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Antonio Pigafetta
Relazione del primo viaggio intorno al mondo descritti da Antonio Pigafetta vicentino, cavaliere di Rodi

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Andando al nostro cammino passassemo tra queste isole: Caioan, Laigoma, Sico, Giogi, Caphi; (in questa isola de Caphi nascono uomini piccoli, come li nani, li quali sono li Pigmei e stanno soggetti per forza al nostro re de Tadore); Laboan, Toliman, Titameti, Bachian già dette, Latalata, Talobi, Maga e Batutiga. Passando fuora al ponente de Batutiga camminassemo fra ponente e garbin e discopersemo al mezzogiorno alquante isole, per il che li piloti de Maluco ne dissero se arrivasse, perciò [che] ne cacciavamo tra molte isole e bassi. Arrivassemo al scirocco, e dessemo in una isola, che sta de latitudine al polo Antartico in due gradi, e cinquantacinque leghe lungi da Maluco, e chiamase Sulach.

Li uomini de questa isola sono Gentili e non hanno re; mangiano carne umana; vanno nudi, così uomini come femmine, ma solamente portano un pezzo de scorza larga due diti intorno alle sue vergogne. Molte isole sono per quivi, che mangiano carne umana. Li nomi de alcune sono questi: Silan, Noselao, Biga, Atulabaon, Leitimor, Tenetum, Gondia, Pailarurun, Manadan, e Benaia. Poi costeggiassemo due isole, dette Lamatola e Tenetuno, da Sulach circa X leghe.

A la medesima via trovassemo una isola assai grande, ne la quale se trova riso, porci, capre, galline, cocchi, canne dolci, sagu, uno suo mangiare de fichi, el quale chiamano chanali, chiacare e questa chiamano nanga. Le chiachiare sono frutti come le angurie, de fora nodose, de dentro hanno certi frutti rossi piccoli, come armellini; non hanno osso, ma per quello hanno una midolla come uno fagiolo, ma più grande, e al mangiare tenero come castagne; e uno frutto, fatto come una pigna, de fuora giallo e bianco de dentro, e al tagliare come un pero, ma più tenero e molto migliore, detto comilicai.

La gente de questa isola vanno nudi come quelli de Sulach; sono Gentili e non hanno re. Questa isola sta de latitudine al polo Antartico in tre gradi e mezzo e lungi da Maluco settantacinque leghe; e chiamase Buru. Al levante de questa isola dieci leghe ne sta una grande, che confina con Giailolo, la quale è abitata da Mori e da Gentili; li Mori stanno appresso il mare e li Gentili de dentro nella terra; e questi mangiano carne umana. Nasce in questa le cose già dette e se chiama Ambon. Tra Buru e Ambon si trovano tre isole, circondate da bassi, chiamate Vudia, Cailaruri, e Benaia. Circa da Buru quattro leghe, al mezzodì, sta una isola piccola, e chiamase Ambelau.

Lungi da questa isola di Buru, circa trentacinque leghe, a la quarta del mezzogiorno verso garbin, se trova Bandan-Bandan e dodici isole. In sei de queste nasce la matia e noce moscata; e li nomi loro sono questi: Zoroboa, maggiore de tutte le altre, Chelicel, Semianapi, Pulac, Pulurun e Rosoghin. Le altre sei sono queste: Unuveru, Pulan Baracan, Lailaca, Manucan, Man e Ment. In queste non si trovano noci moscate; se non sagu, riso, cocchi, fichi e altri frutti, e sono vicine l'una a l'altra. Li popoli de queste sono Mori e non hanno re. Bandan sta de latitudine al polo Antartico in sei gradi e di longitudine da la linea repartizionale in cento e sessantatre gradi e mezzo, e per esser un poco fuora del nostro cammino non fossimo ivi.

 

Partendone de quella isola de Buru, a la quarta de garbin verso ponente, circa 8 gradi di longitudine, arrivassemo a tre isole; Zolot, Nocemamor e Galian, e navigando per mezzo di queste ne assaltò una gran fortuna, per il che facessimo un pellegrinaggio a la Nostra Donna de la Guida, e pigliando a poppa lo temporale, dessemo in una isola alta; e innanzi [che] giungessimo ivi, se affaticassemo molto per le raffiche [che] descendevano da li sui monti e per le grandi correnti de acqua.

Li uomini de questa isola sono selvatici e bestiali; mangiano carne umana e non hanno re; vanno nudi con quella scorza come li altri; se non [che], quando vanno a combattere, portano certi pezzi de pelle de bufalo, dinanzi e di dietro e ne li fianchi, adornati con cornioli e denti di porci e con code de pelle caprine, attaccate dinanzi e de dietro: portano li capelli in alto con certi pettini di canna lunghi, che li passano da parte a parte e li tieneno alti. Hanno le sue barbe rivolte in foglie e poste in cannuti de canna, cosa ridicola al vedere, e sono li più brutti [che] siano in questa India.

Li suoi archi e le sue frezze sono de canna; e hanno certi sacchi, fatti de foglie de arbore, ne li quali portano lo suo mangiare e bere le sue femmine. Quando ne visteno ne venirono incontro con archi: ma dandoli alcuni presenti, subito diventassemo sui amici.

Quivi tardassimo quindici giorni per conciare la nostra nave ne li costati. In questa isola se trova galline, capre, cocchi, cera (per una libbra de ferro vecchio ne donarono quindici de cera) e pevere lungo e rotondo. Il pevere longo è come quelle gattelle che fanno le nizzole quando è l'inverno. Il suo arbore è come l'edera e attaccasi a li arbori come quella; ma le sue foglie sono come quelle del moraro e lo chiamano luli. Il pevere rotondo nasce come questo, ma in spighe, come lo frumentone della India, e si disgrana; e lo chiamano lada. In queste parti sono pieni li campi di questo pevere, fatti in modo de pergolati.

Pigliassemo quivi uno uomo, acciò ne conducesse ad alcuna isola, [che] avesse vittuaria. Questa isola sta de latitudine al polo Antartico in otto gradi e mezzo, e cento e sessantanove e due terzi de longitudine da la linea repartizionale: e chiamase Malua.

 

Ne disse il nostro piloto vecchio de Maluco, come appresso quivi era una isola, chiamata Arucheto, li uomini e femmine de la quale non sono maggiori d'un cubito e hanno le orecchie grandi come loro: de una fanno lo suo letto e de l'altra se copreno, vanno tosi e tutti nudi; corrono molto, hanno la voce sottile; abitano in cave sotto terra e mangiano pesce e una cosa che nasce tra l'albero e la scorza, che è bianca e rotonda come coriandoli de confetto, detta ambulon; ma per le gran correnti de acqua e molti bassi, non li andassemo.

 

Sabato, a venticinque de gennaro MCCCCCXXII, se partissemo de l'isola de Malua, e la dominica, a ventisei, arrivassemo a una grande isola, longi da quella cinque leghe, fra mezzodì e garbin. Io solo andai in terra a parlare al maggiore d'una villa, detta Amaban, acciò ne desse vittuvaglie: me rispose darebbe bufali, porci e capre; ma non ci potessimo accordare perchè voleva molte cose per un bufalo. Noi, avendone poche e costringendone la fame, ritenessimo ne la nave uno principale con uno suo figliuolo de un'altra villa, detta Balibo, e per paura [che] non lo amazzassimo, subito ne dette sei bufali, cinque capre e due porci, e per compire lo numero de dieci porci e dieci capre, ne dette uno bufalo, perchè così gli avevamo dato taglia. Poi li mandassimo in terra contentissimi con tela, panni indiani de seta e de bambaso, accette, cortelizi indiani, forbici, specchi e coltelli.

Quel signore, a cui andai a parlare, teneva solum femmine che lo servivano. Tutte vanno nude come le altre; e portano attaccate a le orecchie schione piccole de oro con fiocchi de seta pendenti, e ne li bracci hanno molte maniglie de oro e de lattone fino al cubito. Li uomini vanno come le femmine, se non [che] hanno attaccato al collo certe cose de oro, tonde come un tagliere, e pettini de canne adornati con schione de oro poste ne li capelli; e alcuni de questi portano colli de zucche secche posti ne le orecchie per schione de oro.

In questa isola se trova lo sandalo bianco, e non altrove; zenzero, bufali, porci, capre, galline, riso, fichi, canne dolci, aranci, limoni, cera, mandorle, fagioli e altre cose, e pappagalli de diversi colori. Da l'altra parte de l'isola stanno quattro fratelli, che sono li re de questa isola. Dove stavamo noi erano ville e alcuni principali de quelle. Li nomi de le quattro abitazioni de li re sono questi: Oibich, Lichsana, Suai e Cabanaza. Oibich è la maggiore: in Cabanaza, siccome ne fu detto, si trova molto oro in uno monte; e comperano tutte le sue cose con pezzetti de oro. Tutto lo sandalo e la cera, che contrattano quelli de Giava e de Malacca, contrattano da questa banda. Aqui trovammo uno giunco de Luson venuto per mercatandare sandalo.

 

Questi popoli sono Gentili e quando vanno a tagliare lo sandalo, come loro ne dissero, se li mostra lo demonio in varie forme e gli dice, se hanno bisogno de qualche cosa, glie la domandino; per la quale apparizione stanno infermi alquanti giorni.

Lo sandalo si taglia a un certo tempo de la luna, perchè altramente non sarebbe buono. La mercanzia, che vale quivi per lo sandalo, è panno rosso, tela, accette, ferro e chiodi. Questa isola è tutta abitata e molto lunga, da levante a ponente, e poco larga, da mezzodì a tramontana. Sta de latitudine al polo Antartico in dieci gradi, e cento e sessantaquattro gradi e mezzo di longitudine de la linea de la repartizione, e se chiama Timor. In tutte le isole [che] avemo trovato in questo arcipelago regna lo mal de San Iop e più quivi, che in altro luogo e lo chiamano for franchi, cioè mal portoghese.

 

Lungi una giornata di qui, tra il ponente e il maestrale, ne fu detto trovarsi un'isola, ne la quale nasce assai cannella, e se chiama Ende. El suo popolo è Gentile e non hanno re; e come sono a la medesima via molte isole, una dietro l'altra, insino a Giava Maggiore e al Capo di Malacca, li nomi de le quali sono questi: Tanabutun, Crenochile, Bimacore, Arauaran, Main, Zumbava, Lamboch, Chorum e Giava Maggiore. Questi popoli non la chiamano Giava, ma Giaoa. Le maggiori ville che sono in Giava sono queste: Magepahor (il suo re quando viveva era maggiore de tutte queste isole e chiamavase raià Pathiunus), Sunda (in questa nasce molto pevere); Daha, Dama, Gaghiamada, Minutarangan, Cipara, Sidain, Tuban, Cressi, Cirubaia e Balli. E come Giava Minore essere la isola di Madura, e stare appresso Giava Maggiore mezza lega.

Come ne dissero, quando uno uomo de li principali de Giava Maggiore muore, se brucia lo suo corpo: la sua moglie più principale adornasi con ghirlande de fiori e fassi portare da tre o quattro uomini sovra uno scanno per tutta questa villa, e ridendo e confortando li suoi parenti, che piangono, dice: non piangete, perciò [che] me ne vado questa sera a cenare col mio marito e dormire seco in questa notte. Poi è portata al fuoco, dove se brucia lo suo marito, e lei voltandosi contro li suoi parenti e confortandoli una altra fiata, se getta nel fuoco, ove brusa lo suo marito. E se questo non facesse, non saria tenuta donna da bene, vera moglie del marito morto.

E come li giovani de Giava, quando sono innamorati de qualche gentil donna, se legano certi sonagli con filo tra il membro e la pellicina, e vanno sotto le finestre de le sue innamorate, e facendo mostra de orinare e squassando lo membro, suonano con quelli sonagli e fin tanto che le sue innamorate odono lo suono. Subito quelle vengono giù e fanno suo volere, sempre con quelli sonaglietti, perchè loro donne si pigliano gran spasso a sentirsi sonare de dentro. Questi sonagli sono tutti coperti e più se coprono più suonano.

Il nostro piloto più vecchio ne disse come in una isola detta Ocoloro, sotto de Giava Maggiore, in quella trovasi se non femmine: e quelle impregnarse de vento, e poi quando partoriscono, se il parto è maschio, lo ammazzano; se è femmina lo allevano, e se uomini vanno a quella sua isola, loro ammazzarli purchè possano.

 

Anco ne dissero, che sotto Giava Maggiore, verso la tramontana, nel golfo de la Cina, la quale li antichi chiamano Signo Magno, trovarsi un arbore grandissimo nel quale abitano uccelli detti garuda, tanto grandi che portano un bufalo e uno elefante al luogo ove è l'arbore, chiamato puzathaer e lo arbore campangaghi, el suo frutto buapangaghi, el quale è maggior che una anguria.

Li Mori de Burne, [che] avevamo nelle navi, ne dissero loro averlo veduto, perchè lo suo re [ne] aveva due, mandatigli dal re del Siam; niun giunco altra barca da tre o quattro leghe se può approssimare al luogo de l'arbore per le grandi rivoluzioni di acqua, che sono circa questo. La prima fiata che se seppe de questo arbore fu un giunco spinto da li venti nella rivoluzione, il quale tutto se disfece; tutti li uomini se annegorono, eccetto uno tutto piccolo, il quale, essendo attaccato sopra una tavola, per miracolo fu spinto a presso questo arbore, e montato sovra lo arbore, non accorgendose, se mise sotto l'ala a uno de quelli uccelli. Lo giorno seguente, lo uccello andando in terra e avendo pigliato un bufalo, il putto venne de sotto a la ala al meglio [che] potè: per costui se seppe questo; e allora conobbero quelli popoli vicini li frutti [che] trovavano per il mare essere de questo arbore.

Il capo de Malacca sta in un grado e mezzo all'Antartico. A l'oriente de questo capo, a longo la costa, se trovano molte ville e cittade. Li nomi de alcune sono questi: Cingapola, che sta nel capo, Pahang, Calantan, Patani, Bradlun, Benam, Lagon, Cheregigaran, Tumbon, Prhan, Cui, Brabri, Bangha, India (questa è la città dove abita il re de Siam, el quale chiamasi Siri Zacabedera), Iandibun, Lanu e Langhon Pifa. Queste cittade sono edificate come le nostre e soggette al re del Siam.

In questo regno de Siam, ne le rive de li fiumi, sì come ne fu detto, abitano uccelli grandi, i quali non mangeriano de alcuno animale morto sia portato ivi, se prima non viene uno altro uccello a mangiargli il core; e poi loro lo mangiano.

Dopo Siam se trova Camogia; il suo re è detto Saret Zacabedera; e Chiempo, el suo re raià Brahaun Maitri.

In questo loco nasce lo reobarbaro e se trova in questo modo: se acaodunano venti o venticinque uomini insieme e vanno dentro ne li boschi: quando è venuta la notte, montano sovra li arbori, sì per sentire l'odore del reobarbaro, come anche per paura dei leoni, elefanti e altre fiere; e da quella parte dove è lo reobarbaro il vento li porta l'odore; poi, venuto lo giorno, vanno in quella parte, dove li è venuto il vento e lo cercano fin tanto [che] lo trovano. Lo reobarbaro è uno albero grosso putrefatto; e se non fosse così putrefatto non darebbe lo odore. Il migliore di questo arbore è la radice: niente di meno il legno è reobarbaro, el qual chiamano calama.

Poi se trova Cochi: il suo re è detto raià Scribum Pala. Dopo questo se trova la Gran China. El suo re è maggiore de tutto il mondo; e chiamasi Santoha raià, il quale tiene settanta re da corona sotto di , alcuni de li quali hanno dieci o quindici re de sotto . El suo porto è detto Guantan.

Fra le altre assaissime cittade ne ha due principali, dette Namchin e Combahu, ne le quali sta questo re. Tiene quattro suoi principali appresso lo suo palazzo, uno verso el ponente, l'altro al levante, l'altro a mezzodì e l'altro a la tramontana. Ognuno de questi dànno udienza se non a quelli che veneno da sua parte. Tutti li re e signori de la India Maggiore e Superiore obbediscono a questo re, e per segnale che siano suoi vassalli, ciascuno ha in mezzo della sua piazza uno animale scolpito in marmore, più gagliardo che il leone e chiamasi chinga. Questo chinga è lo sigillo del detto re de China, e tutti quelli che vanno a la China convieneno avere questo animale scolpito in cera in un dente de elefante, perchè altramente non potriano entrare nel suo porto.

Quando alcuno signore è inobbediente a questo re, lo fanno scorticare e seccano la pelle al sole con sale e poi la empiono de paglia o de altro; e lo fanno stare col capo basso e con le mani giunte sovra lo capo in uno luogo eminente ne la piazza, acciò allora si veda colui far zonghu, cioè reverenza.

Questo re non se lascia vedere da alcuno; e quando lui vuole vedere li sui, cavalca per il palazzo uno pavone fatto maestralmente, cosa ricchissima, accompagnato da sei donne de le sue più principali, vestite come lui, finchè entra in uno serpente chiamato nagha, ricco quanto altra cosa si possa vedere, il quale è sopra la corte maggiore del palazzo. Il re e le donne entrano subito acciò lui non sia conosciuto fra le donne; vede li suoi per uno vetro grande che è nel petto del serpente. Lui e le donne se ponno vedere, ma non si può discernere quale è lo re. Costui se marita con le sue sorelle, acciò lo sangue reale non sia mischiato con altri.

Circa lo suo palazzo sono sette cerchie de muri; e fra ogni una de queste cerchie stanno dieci mila uomini, che fanno la guardia al palazzo fin che suona una campana: poi veneno dieci mila altri per ogni cerchia, e così se mutano ogni giorno e ogni notte.

Ogni cerchia de muro ha una porta: ne la prima sta un uomo, con uno granfione in mano, detto satu horan con satu bagan; nella seconda un cane, detto satu hain; nella terza un uomo con una mazza ferrata, detto satu horan cum pocum becin; ne la quarta un uomo con un arco in mano, detto satu horan con anac panan; nella quinta un uomo con una lancia, detto satu horan con tumach; ne la sesta un leone, detto satu houman; nella settima due elefanti bianchi, detti due gagia pute.

In questo palazzo ci sono settantanove sale, dove stanno se non donne che servono al re, e sono sempre torcie accese; si tarda un giorno a cercare questo palazzo. In cima de questo ci sono quattro sale, dove vanno alcune volte li principali a parlare al re. Una è ornata di metallo, così de sotto come de sopra; una tutta d'argento; una tutta de oro e l'altra de perle e pietre preziose. Quando li suoi vassalli li portano oro o altre cose preziose per tributo, le buttano per queste sale dicendo: questo sia ad onore e gloria del nostro Santoha raià. Tutte queste cose e molte altre di questo re ne disse uno Moro; e lui averle vedute.

La gente de la China è bianca e vestita; e mangiano sovra tavole come noi e hanno croce, ma non si sa perchè le tengono.

 

In questa China nasce lo muschio: il suo animale è un gatto come quello del zibetto, e non mangia altro se non un legno dolce, sottile come li diti, chiamato chamaru. Quando vòleno fare lo muschio, attaccano una sansuga al gatto e glie la lasciano attaccata in fin [che] sia ben piena de sangue; poi la struccano in uno piatto e mettono il sangue al sole per quattro o cinque giorni; poi lo bagnano con orina e il mettono altre tante fiate al sole; e così diventa muschio perfetto. Ognuno che tiene de questi animali conviene pagare uno tanto al re. Quelli pezzetti, che pareno sian grani de muschio, sono de carne de agnello pestatagli dentro: il vero muschio è se non il sangue, e se ben diventa in pezzetti, se disfa. Al muschio e al gatto chiamano castori e alla sansuga lintra.

 

Seguendo poi la costa de questa China, se trovano molti popoli, che sono questi: li Chienchii e stanno in isole, ne le quali nascono perle e cannella; li Lechii in terra ferma; sopra lo porto de questi traversa una montagna, per la quale se convien desarborare tutti li giunchi e navi [che] voleno intrare nel porto. Il re Moni in terra ferma: questo re ha venti re sotto di ed è obbediente al re della China: la sua città è detta Baranaci: quivi è il Gran Cathajo orientale.

Han, isola alta e frigida, dove se trova metallo, argento, perle e seta; il suo re chiamase raià Zotru; Mliianla; il suo re è detto rajà Chetisuqnuga; Gnio lo suo re rajà Sudacali; tutti questi tre luoghi sono frigidi e in terra ferma; Triaganba, Trianga, due isole nelle quali vengono perle, metallo, argento e seta; il suo re rajà Rrom: Bassi-Bassa, terra ferma; e poi Sumdit Pradit, due isole ricchissime de oro, li uomini de le quali portano una gran schiona de oro ne la gamba sovra il piede. Appresso quivi, ne la terra ferma, in certe montagne stanno popoli che ammazzeno li sui padre e madre quando sono vecchi, acciò non se affaticano più.

Tutti li popoli de questi luoghi sono Gentili.

 

Marti de notte, venendo al mercore, a undici de febbraro 1522, partendone de la isola de Timor se ingolfassemo nel mare grande, nominato Lant Chidot; e pigliando lo nostro cammino tra ponente e garbin; lasciassemo a la mano dritta a la tramontana, per paura del re de Portogallo, la isola Zamatra, anticamente detta Taprobana, Pegù, Bengala, Uriza, Chelin, ne la quale stanno li Malabari sotto il re di Narsingha; Calicut sotto lo medesimo re; Cambaia ne la quale sono li Guzerati, Cananor, Goa, Ormus e tutta l'altra costa de la India maggiore.

In questa India maggiore vi sono sei sorte de uomini: Nairi, Panichali, Iranai, Pangelini, Macuai e Polcai, Nairi sono li principali, Panichali sono li cittadini: queste due sorte de uomini conversano insieme; Iranai coglieno lo vino de la palma e li fichi; Pagelini sono li marinari; Macuai sono li pescatori; Poleai seminano e colgono lo riso. Questi abitano sempre ne li campi; mai entrano in città alcuna, e quando se li alcuna cosa, la se pone in terra, poi loro la pigliano. Costoro quando vanno per le strade, gridano: po! po! po!, cioè “guàrdate da me”. Accadette, sì come ne fu riferito, uno Nair esser tocco per disgrazia da un Poleo, per il che el Nair subito se fece ammazzare, acciò non rimanesse con quel disonore.

E per cavalcare lo Capo de Bona Speranza stessemo sovra questo capo nove settimane con le vele ammainate per lo vento occidentale e maestrale per prora e con fortuna grandissima; il qual capo sta de latitudine in trentaquattro gradi e mezzo e mille e seicento leghe lungi dal capo di Malacca, ed è lo maggiore e più pericoloso capo [che] sia nel mondo.

Alcuni de li nostri, ammalati e sani, volevano andare a uno luogo dei Portoghesi, detto Monzambich, per la nave che faceva molta acqua, per lo freddo grande e molto più per non avere altro da mangiare, se non riso e acqua, per ciò [che] la carne [che] avevamo avuta, per non avere sale, se era putrefatta.

Ma alcuni de li altri, più desiderosi del suo onore, che de la propria vita, deliberarono, vivi o morti, volere andare in Spagna.

Finalmente, con lo aiuto de Dio, a sei di maggio passassemo questo capo, appresso lui cinque leghe. Se non l'approssimavamo tanto, mai lo potevamo passare. Poi navigassemo al maestrale due mesi continui senza pigliare refrigerio alcuno. In questo poco tempo ne morsero venti uno uomo. Quando li buttavamo in mare, li Cristiani andavano nel fondo con lo volto in suso e li Indii sempre con lo volto in giù. E se Dio non ne concedeva buon tempo, tutti morivamo de fame. Al fine, costretti dalla grande necessità, andassemo a le isole de Capo Verde.

Mercore, a nove de iulio, aggiungessemo a una de queste, detta Santo Iacopo e subito mandassemo lo battello in terra per vittuaglia, con questa invenzione de dire a li Portoghesi come ne era rotto lo trinchetto sotto la linea equinoziale, benchè fosse sopra lo Capo de Buona Speranza; e quando lo conciavamo il nostro capitano generale con le altre due navi essersi andato in Spagna. Con queste buone parole e con le nostre mercadanzie avessimo due battelli pieni de riso.

Commettessimo a li nostri del battello, quando andarono in terra, [che] domandassero che giorno era: me dissero come era a li Portoghesi giove. Se meravigliassemo molto perchè era mercore a noi; e non sapevamo come avessimo errato: per ogni giorno, io, per essere stato sempre sano, aveva scritto senza nissuna intermissione. Ma, come dappoi ne fu detto, non era errore; ma il viaggio fatto sempre per occidente e ritornato a lo stesso luogo, come fa il sole, aveva portato quel vantaggio de ore ventiquattro, come chiaro se vede. Essendo andato lo battello in terra un'altra volta per riso, furono ritenuti tredici uomini con lo battello, perchè uno de quelli, come dappoi sapessimo in Spagna, disse a li Portoghesi come lo nostro capitano era morto e altri, e che noi non andare in Spagna.

Dubitandone da esser anco noi presi per certe caravelle, subito se partissemo.

Sabato, a sei de settembre 1522, intrassemo nella baia de San Lucar, se non disdotto uomini e la maggior parte infermi. Il resto, de sessanta che partissemo da Maluco, chi morse per fame, chi fuggitte nell'isola di Timor, e chi furono ammazzati per suoi delitti.

Dal tempo che se partissemo de questa baia fin al giorno presente avevamo fatto quattordici mila e quattrocento e sessanta leghe e più, compiuto lo circolo del mondo, dal levante al ponente. Luni, a otto de settembre, buttassemo l'ancora appresso al molo de Siviglia e descaricassimo tutta l'artiglieria.

Marti, noi tutti, in camicia e discalzi, andassemo con una torcia in mano, a visitare il luogo di Santa Maria de la Victoria e de Santa Maria de l'Antiqua.

 

Partendomi da Siviglia, andai a Vagliadolid, ove appresentai a la sacra maestà de don Carlo, non oro argento, ma cose da essere assai apprezzate da un simil signore. Fra le altre cose li detti uno libro, scritto de mia mano, de tutte le cose passate de giorno in giorno nel viaggio nostro. Me ne partii de al meglio [che] potei; e andai in Portogallo e parlai al re don Giovanni de le cose [che] aveva vedute. Passando per la Spagna venni in Franza; e feci dono de alcune cose de l'altro emisfero a la madre del cristianissimo re don Francesco, madama la reggente. Poi me ne venni ne la Italia, ove donai per sempre me medesimo e queste mie poche fatiche a lo inclito e illustrissimo signor Filippo de Villers Lisleadam, gran maestro de Rodi dignissimo.

 

Il cavalier ANTONIO PIGAFETTA




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