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Antonio Pigafetta
Relazione del primo viaggio intorno al mondo descritti da Antonio Pigafetta vicentino, cavaliere di Rodi

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VI

Lungi disdotto leghe de questa isola Zubu, al capo de quell'altra, che se chiama Bohol, brusassemo in mezzo de questo arcipelago la nave Conceptione per essere restati troppo pochi e fornissemo le altre due de le cose sue migliore. Pigliassemo poi la via del garbin e mezzodì costando la isola, che se dice Panilonghon, nella quale sono uomini negri, come sono in Etiopia. Poi arrivassemo a una isola grande, lo re della quale per far pace con noi se cavò sangue de la mano sinistra, sanguinandose lo corpo, lo volto e la cima della lingua in segno de maggior amicizia. Così facessemo anche noi. Io solo andai con lo re in terra per vedere questa isola. Subito che entrassimo in uno fiume, molti pescatori presentarono pesce al re; poi lo re se cavò li panni, che aveva intorno le sue vergogne, con alcuni suoi principali, e cantando cominciorono a vogare, passando per molte abitazioni, che erano sovra lo fiume. Arrivassemo a due ore de notte in casa sua. Dal principio de questo fiume, dove stavano le navi, fino a la casa del re erano due leghe.

Entrando ne la casa ne venirono incontro [con] molte torce de canna e de foglie de palma. Queste torce erano de anime, come detto de sovra. Finchè se apparecchiò la cena, lo re con dui principali e due sue femmine belle beverono uno gran vaso de vino pieno, de palma, senza mangiare niente. Io, escusandomi avere cenato, non volsi bere se non una volta. Bevendo, facevano tutte le cerimonie come el re de Mazana.

Venne poi la cena di riso e pesce molto salato, posto in scodelle de porcellana. Mangiavano lo riso per pane. Cociono lo riso in questo modo: prima mettono dentro in pignatte de terra come le nostre una foglia grande, che circunda tutta la pignata; poi li mettono l'acqua e il riso coprendola: la lasciano bollire fin che viene lo riso duro come pane; poi la cavano fuora in pezzi. In tutte queste parti cociono lo riso in questa sorte.

Cenato che avessemo, lo re fece portare una stora de canne con un'altra de palme e uno cuscino de foglie, acciò io dormisse sovra queste. Il re con le due femmine andò a dormire in uno luoco separato: dormì con uno suo principale. Venuto il giorno, mentre si apparecchiò lo disnare, andai per questa isola. Vidi in queste loro case assai masserizie de oro e poca vettovaglia. Poi disnassimo riso e pesce. Finito lo disnare, dissi al [re] con segni [che] vederia la regina: me rispose [che] era contento. Andassemo de compagnia in cima de uno alto monte, dove era la casa della reina. Quando entrai in casa, le feci la reverenza e lei così verso de me; sedetti appresso a ella, la quale faceva una stora de palma, per dormire. Per la casa sua erano attaccati molti vasi de porcellana e quattro borchie de metallo, una maggiore dell'altra e due più piccole, per sonare. Gli erano molti schiavi e schiave, che la servivano.

Queste case sono fatte come le altre già dette. Pigliata licenza, tornassemo in casa del re. Subito fece darne una colazione de canne dolce. La maggior abbondanza che sia in questa isola è de oro: mi mostrarono certi valloni, facendomi segno che in quelli era tanto oro come li sui capelli, ma non hanno ferro per cavarlo, anche voleno quella fatica.

Questa parte de la isola è una medesima terra con Butuan e Calogan e passa sopra Bohol e confina con Mazana. Perchè torneremo una altra fiata in questa isola, non dico altro.

Passato mezzodì, volsi tornare a le navi; el re volse venire li altri principali; e così venissemo nel medesimo balangai. Retornando per lo fiume, vidi, a man dritta, sopra un monticello tre uomini appiccati a uno arbore, che aveva tagliati li rami. Domandai al re chi erano quelli; respose che erano malfattori e robatori. Questi populi vanno nudi come li altri de sopra. Lo re se chiama raià Calanao. El porto è buono: e quivi se trova riso, zenzero, porci, capre, galline e altre cose. Sta de latitudine al polo Artico in 8 gradi e 167 de longitudine della linea ripartizionale, e longi de Zubu cinque leghe e se chiama Chipit. Due giornate de qui, al maestrale, se trova una isola grande detta Lozon, dove vanno ogni anno sei, ovver otto giunche de li popoli Lechii.

 

Partendone de qui a la mezza partita de ponente e garbin, dessemo in una isola non molto grande e quasi disabitata. La gente de questa sono Mori e erano banditi d'una isola detta Burne. Vanno nudi come li altri: hanno zarabotane con li carcassetti a lato piene di frezze e con erba venenata; hanno pugnali con li manichi ornati de oro e de pietre preziose; lancie, rodelle e corazzine de corno de bufalo. Ne chiamavano corpi santi. In questa isola se trova poca vettovaglia, ma arbori grandissimi. Sta de latitudine al polo Artico in 7 gradi e mezzo lungi da Chippit quarantatre leghe; e chiamase Caghaian.

A quest'isola, circa de venticinque leghe tra ponente e maestrale, trovassemo una isola grande, dove si trova riso, zenzero, porci, capre, galline, fichi longhi mezzo braccio e grossi come lo braccio — sono buoni e alcuni altri, longhi un palmo e altri manco, molto migliori de tutti li altri — cocchi, batate, canne dolci, radici come rapi al mangiare, e riso cotto sotto lo fuoco in canne o in legno. Questa terra potevamo chiamare la terra de promissione, perchè innanzi [che] la trovassimo pativamo gran fame. Assai volte stessemo in forse se abbandonare le navi e andare in terra, per non morire de fame. Lo re fece pace con noi, tagliandose un poco con uno nostro coltello in mezzo del petto, e sanguinando se toccò la lingua e la fronte in segno di più vera pace: così fecemo anche noi. Questa isola sta de latitudine al polo Artico in 9 gradi e uno terzo, e cento e settantauno e uno terzo de longitudine de la linea [di] ripartizione [e si chiama] Pulaoan.

 

Questi popoli de Pulaoan vanno nudi come li altri. Quasi tutti lavorano li sui campi: hanno cerebottane con frezze de legno grosse più d'un palmo, arpionate e alcune con spine de pesce con erba venenata e altre con punte de canne arpionate e venenate.

Hanno nel capo ficcato un poco de legno molle in cambio de le penne. Nel fine delle sue cerebottane legano uno ferro, come di iannettone e, quando hanno tratte le frezze, combatteno con questo.

Preziano anelli, catenelle di ottone, sonagli, coltelli, e più el filo de rame per legare li sui ami da pescare. Hanno galli grandi molto domestici; non li mangiano per una certa sua venerazione: alcuna volta li fanno combattere l'uno con l'altro; e ogni uno mette per lo suo un tanto, e poi de colui, che è suo il vincitore, è suo il premio. E hanno vino de riso lambiccato più grande e megliore di quello de palma.

 

Lungi da questa isola dieci leghe, al garbin, dessemo in un'isola e, costeandola, ne pareva alquanto ascendere. Intrati nel porto, ne apparve el Corpo Santo per un tempo oscurissimo. Dal principio de questa isola fino al porto vi sono cinquanta leghe. Lo giorno seguente, a nove de luglio, lo re de questa isola ne mandò uno prao molto bello con la prora e la poppa lavorata de oro: era sopra la prora una bandiera de bianco e azzurro con penne de pavone; in cima alcuni sonavano con sinfonie e tamburi. Venivano con questo prao due almadie. Li prao sono come fuste e le almadie sono le sue barche da pescare. Otto uomini vecchi de li principali entrorono ne le navi e sederono ne la poppa sopra uno tappeto. Ne appresentarono un vaso de legno depinto, pieno de betre e areca, che è quel frutto che masticano sempre, con fiori de gelsomini e de naranzi, coperto da uno panno de seta giallo; due gabbie piene de galline, uno paro de capre, tre vasi pieni de riso lambiccato e alquanti fasci de canne dolci — e così dettero a l'altra nave — e abbracciandone pigliarono licenza. El vino de riso è chiaro come l'acqua, ma tanto grande che molti de li nostri s'embriacarono; e lo chiamano arach.

De a sei giorni lo re mandò un'altra volta tre prao con molta pompa, sonando sinfonie, tamburi e borchie de lattone. Circondorono le navi e ne fecero reverenza con certe sue berrette de tela, che li coprono solamente la cima del capo. Li salutassemo con le bombarde senza pietre. Poi ne dettero uno presente de diverse vivande solamente de riso: alcune in foglie fatte in pezzi alquanto lunghi, alcune come pani di zuccaro e alcune fatte a modo de torte con ovi e miele. Ne dissero como lo suo re era contento pigliassemo acqua e legna e contrattassemo al nostro piacere.

Udendo questo, montassemo sette de nui altri sopra lo prao e portassemo uno presente al re, el quale era una vesta de velluto verde a la turchesca, una cattedra de velluto morello, cinque braccia de panno rosso, uno bonet, e uno bicchier dorato, uno vaso de vetro coperto, tre quinterni de carta e uno calamaro dorato; a la regina tre braccia de panno giallo, uno paro de scarpe argentate, uno gucchiarolo d'argento pieno de guggie; al governatore tre braccia de panno rosso, uno bonnet e uno bicchier dorato; al re d'arme, che era venuto nelli prao, li dessemo una veste de panno rosso e verde a la turchesca, uno bonnet e uno quinterno de carta: a li altri sette principali, a chi tela, a chi bonetti, e a ognuno uno quinterno de carta: e subito se partissimo.

 

Quando giungessemo a la città, stessero forse due ore ne li prao, finchè venirono due elefanti coperti de seta e dodici uomini con uno vaso per uno de porcellana coperto de seta per coprire [i] nostri presenti: poi montassemo sopra gli elefanti, e questi dodici uomini andavano dinnanzi con li presenti ne li vasi. Andassemo così fino a la casa del governatore, ove ne fu data una cena de molte vivande. La notte dormissemo sovra materazzi de bambaso: la sua fodera era de taffetà; li lenzoli de Cambaia.

Lo giorno seguente stessimo in casa fino a mezzodì: poi andassemo al palazzo del re sovra elefanti, con li presenti dinnanzi, come lo giorno davanti, da casa del governatore fin in casa del re. Tutte le strade erano piene de uomini con spade, lancie e targoni, perchè così aveva voluto lo re.

Intrassemo sovra li elefanti ne la corte del palazzo: andassemo su per una scala accompagnati dal governatore e altri principali, e intrassemo in una sala grande, piena di molti baroni, ove sedessemo sopra un tappeto, con li presenti ne li vasi appresso noi. Al capo de questa sala ne è un'altra più alta, ma alquanto più piccola, tutta ornata de panni de seta, ove se aprivano due finestre con due cortine de broccato, da le quali veniva la luce nella sala. Ivi erano trecento uomini in piede, con stocchi nudi sovra la coscia, per guardia del re. Al capo de questa era una grande fenestra, da la quale se tirò una cortina de broccato.

Dentro de questa vedessimo il re sedere a tavola con uno suo figlio piccolino e masticare betre; dietro de lui erano se non donne. Allora ne disse uno principale [che] noi non potevamo parlare al re; e se volevamo alcuna cosa, lo dicessemo a lui, perchè lo direbbe a uno più principale, e quello a uno fratello del governatore, che stava nella sala più piccola, e poi lui lo direbbe con una cerbottana, per una fessura della parete, a uno che stava dentro con lo re. E ne insegnò dovessemo fare al re tre reverenzie con le mani gionte sopra lo capo, alzando li piedi, mo' uno, mo' l'altro, e poi le basassemo. Così fu fatto. Questa è la sua reverenzia reale.

Gli dicessemo come èramo del re de Spagna e che lui voleva pace seco, e non domandavamo altro, salvo potere mercadantare. Ne fece dire el re, [che] poichè il re di Spagna voleva essere suo amico, lui era contentissimo de esser suo, e disse [che] pigliassemo acqua e legna e mercadantassemo a nostro piacere. Poi li dessemo li presenti: faceva d'ogni cosa con lo capo un poco de reverenzia.

A ciascuno de noi altri fu dato broccatello e panni de oro e de seta, ponendoli sopra la spalla sinistra, ma poco lasciandonegli. Ne dettero una colazione de garofoli e cannella. Allora forono tirate le cortine e serrate le fenestre.

Li uomini che erano nel palazzo, tutti avevano panni de oro e de seta intorno a le loro vergogne, pugnali con lo manico de oro e ornati de perle e pietre preziose, e molti anelli ne le mani.

Ritornassemo sovra li elefanti a la casa del governatore: sette uomini portarono il presente del re sempre dinnanzi.

Quando fossimo gionti a casa dereno a ognuno lo suo e ne 'l misero sovra la spalla sinistra: a li quali, per [la] sua fatica, donassemo a ciascheduno uno paro de coltelli. Venirono in casa del governatore nove uomini con altri tanti piatti de legno grandi da parte del re. In ogni piatto erano X, ovvero dodici scodelle de porcellana, piene de carne de vitello, de capponi, galline, pavoni e altri animali, e de pesce. Cenassemo in terra, sovra una stora de palma, de trenta a trentadue sorte de vivande de carne, eccetto lo pesce, e altre cose. Bevevamo a ogni boccone pieno uno vasetto de porcellana, grande come uno ovo, de quel vino lambiccato: mangiassemo riso e altre vivande de zuccaro con cucchiari d'oro come li nostri.

Ove dormissemo le due notti, stavano due torcie de cera bianca, sempre accese, sovra dui candelieri d'argento, un poco alti, e due lampade grande piene d'olio, con quattro pavèri per ogni una, e dui uomini che sempre le spavillavano.

Venissemo sovra li elefanti sovra la riva del mare, dove furono dui prao, che ne condussero a le navi.

Questa città è tutta fondata in acqua salsa, salvo la casa del re e alcune de certi principali; ed è de venticinque mila fochi. Le case sono tutte de legno, edificate sopra pali grossi, alti da terra. Quando lo mare cresce, vanno le donne per la terra con barche vendendo cose necessarie al suo vivere. Dinnanzi la casa del re è uno muro de quadrelli grosso, con barbacani a modo de fortezza, nel quale erano cinquantasei bombarde de metallo e sei de ferro. In li due giorni [che] stessemo ivi, [ne] scaricarono molte.

Questo re è moro e se chiama Siripada. Era de quaranta anni e grasso. Niuno lo governa, se non donne, figliuole de li principali. Non si parte mai fuora del palazzo, se non quando va a la caccia: niuno gli può parlare, se non per cerbottane; tiene X scrivani, che scrivono le cose sue in scorze de arbore molto sottili. A questi chiamano xiritoles.

 

Luni mattina, a ventinove di luglio, vedessimo venire contra noi più che cento prao, partiti in tre squadroni, con altrettanti tunguli, che sono le sue barche piccole. Quando vedessimo questo, pensando fosse qualche inganno, ne dessemo lo più presto possibile a la vela, e per pressa lasciassemo una ancora. E molto più ne dubitavamo de essere tolti in mezzo da certe giunche, che nel giorno passato restarono dopo noi.

Subito se voltassimo contro questi e ne pigliassimo quattro, ammazzando molte persone. Tre o quattro giunche fuggirono in secco. In uno di quelli che pigliassimo era lo figliuolo del re della isola di Lozon. Costui era capitano generale de questo re de Burne e veniva con queste giunche da una villa grande, detta Laoc, che è in capo de questa isola verso Giava maggiore la quale, per non voler obbedire a questo re, ma a quello de Giava Maggiore, la aveva ruinata e saccheggiata.

Giovan Carvajo, nostro piloto, lasciò andare questo capitano e la giunca senza nostro consentimento per certa quantità de oro, come dappoi sapessimo. Se non lassava questo re, lo capitano ne avaria dato tutto quello che avessemo domandato, perchè questo capitano era molto temuto in queste parti, ma più dai Gentili, perciò [che] sono inimicissimi di questo re moro. In questo porto c'è un'altra città de Gentili, maggiore di quella de li Mori, fondata anch'essa in acqua salsa, per il che ogni giorno questi due popoli combattono insieme nel medesimo porto. Il re gentile è potente come lo re moro, ma non tanto superbo; facilmente se convertirebbe a la fede de Cristo.

Il re moro, quando aveva inteso in che modo avevamo trattati li giunchi, ne mandò a dire, per uno de li nostri che erano in terra, come li prao non venivano per farne dispiacere, ma andavano contro li Gentili, e per verificazione di questo li mostrarono alcuni capi de uomini morti e li dissero che erano de Gentili.

Mandassimo dire al re [che] li piacesse lasciare venire li nostri due uomini, che stavano ne la città per contrattare, e lo figliolo de Giovan Carvaio, che era nasciuto ne la terra del Verzin; ma lui non volse. De questo fo cagione Gioan Carvaio per lasciare quel capitano.

Retenessimo sedici uomini più principali per menarli in Ispagna e tre donne in nome de la Regina di Spagna; ma Gioan Carvaio le usurpò per sue.




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