare, giocare di scrimia, o almeno
caminare per un certo spazio, confabolando con alcun amico di cose allegre,
perché tal cosa agilita la persona, accomoda la digestione, e strugge la
malancolia, e anco purifica la virtù dell'uomo. E perché l'arte della pittura
s'intende nell'imitare tutte le cose naturali e artificiali, non poco importa
ch'il pittore abbi dilettazione di vedere e intendere similmente tutte le
qualità e natura delle cose. Convien adunque ch'in lui sia tanto giudicio di
littere almeno, che sia capace della lingua latina, e ami lo volgare, per lo
mezzo delle quali si potrà prevalere dell'istorie e invenzioni antiche. Parte
onorata e utile del nostro pittore sarebbe la fisionomia, come anco vuol
Pomponio Gaurico, acciò che se volesse dipignere una femina casta, sappi molto
bene distinguere li contorni e applicare l'effigie secondo la qualità delle
cose, imitando quel Demone lacedemone pittore, le pitture del qual erano tanto
simili al proprio, ch'in quelle si conoscea un avaro, un crudele, un vizioso, e
tutte l'altre proprietà naturali. Poscia loderei ch'egli non fusse simile alli
polli, che nascono, vivono e muoiono nel pollaio, ma che si separi dal nido,
dove ognuno, per grande e raro ch'ei riesci, non vi è molto istimato. Quest'è
per la lunga domestichezza, e anco perché nel giudicare uno al primo colpo gli
uomini percuoteno nelle miserie loro, dicendo: «Non è costui il tale, figliuolo
di quel calzolaio?, che fece, che ebbe?» et cetera. E per tanto il nostro
pittore dispenserà la gioventù sua andando per le più nobil parti del mondo,
come dispensator d'una tanta virtù, facendo con la maraviglia dell'opere sue
ampla strada alla sua immortalità, donando le tavole a' signori e grandi
uomini, li quali possono e debbono sostentare tal virtù a loro convenevole,
come quelli che puonno dispensar loro nelle cose non necessarie; e da ch'egli
convien peragrar il mondo, se gli disconviene lo carico di moglie, come quel
che risecca la perfezion nostra, e troncasi la libertà con l'amor del figliuoli
e con la persuasion di moglie. E sopra il tutto aborrisca il pittore tutti li
vizj, come l'avarizia - parte vile e vituperosa nell'uomo -, il giuoco
pernicioso e forfantesco, la crapola - madre dell'ignoranza e dell'ozio -; né
vivi per mangiare, ma si cibi sobriamente per sostentazione propria; schiffasi
d'usar il coito senza il morso della ragione. Qual è parte che debilita le
potenzie virili, avilisce l'animo, causa malencolia e abbrevia la vita, non
pratichi persone vili, ignoranti o precipitose, ma la sua conversazion sia con
quelli da chi si può imparare e acquistar utile e onore. Vesti onoratamente; né
mai stia senza un servitore; usi tutte le commodità che può, e che sono fatte
per l'uomo. Voglio anco che si conservi in uno certo che di riputazione non
affettata, non biasimevole, ma mista con affabilità e cortesia, accettando
ognuno, e intrinsecando con pochi; così non pur acquisterà la benevolenza di
molti, ma si conserverà nell'amicizia di tutti. Non accaderà stimolar gli uomi
con disegni, o con ampiezza di promissione a far l'opere, perché queste sono
l'armi di chi intende poco l'arte; ma il nostro pittore, che sarà eccellente,
attraerà ciascuno a ricercarlo e richiederlo nell'occorrenzie loro, salvo però
s'un altro suo rivale tentasse d'abbatterlo. In questo caso voglio che lui
venghi al duello della concorrenza, e fare un'opera per uno, ma con patto che
sia ammessa la più perfetta, come già volse far Giacopo Palma con Tiziano
nell'opra di San Pietro martire qui in Vinegia. E così difender, conservar e
aggrandir l'onor suo. Il ch'è lecito in cielo e in terra. Ma Dio vi guardi
dagli giudici ch'abbino gli occhi bendati, over le mani pillose. Né apparisca
il nostro maestro con le mani empiastrate di tutti i colori, con li drappi
lerci e camise succide, come guataro; ma sia delicato e netto, usando cose
odorose, come confortatrici del celebro. Usi anco quelle foggie di abiti
ch'anno più disegno, ma che contengano un che di gravità. Conviengli anco del
faceto nel motteggiare e ragionare di cose che siano conformi alla professione
e natura di colui col qual ragiona, e questo vale nel ritrarre una persona, ché
quel convenir star fermo causa un certo che di noglia. In questa parte debba
esser il pittore ispediente per non fastidir il paziente, perché se ne raggiona
poi, e acquista un nome di troppo tedioso, e vien aborrito da ognuno, e ancor
trae le persone da quella volontà di farsi ritrarre e far altre opere. Non sia
il pittore dispettoso nell'esser premiato, ma si condanni, come quello che più
apprezza l'onore che l'utile, e aborrisca quel far mercato, cosa veramente
vilissima e mecanica, e anco disconvenevole all'arte nostra. Imperò che non può
il pittore prometter di fare un'opera perfetta, ancor che sia eccellente, ché
molte fiate l'indisposizione e il troppo amore dell'opera, c'è contraria di
maniera ch'una figura, tolta in displicenza nella prima bozza, mai più riesce,
né per ciò contradico alla natural perfezione che può esser nel nostro pittore,
perché questa indisposizione non causa dall'intelligenzia, ma dall'imperfezione
degli sensi nostri. Dall'altra parte colui ch'opera non può sapere il merito di
quella cosa che non si vede, né anco si sa imaginare. E però, fatta l'opera,
quella si premia, sì come merta la sua perfezione, acciò che lui patisca minor
opposizione, poscia che la bontà d'Iddio c'ha per suoi eletti. Sia il pittore
(come amatore della salute sua) buon cristiano, imperò che sempre gli uomini vissero sott'un ordine di
religione, sopra la quale è la vera e perfetta legge d'Iddio. Sia questo nostro
pittore tanto circospetto e integro in ciascuna parte necessaria all'arte
nostra, che merti esser nomato maestro come pien di magistero, e come quello
che può perfettamente insegnare ad altrui l'arte e virtù sua. E s'avvenisse che
ne fusse richiesto come maestro, se conoscerà il discepolo ben disposto e
ch'abbi dell'ingenioso, lo debbi accettare, e con amore istruirlo nell'arte,
imitando la natura, la quale non solo pone cura in conservare la già perfetta
pianta, ma anco le fà produrre e nodrire delli rampolli, acciò (educati dalla
virtù della pianta) quelli conservino la specie e rendi il medesmo frutto. In
questo Panfilo, maestro d'Apelle, usava gran scortesia e si mostrava avarissimo,
perch'egli non pigliava discepolo alcuno per men precio d'uno talento attico
all'anno, che valeva più di sei cento scudi delli nostri, né si può dire che
questo facesse per riputazion dell'arte, perché li bastava il tenir le sue
tavole in precio, ma anzi dimostrava non amar l'arte per altro che per utilità,
cosa a noi veramente biasimevole, tenendo l'alchimia vera in seno, et essendo
ricchi d'un tal tesoro che la morte sola ce lo può involare.
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