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Antonio Pigafetta
Relazione del primo viaggio intorno al mondo descritti da Antonio Pigafetta vicentino, cavaliere di Rodi

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  • IV
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IV

Lo ringraziarono molto [e dissero] che farebbono ogni cosa volontieri. Anche li fece dire se erano Mori o Gentili, o in che credevano. Risposero che non adoravano altro, se non [che] alzavano le mani giunte e la faccia al cielo e che chiamavano lo suo Dio Abba: per la qual cosa lo capitano ebbe grande allegrezza. Vedendo questo, el primo re levò le mani al cielo e disse che vorria, se fosse possibile, farli vedere il suo amore verso de lui. Lo interprete gli disse per quale ragione aveva quivi così poco da mangiare. Rispose che non abitava in questo loco, se non quando veniva a la caccia e a vedere lo suo fratello; ma stava in una altra isola, dove aveva tutta la sua famiglia.

Li fece dire se aveva nemici lo dicesse, perciò [che] andrebbe con questa nave e distruggerli e farìa [che] lo obbediriano. Lo rengraziò e disse che aveva bene due isole nemiche, ma che allora non era tempo de andarvi. Lo capitano li disse [che], se Dio facesse che un'altra fiata ritornasse in queste parte, condurria tanta gente che farebbe per forza esserli soggette, e che voleva andar a disnare e dappoi tornerebbe per far porre la croce in cima del monte. Risposero erano contenti. Facendosi un battaglione con scaricare gli schioppetti e abbracciandosi lo capitano con li due re, pigliassimo licenza.

 

Dopo disnare tornassemo tutti in giubbone e andassemo insieme con li due re nel mezzodì in cima del più alto monte che fosse. Quando arrivassemo in cima, lo capitano generale li disse come aveva caro avere sudato per loro, perchè, essendo ivi la croce, non poteva se non grandemente giovarli. E domandolli qual porto era migliore per vettovaglie. Dicessero che ne erano tre; cioè Ceylon, Zubu e Calaghan; ma che Zubu era più grande e de miglior traffico e se profferseno de darne piloti che ne insegnerebbeno il viaggio.

Lo capitano generale li ringraziò e deliberò di andar , perchè così voleva la sua infelice sorte. Posta la croce, ognuno disse uno Pater noster e una Ave Maria, adorandola: così li re feceno. Poi discendessimo per li suoi campi lavorati e andassimo dove era lo balangai. Li re fecero portare alquanti cocchi, acciò se rinfrescassimo. Lo capitano li domandò li piloti, perchè la mattina seguente voleva partirsi e che li tratterebbe come medesimo, lasciandogli uno dei nostri per ostaggio. Risposero che ogni ora li volesse erano al suo comando; ma ne la notte il primo re se mutò d'opinione. La mattina, quando èramo per partirsi, el re mandò a dire al capitano generale che, per amore suo, aspettasse due giorni, finchè facesse cogliere el riso ed altri suoi minuti, pregandolo mandasse alcuni uomini per aiutarli, acciò più presto se spacciasse, e che lui medesimo voleva essere lo nostro piloto.

Lo capitano mandogli alcuni uomini, ma li re tanto mangiarono e bevetteno che dormitteno tutto il giorno. Alcuni per escusarli dissero che avevano uno poco de male. Per quel giorno li nostri non fecero niente, ma negli altri dui seguenti lavorarono. Uno de questi popoli ne portò forse una scodella de riso con otto o dieci fichi, legati insieme, per barattarli con uno coltello che valeva al più tre quattrini. Il capitano, vedendo [che] questo non voleva altro se non un coltello, lo chiamò per vedere più cose; mise mano a la borsa e li volse dare per quelle cose uno reale: lui nol volse; gli mostrò uno ducato, manco lo accettò: al fine li volse dare un doppione di due ducati; non volse mai altro che un coltello e così glie lo fece dare. Andando uno de li nostri in terra per torre acqua, uno de questi li volse dare una corona pontina de oro massiccio, grande come una colonna, per sei filze di cristallino: ma il capitano non volle che la barattasse, acciochè in questo principio sapessero per periziavamo più la nostra mercanzia che lo suo oro.

 

Questi populi sono Gentili; vanno nudi e depinti: portano un pezzo de tela de arbore intorno le sue vergogne; sono grandissimi bevitori. Le sue femmine vanno vestite de tela de arbore da la cinta in giù, con li capelli negri fino in terra, hanno forate le orecchie e piene de oro. Questa gente sempre masticano uno frutto che chiamano areca; è come uno pero. Lo tagliano in quattro parti, e poi lo volveno ne le foglie del suo albero, che le nominano betre; sono come foglie del moraro, con uno poco de calcina, e, quando le hanno ben masticate, le sputano fora: fanno diventare la bocca rossissima. Tutti li popoli de questa parte del mondo le usano perchè rinfrescali molto el core. Se restasseno de usarle, morirebbeno.

In questa isola sono cani, gatti, porci, galline, capre, riso, zenzero, cocchi, fichi, naranzi, limoni, miglio, panico, sorgo, cera e molto oro. Sta de latitudine in 9 gradi e due terzi all'Artico, e 162 de longitudine della linea de la ripartizione, e 25 leghe longe de la Acquada, e se chiama Mazana.

 

Stessemo sette giorni quivi; poi pigliassimo la via del maestrale passando prima cinque isole, cioè Ceylon, Bohol, Canigran, Bagbai e Gatighan. In questa isola de Gatighan sono barbastelli grandi come aquile; perchè era tardi ne ammazzassemo uno: era come una gallina al mangiare. Ce sono colombi, tortore, pappagalli e certi uccelli negri, grandi come galline, con la coda lunga; fanno ovi grandi come de oca, li mettono sotto la sabbia per lo gran caldo li crea. Quando sono nasciuti alzano la arena e vieneno fora. Questi ovi sono boni da mangiare. Da Mazana a Gatighan sono venti leghe. Partendone da Gatighan al ponente, il re di Mazana non ne potè seguire; perchè lo aspettassemo circa tre isole, Polo, Ticobon e Poxon. Quando el gionse, molto se meravigliò del nostro navigare. Lo capitano generale lo fece montare ne la sua nave con alcuni suoi principali, del che ebbero gran piacere, e così andassemo in Zubu. Da Gatighan a Zubu sono quindici leghe.

 

La domenica, a 7 de aprile, a mezzo , intrassemo nel porto di Zubu; passando per molti villaggi vedevamo molte case fatte sopra li arbori. Appropinquandose a la città, lo capitano generale comandò [che] le nave s'imbandierasseno: furono calate le vele e poste a modo de battaglia e scaricò tutta l'artigliaria, per il che questi popoli ebbero grandissima paura. Lo capitano mandò uno suo allievo, con lo interprete, ambasciatore al re de Zubu. Quando arrivorno ne la città, trovorono infiniti uomini insieme con lo re, tutti paurosi per le bombarde. L'interprete li disse questo essere nostro costume, [che] entrando in simili luoghi, in segno de pace e amicizia e per onorare lo re del luogo, scaricavamo tutte le bombarde. El re e tutti li suoi se assecurorno; e fece dire a li nostri per lo suo governatore che [cosa] volevano. L'interprete rispose come el suo signore era capitano del maggiore re e principe [che] fosse nel mondo, e che andava a discovrire Malucco; ma per la sua buona fama, come aveva inteso dal re de Mazana, era venuto solamente per visitarlo e pigliare vittuaglia con la sua marcadanzia.

 

Li disse che in bona ora era venuto, ma che aveva questa usanza: tutte le navi che entravano nel porto suo pagavano tributo, e che non erano quattro giorni che uno giunco cargato d'oro e de schiavi, li aveva dato tributo; e per segno de questo gli mostrò uno mercadante de Ciama che era restato per mercadantare oro e schiavi. Lo interprete li disse como el suo signore, per essere capitano de tanto gran re, non pagava tributo ad alcuno signore del mondo, e se voleva pace, pace avrebbe e se non guerra, guerra. Allora el Moro mercadante disse al re: Cata, raja, chiba, cioè: Guarda bene, signore: questi sono de quelli che hanno conquistato Calicut, Malacca e tutta l'India Maggiore. Se bene se li fa, bene si ha; se male, male e peggio, come hanno fato a Calicut e a Malacca.

L'interprete intese lo tutto e dissegli che 'l re suo signore era più potente de gente e de navi che lo re del Portogallo, e era re de Spagna e imperatore de tutti li Cristiani e, se non voleva esserli amico, li mandaria un'altra fiata tanta gente che lo destrueriano. Il Moro narrò ogni cosa al re. Allora li disse [che] se consigliarebbe con li sui, e nel seguente li responderebbe. Poi fece portare una colazione de molte vivande, tutte de carne, poste in piatti de porcellane, con molti vasi de vino. Data la colazione, li nostri retornorono e ne dissero lo tutto. Il re de Mazana, che era lo primo dopo questo re e signore de alquante isole, andò in terra per dire al re la gran cortesia del capitano generale.

 

Luni mattina il nostro scrivano insieme con l'interprete andorono in Zubu: venne il re con li suoi principali in piazza e fece sedere li nostri appresso lui. Li disse se più d'uno capitano era in questa compagnia, e se 'l voleva lui pagasse tributo a l'imperatore suo signor. Rispose de non, ma voleva solamente [che] mercatandasse con lui e non con altri. Disse che era contento; e, se lo capitano nostro voleva essere suo amico, li mandasse un poco de sangue del suo braccio diritto, e così farebbe lui, per segno de più vera amicizia. Rispose che lo faria. Poi lo re li disse come tutti li capi che venivano quivi se davano presenti l'uno con l'altro e se lo nostro capitano o lui doveva cominciare. L'interprete li disse poi che [se] lui voleva mantegnire questo costume, comenzasse; così comenzò.

 

Marti mattina el re de Mazana con lo Moro venne a le navi, salutò lo capitano generale da parte del re e disseli como el re de Zubu faceva adunare più vittuaglia [che] poteva per darnela, e come manderebbe, dopo disnare, uno suo nipote con due o tre de sui principali per fare la pace. Lo capitano generale fece armare uno de le sue proprie arme e feceli dire come tutti noi combattevamo de quella sorta. Il Moro molto si spaventò: il capitano li disse non si spaventasse, perchè le nostre arme erano piacevoli a li amici e aspre a li nemici; e così come li fazoli asciogano il sudore, così le nostre arme atterrano e destruggeno tutti li avversari e malevoli della nostra fede. Fece questo acciò el Moro, che pareva essere più astuto de li altri, lo dicesse al re.

 

Dopo disnare venne a le navi lo nipote del re, che era principe, col re di Mazana, il Moro, il governatore e il bargello maggiore con otto principali, per fare la pace con noi. Lo capitano generale, sedendo in una cattedra de velluto rosso, li principali in sedie de corame e li altri in terra sovra store, li disse per lo interprete, se lo suo costume era di parlare in secreto, ovvero in pubblico, e se questo principe col re de Mazana avevano il potere di fare la pace. Rispose che parlavano in pubblico e che costoro avevano il potere de far la pace.

Lo capitano disse molte cose sovra la pace e che 'l pregava Iddio la confirmasse in cielo: dissero che mai non avevano aldite cotali parole e che pigliavano gran piacere a udirle. Vedendo lo capitano che questi volontieri ascoltavano e rispondevano, li cominciò [a] dire cose per indurli a la fede.

Domandò qual dopo la morte del re succedesse a la signoria: rispose che lo re non aveva figlioli, ma figliole, e che questo suo nipote aveva per moglie la maggiore; perciò era lo principe e quando li padri e madri erano vecchi non si onoravano piú, ma li figlioli li comandavano. Lo capitano li disse come Iddio fece lo cielo, la terra, lo mare e tante altre cose, e come impose se dovessero onorare li padri e madri e, chi altramente faceva, era condannato nel fuoco eterno; e come tutti descendevamo da Adam e Eva, nostri primi parenti; e come avevamo l'anima immortale, e molte altre cose pertinenti a la fede. Tutti allegri lo supplicorono volesse lasciarli due uomini, o almeno uno, acciò li ammaestrasse ne la fede e che li farebbeno grande onore. Gli rispose che allora non poteva lasciarli alcuno, ma se volevano essere Cristiani, lo prete nostro li battezzerebbe, e che un'altra fiata menaria preti e frati, che li insegnerebbero la fede nostra. Risposero che prima volevano parlare al re e poi diventarebbero Cristiani. Lagrimassemo tutti per la grande allegrezza.

Lo capitano li disse che non se fecero Cristiani per paura per compiacerne, ma volontariamente, e, a coloro che volevano vivere secondo la sua legge, non li sarebbe fatto dispiacere alcuno; ma li Cristiani sariano meglio visti e carezzati che gli altri. Tutti gridarono ad una voce, che non si facevano Cristiani per paura, per compiacerne, ma per spontanea volontade.

E allora li disse che, se diventavano Cristiani, gli lascerebbe una armatura; perchè così li era stato imposto dal suo re, e come non potevano usare con le sue donne, essendo Gentili, senza grandissimo peccato; e come li assecurava, che, essendo Cristiani, non li apparirebbe più el demonio, se non nel punto estremo della sua morte. Disseno che non sapevano risponderli per le sue belle parole, ma se rimettevano nelle sue mani e facesse de loro come dei suoi fedelissimi servitori. Lo capitano, piangendo, li abbrazzò, e aggiungendo una mano del principe e una del re fra le sue, li disse per la fede [che] portava a Dio e per lo abito che aveva, li prometteva che li dava la pace perpetua col re di Spagna. Risposeno che lo simile promettevano.

Conclusa la pace, lo capitano fece dare una colazione; poi lo principe e [lo] re presentarono al capitano, da parte del suo re, alquanti cestoni de riso, porci, capre e galline, e gli dissero li perdonasse per ciò [che] tal cose erano poche a uno simile a lui. Lo capitano donò al principe uno panno bianco di tela sottilissima, uno bonnet rosso, alquante filze de cristallino e uno bicchier dorato de vetro. Li vetri sono molto apprezzati in queste parti. Al re di Mazana non li dette alcun presente, perchè già li aveva dato una veste de Cambaya con altre cose, e a li altri a chi una cosa, a chi un'altra.

Mandò poi al re de Zubu, per mi e uno altro, una veste di seta gialla e morella a guisa turchesca, uno bonnet rosso fino, alquante filze de cristallino, posto ogni cosa in uno piatto d'argento e due biccheri dorati in mano.

 

Quando fossimo ne la città, trovassemo lo re in suo palazio con molti uomini, che sedeva in terra sovra una stora de palma: aveva solamente uno panno de tela de bombaso dinanzi alle sue vergogne, uno velo intorno al capo, lavorato a gucchia, una collana al collo de gran prezio, due schione grande de oro [at]taccate a le orecchie, con pietre preziose attorno.

Era grasso e piccolo e depinto con lo fuoco a diverse maniere: mangiava in terra sovra un'altra stora ovi de bissa scutellara, posti in due vasi de porcellana; e aveva dinnanzi quattro vasi pieni de vino de palma, serrati con erbe odorifere, e ficcati quattro cannuti: con ogni uno de questi beveva.

Fatta la debita reverenza, l'interprete li disse como lo suo signore lo rengraziava molto del suo presente, e che li mandava questo, non per il suo, ma per lo [in]trinsico amore [che] li portava. Li vestissimo la veste, gli ponessimo il bonnet in capo e li dessemo le altre cose: e poi baciando li vetri e ponendoli sovra lo capo, le li presentai e facendo lui il simile, li accettò. Poi il re ne fece mangiare de quelli ovi e bere con quelli cannuti. Li altri sui in questo mezzo gli dissero lo parlamento del capitano sovra la pace e lo esortamento per farli Cristiani.

Il re ne volse tener seco a cena; li dicessemo non potevamo allora restare. Pigliata la licenza, il principe ne menò seco a casa sua, dove sonavano quattro fanciulle, una de tamburo a modo nostro, ma era posta in terra; un'altra dava con un legno, fatto alquanto grosso nel capo con tela de palma, in due borchie piccate, uno in l'uno, uno in l'altro: l'altra in una borchia grande col medesimo modo: la ultima con due borchiette in mano; dando l'una nell'altra, facevano un soave suono. Tanto a tempo sonavano, che pareva avessero gran ragion del canto. Queste erano assai belle e bianche, quasi come le nostre e così grandi: erano nude, se non che avevano tela de arbore da la cinta fino al ginocchio, e alcune tutte nude, col picchietto de le orecchie grande, con un cerchietto de legno dentro, che lo tiene tondo e largo; con li capelli grandi e negri, e con uno velo piccolo attorno al capo, e sempre discalze. Il principe ne fece ballare con tre, tutte nude. Merendassemo e da poi venissemo alle navi. Queste borchie sono de metallo e se fanno nella regione del Signio Magno, che è detta la China. Quivi le usano come noi le campane e le chiamano aghon.

 

Mercore mattina, per esser morto uno dei nostri ne la notte passata, l'interprete ed io andassemo a domandare al re dove lo poteriamo seppellire. Trovassemo lo re accompagnato da molti uomini, a cui, fatta la debita reverenzia, li lo dissi. Rispose: “se io e li miei vassalli semo tutti del tuo signore, quanto maggiormente deve esser [sua] la terra ”. E li dissi come volevamo consecrare il luogo e metterli una croce: rispose che era molto contento e che la voleva adorare come noi altri. Fu sepolto lo morto ne la piazza, al meglio potessemo, per darli bon esempio; e poi la consacrassemo; sul tardi ne seppellissimo un altro. Portassemo molta mercanzia in terra, e la mettessemo in una casa, qual el re la tolse sovra sua fede, e quattro uomini che erano restati per mercatandare in grosso.

Questi popoli vivono con giustizia, peso e misura; amano la pace, l'ozio e la quiete: hanno bilance de legno. Lo legno ha una corda nel mezzo con la quale se tiene; d'uno capo è piombo, e de l'altro segni come quarti, terzi e libbre. Quando voleno pesare pigliano la bilancia, che è con tre fili como le nostre, e la metteno sovra li segni, e così pesano giusto. Hanno misure grandissime senza fondo. Le giovani giocano a la zampogna, fatte come le nostre, e le chiamano subin. Le case sono de legno de tavole e de canne, edificate sopra pali grossi, alte da terra, che bisogna andarvi dentro con scale e hanno camere come le nostre. Sotto le case teneno li porci, capre e galline.

 

Se trovano quivi cornioli grandi, belli a vedere, che ammazzano le balene, le quale li inghiottono vivi. Quando loro sono nel corpo, veneno fuora del suo coperto e li mangiano el core. Questa gente li trovano poi vivi appresso del core de le balene morte. Questi [cornioli] hanno denti, la pelle negra, il coperto bianco e la carne: sono boni da mangiare e li chiamano laghan.

 

Venere li mostrassemo una bottega piena de le nostre mercanzie, per il che restorono molto ammirati: per metallo, ferro e l'altra mercanzia grossa ne davano oro: per le minute ne davano riso, porci e capre con altre vettovaglie. Questi popoli ne davano X pesi de oro per XIIII libbre de ferro: un peso è circa d'uno ducato e mezzo. Lo capitano generale non volse se pigliasse troppo oro, perchè sarebbe stato alcuno marinaro che avrebbe dato tutto lo suo per uno poco de oro, e averia disconciato lo traffico per sempre.

 

Sabato, per avere promesso lo re al capitano de farsi Cristiano ne la Domenica, se fece ne la piazza, che era sacrata, uno tribunale adornato de tapezzeria e rami de palme per battizzarlo: e mandolli a dire che nella mattina non avesse paura de le bombarde, per ciò [che] era nostro costume, ne le feste maggiore, descaricarle senza pietre.

 

Domenica mattina, a quattordese de aprile, andassemo in terra quaranta uomini, con due uomini tutti armati dinanzi a la bandiera reale. Quando dismontassemo, se tirò tutta la artiglieria. Questi popoli seguivano de qua e de . Lo capitano e lo re se abbracciorono. Li disse che la bandiera reale non se portava in terra, se non con cinquanta uomini, come erano li dui armati, e con cinquanta scoppettieri; ma per lo suo grande amore così la aveva portata. Poi tutti allegri andassemo presso al tribunale. Lo capitano e lo re sedevano in cattedre de velluto rosso e morello, li principali in cuscini, li altri sovra store.

Lo capitano disse al re, per lo interprete, [che] ringraziasse Iddio per ciò [che] lo aveva inspirato a farse Cristiano, e che vincerebbe più facilmente li sui nemici che prima. Rispose che voleva esser Cristiano; ma alcuni suoi principali non volevano obbedire, perchè dicevano essere così uomini come lui. Allora lo nostro capitano fece chiamare tutti li principali del re, e disseli, se non obbedivano al re come suo re, li farebbe ammazzare e darìa la sua roba al re. Risposero [che] lo obbedirebbono. Disse al re [che], se andava in Spagna, ritornerebbe un'altra volta con tanto potere, che lo faria lo maggiore re de quelle parte, perchè era stato primo a voler farse Cristiano. Levando le mani al cielo, [il re] lo ringraziò e pregò [che] alcuni de li suoi rimanesse, acciò meglio lui e li suoi popoli fossero istruiti nella fede. Lo capitano rispose che per contentarlo li lasserebbe dui; ma voleva menar seco dui fanciulli de li principali, acciò imparassero la lingua nostra, e poi, a la ritornata, sapessero dire a questi altri le cose di Spagna.

Se mise una croce grande nel mezzo de la piazza. Lo capitano li disse [che], se si volevano far Cristiani, come avevano detto ne li giorni passati, li bisognava brusare tutti li suoi idoli, e nel luogo loro mettere una croce e ogni con le mani giunte adorarla e ogni mattina nel viso farsi lo segno de la Croce, mostrandoli come se faceva; e ogni ora, almeno de mattina, dovessero venire a questa croce e adorarla in genocchioni, e quel che avevano già detto, volesser con le buone opere confirmarlo. El re con tutti li altri volevano confirmare lo tutto. Lo capitano generale li disse come s'era vestito tutto de bianco per mostrarli lo suo sincero amore verso de loro. Risposero per le sue dolci parole non saperli respondere. Con queste buone parole lo capitano condusse lo re per la mano sul tribunale per battizzarlo, e disseli se chiameria don Carlo, como a l'imperatore suo signore; al re de Mazana Gioanni; a uno principale Fernando, come il principale nostro, cioè lo capitano; al Moro Cristoforo; poi a li altri a chi uno nome, a chi uno altro.

Foreno battizzati innanzi messa cinquecento uomini. Udita la messa, lo capitano convitò a disnar seco lo re con altri principali: non volsero; ne accompagnarono fino a la riva, le navi scaricarono tutte le bombarde; e abbracciandose presero commiato.




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