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Paolo Pino Dialogo di pittura IntraText CT - Lettura del testo |
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X ANTICHI SPLENDORI DELLA PITTURA
FABIO Codesto è verissimo, e questa povertà e avarizia causano dallo carico di moglie e figliuoli, tal che, com'un pittor s'ammoglia, egli si dovrebbe privar dell'arte; né trovo che mai pittor antico si maritasse, eccetto Apelle, il qual, avendo ritratto una favorita d'Alessandro, nomata Campaspe, e lodandogliela per bellissima, sì come acceso di lei, Alessandro glila diede per moglie con molti pesi d'oro dicendogli: «Tu, che hai perfetta cognizione della sua bellezza, sei anco più di me degno di goderla».
LAURO Cosa non poco da lodare in Alessandro, vincendo (a mal grado del senso) se medesmo, e anco onorato premio d'Apelle, donandogli quella femina già elettasi per lui, e perch'è da credere ch'Alessando e altri, i quali premiavano così eccessivamente li pittori, fussero persone giudiciose rispetto alle prodezze loro, e anco da rendersi certo che gli pittori antichi fussero eccellentissimi, il perch'erano in grande istimazione, come un Apelle tanto grato ad Alessandro Magno, ch'oltre il donarli la femina detta, vuolse anco ch'egli solo potesse ritrare l'effigie sua. Cosa ch'accerta la perfezione d'un tal maestro.
FABIO Così tengo io, e a vostra confirmazione vi voglio raccontare alcune cose conservate da' più ingenui scrittori come degne di perpetua memoria. Era Demetrio accampato a Rodi e, per la strenua difesa dei Rodiani, deliberato cacciar fuoco da una parte della città più debole e facile da ispugnare, fu gli detto ch'abbrugiando quel luoco, distruggeva una bella tavola dipinta per man di Protoegene, d'il che più accortosi Demetrio, vuolse prima abandonar l'impresa che distruggere una sì degna opera, e così lasciò illesa la città di Rodi.
LAURO Vedete con qual affettuoso nodo sono legati i pittori dalla pittura, ch'anzi vuol Demetrio conservare una tavola dipinta, ch'immortalarsi con l'acquisto d'una tanta città.
FABIO Si legge in Plinio e altri di Apelle cose molto ammirande, e appresso di me come impossibili, imperò che si dice ch'ei fingeva come propri i raggi del sole, e dipingeva il baleno e lampi tanto al vero simili, ch'imprimeva timore ne' riguardanti, come cosa molto difficile, anzi imitabile, perch'a tal lucidezza non serveno i colori, né anco l'uomo può affissarsi in quelli, sì che ne apprendi buona informazione, per esser tanto i baleni subiti. Dipinse Apelle un cavallo a concorrenza d'alcuni fatti da altri pittori, e volendo quelli giudici conoscere il più perfetto tra quelli, fecero condurre alcuni cavalli vivi al conspetto del dipinti, e, vedendo quello d'Apelle, cominciorono a nitrire e alterarsi, ma per gli altri non fecero alcun segno. Fece Tolomeo un convitto, al qual trovatosi Apelle, e venendo veduto da Tolomeo, che l'odiò sino in vita d'Alessandro, soperbamente gli domandò chi l'avesse introdotto nel suo palagio, alla qual risposta trattosi Apelle da mensa senza altro rispondere, recatosi un carbone in mano, disegnò nel muro una faccia, la qual fu conosciuta come effigie d'uno nominato Piano che l'aveva convitato a tal trionfo. Costui cominciò una Venere, e sopragionto dalla crudel morte, lasciò la figura imperfetta, né mai fu trovato pittore che ardisse di finirla, e così imperfetta fu dal comune molti anni (come cosa maravigliosa) conservata.
LAURO Beato lui, la cui propria virtù lo rende immortale a noi e glorioso tra gli spiriti umani.
FABIO Vi fu uno pittore tebano detto Aristide, il qual vendete una figura di Bacco cento talenti, che valevano cento ducati l'uno, e un'altra pur della costui mano fu comperata dal re Attalo per sei mille sesterzj (li quali sono di valore di due libre e mezza d'oro per uno, secondo Cicerone), e credendo Mumio che vi fusse nascosta una qualche virtù, rivocata la vendita, fece riporre la figura nel tempio di Cerere.
LAURO Oh, ben felice Aristide, meritevole di sì alti prezzi e degno d'una perpetua gloria. Quelli furono amici delle più benigne stelle.
FABIO Che direte di Bularco, che donò una sua tavola (nella qual era dipinto il conflitto delli Magneti) a Candaulo re de' Lidi, il qual re, non sapendo dargli più onorato prezzo, fece porre la tavola sopra una billancia, e l'altra billancia caricò di tanto oro che s'agguagliò al peso della tavola, e con tal modo fu di cortesia reciproco al donatore?
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