Introduzione
A
CHI LEGGE
La Secchia Rapita, poema di nuova spezie inventata dal Tassone,
contiene una impresa mezza eroica e mezza civile, fondata su l'istoria della
guerra, che passò tra i Bolognesi e i Modanesi al tempo dell'imperador Federico
Secondo, nella quale Enzio re di Sardigna, figliuolo del medesimo Federico,
combattendo in aiuto de' Modanesi, restò prigione e prima d'esser liberato morí
in Bologna, come oggidi ancora può vedersi dall'epitafio della sua sepoltura
nella chiesa di S. Domenico.
La secchia di legno, per cagion della quale è fama che nascesse tal
guerra, si conserva tuttavia ndl' archivio della Catedrale di Modana, appesa
alla volta della stanza, con una catena di ferro, quale dicone che servisse a
chiudere la porta di Bologna, per onde entrarono i Modanesi quando rapiron la
Secchia.
Di tal guerra ne trattano il Sigonio e 'l Campanaccio istorici, e
alcune Croniche in penna della città di Modana, d'onde si può vedere che 'l
Poema della Secchia Rapita ha per tutto ricognizione d'istoria e di
verità.
L'impresa è una e perfetta, cioè con principio, mezzo e fine; e se non
è una d'un solo, Aristotile non prescrisse mai ai compositori cosi fatte
strettezze. E oggidí è chiaro che le azioni di molti dilettano piú che quelle
d'un solo, e che è piú curiosa da vedere una battaglia campale di qual si
voglia duello. Perciò che il diletto della poesia epica non nasce dal vedere
operare un uomo solo, ma dal sentir rappresentare verisimilmente azioni
maravigliose; le quali quanto sono piú, tanto piú dilettano. Ma facendosi
operare un sol uomo, non si può rappresentare in una impresa sola gran numero
d'azioni; adunque sarà sempre piú
sicuro l'introdurre piú d'uno. E per questo veggiamo che l'Ariosto, tutto che
non abbia unità di favola e introduca gran moltiplicità di persone, diletta
molto piú dell'Odissea d'Omero per la quantità e varietà delle azioni
maravigliose ben collegate insieme.
Ma comunque si sia, quando l'autore compose questo Poema (che fu una
state nella sua gioventú) non fu per acquistar fama in poesia, ma per
passatempo e per curiosità di vedere come riuscivano questi due stili mischiati
insieme, grave e burlesco; imaginando che se ambidue di lettavano separati
avrebbono eziandio dilettato congiunti e misti, se la mistura fosse stata
temperata con artificio tale che dalla loro scambievole varietà tanto i dotti
quanto gli idioti avessero potuto cavarne gusto. Perciò che i dotti leggono
ordinariamente le poesie per ricreazione e si dilettano piú delle baie, quando
sono ben dette, che delle cose serie; e gl'idioti, oltre a gusto che cavano
dalle cose burlesche, sono eziandio rapiti dalla maraviglia, che le azioni
eroiche sogliono partorire.
Or questa nuova strada, come si vede, è piaciuta comunemente.
All'autore basta averla inventata e messa in prova con questo saggio. Intanto,
com'è facile aggiugnere alle cose trovate, potrà forse qualch'altro avanzarsi
meglio per essa.
Egli nel rappresentare le persone passate s'è servito di molte
presenti, come i pittori che cavano dai naturali moderni le faccie antiche;
perciò che è verisimile che quello che a' dí nostri veggiamo, altre volte sia stato.
Però dove egli ha toccato alcun vizio, è da considerare che non sono vizi
particolari, ma comuni del secolo. E che per esempio
il Conte di Culagna e Titta non sono persone determinate, ma le idee d'un
codardo vanaglorioso e d'un zerbin romanesco. E tanto basti etc.
[dall'edizione del 1624 a firma Il Bisquadro, di A. Tassoni]
PAULINO CASTELVECCHIO
Al LETTORI.
Questo poema della Secchia rapita non ha bisogno d'esser lodato per
accreditarsi, perciò che quale egli sia il giudicio commune il dimostra; benché
non vi sieno mancati de' cervelli stravolti, che l'hanno giudicato col giudicio
dell'asino il quale sentenziò che cantava meglio il cucco del rusignolo. Ma non
è maraviglia, poiché anche alla nostra età abbiamo veduti ingegni che hanno
anteposto il Morgante del Pulci alla Gierusalemme del Tasso; e
l'antica vide l'imperatore Adriano che anteponeva Ennio a Virgilio e Celio a
Salustio; ma bench'egli fosse imperatore, il suo giudicio depravato il fe'
riputare un maligno. Io non so se i morti godano dell'applauso, che danno i
vivi all'opere loro; ma stimo ben gran ventura che i vivi veggano date
all'opere loro quelle lodi che cosi di rado e con tanta difficultà a quelle de'
morti vengono concedute. L'invidia e la malignità sono due vizii immascherati,
che senza esser conosciuti danno ferite mortali, benché non sempre i colpi loro abbiano effetto, perciò che
trovano anch'essi dell'armature incantate.
Ma passiamo alle dichiarazioni del Salviani. Gli argomenti de' Canti sono
del signore Abbate Albertino Barisoni, come si può veder dalle prime copie
stampate in Parigi.
[dall'edizione
del 1630 di A. Tassoni]
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