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Paolo Pino
Dialogo di pittura

IntraText CT - Lettura del testo

  • XXIII
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XXIII

IMPORTANZA DEL CARTIGLIO

 

LAURO

In fine, se questa benedetta arte si potesse intendere per mezzi ordinati, non mi serìa noglia il pormi il giogo della pazienzia al collo per ornarmi di lei, ma è crudel cosa che niuno mai finisca di farsi maestro.

 

FABIO

Questo c'aviene perché gli intelletti nostri sono impediti dall'imperfezione corporea, a tal ch'aggiungniamo prima alla morte ch'al termine dell'intendere.

 

LAURO

Questo è ch'il nostro Plinio scrive nell'opera sue «faciebat».

 

FABIO

È ben fatto. Il medesimo scriveva il dio della pittura Apelle, volendo farsi intendere che sempre scorgea maggior profondità nel sapere, e quanto più s'impara, tanto più vi riman da imparare.

 

LAURO

È una folla tutte l'ope sue hanno la boletta: cosa risibile.

 

FABIO

Avete il torto a dannare le cose laudevoli, egli si sodisfà, o bene o male, che le sue opere siano, ne rimanghi memoria che lui fu pittore. E sapiate che la memoria dell'uomo è tanto più preclara e lodata, quant'è più nobile quella virtù che lo rende immortale, però egli s'appaga di fare gli uomini consapevoli che egli seguitò la più nobil, la più ingeniosa, la più alta virtù nel mondo. Dimostra anco ch'egli aspirava alla sua immortalità. Il ch'è il più alto umore, la più degna sete, ch'ingombrar possi li petti di noi mortali. E ne dovrebbe sopra ogn'altra cosa attendere tutto uomo. E perché s'affaticorno tanti e tanti antichi fin a' giorni nostri penetrati illesi dalla rivoluzione delle sorti e dalla velocità del tempo, mercé degli scrittori, che celebrando le prodezze negli anni e nelle littere insieme, insieme si resero immortali. E che maggior vituperio di noi, che morir e sotterrarsi col nome? cosa propria agli animali irrazionali; e però qual più contentezza di se medesmo? che più gloria degli posteri? che più propria mercede possiamo rendere a Iddio dell'averci fatto uomini, che lasciar di sé una vertuosa memoria? che varrebbero le virtù? perché ci diede la natura l'intelletto? perché sono istimati gli uomini e signalati uno all'altro? non già per la materia o forma, non già per li beni di fortuna, ma sì bene per le virtù e arti. E qual di noi non sa mangiare, e berre, e dormire? e qual non saprebbe lasciar divorare gli anni suoi all'ozio e all'inerzia? in vero ognuno; né ci dileggi quegli ricconi che tengono l'ignoranza in reputazione. Imperò che la buona fama è miglior della ricchezza, come cosa che si gode in vita e in morte. Il ch'è detto da Salamone. E io non porto invidia ad altri ch'a quelli immortali per le virtù loro.

 

LAURO

Giuro a Dio che, se voi mi persuadesti a divenir luterano (ch'Iddio ci scampi di tal frenesia), vi faccio fede che mi vincereste, tanto le ragioni vostre sono appresso di me penetrabili; e promettovi, per la vita mia, che non più uscirà opera di mia mano senza il suo bolettino, burli chi vuole.

 

FABIO

Anzi sarete lodato da chi saprà lodarvi. E qual gioggia pensate voi che sia di Michiel Angelo Buonaruoti, di Tiziano e altri, che per loro virtù fruiscono tre vite, l'una naturale, l'altra artificiale e l'altra eterna? Oh, ben fortunati uomini veduti da pochi e celebrati da tutti, eletti da Iddio, favoriti dai fati, ben creati dalla natura, e per figliuoli abbracciati dall'arte, e da qual arte: da quella ritrovata e usata dall'eterno pittore Iddio nostro! Oh, felici e gloriosi spiriti, celebri al mondo con tal vìrtù che vi fà degni d'esser nominati dèi mortali!

 

 




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