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Antonio Pigafetta Relazione del primo viaggio intorno al mondo descritti da Antonio Pigafetta vicentino, cavaliere di Rodi IntraText CT - Lettura del testo |
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V Dopo disnare el prete e alcuni altri andassemo in terra per battezzar la regina, la quale venne con quaranta dame. La conducessemo sopra lo tribunale, facendola sedere sovra un cuscino, e l'altre circa ella, fin che 'l prete s'apparò. Le mostrai una immagine de la Nostra Donna, uno bambino di legno bellissimo e una croce: per il che le venne una contrizione che, piangendo, domandò lo battesimo. La nominassemo Giovanna, come la madre dello imperatore; sua figliola, moglie al principe, Caterina; la reina de Mazana Lisabetta; a le altre ognuna lo suo nome. Battezzassemo ottocento anime fra uomini, donne e fanciulli. La regina era giovane e bella, tutta coperta d'uno panno bianco e nero: aveva la bocca e le onghie rossissime; in capo uno cappello grande de foglie de palma a modo de solana con una corona incirca de le medesime foglie, como quello del Papa: nè mai va in alcuno loco senza una de queste. Ne domandò il Bambino per tenerlo in loco de li suoi idoli; e poi se partì sul tardi. Il re e la reina con assaissime persone venerono al lido. Lo capitano allora fece tirare molte trombe de foco e bombarde grosse, per il che pigliarono grandissimo piacere. El capitano e lo re se chiamavano fratelli: questo re si chiamava rajà Humabon.
Innanzi passassero otto giorni furono battizzati tutti de questa isola, e de le altre alcuni. Brusassemo una villa, per non volere obbedire al re, nè a noi, la quale era in un'isola vicina a questa. Ponessemo quivi la croce, perchè questi popoli erano Gentili. Se fossero stati Mori li avessemo posto una collana in segno di più durezza, perchè li Mori sono assai più duri per convertirli, che a li Gentili.
In questi giorni lo capitano generale andava ogni dì in terra per udire messa e diceva al re molte cose della fede. La regina venne un giorno, con molta pompa, per udire la messa. Tre donzelle li andavano dinnanzi con tre de li sui cappelli in mano: ella era vestita de negro e bianco, con uno velo grande de seta, traversato con liste de oro, in capo, che li copriva le spalle, e con il suo cappello. Assaissime donne la seguivano, le quali erano tutte nude e discalze, se non [che] intorno alle parte vergognose havevano uno paniocolo de tela de palma e attorno lo capo uno velo piccolo e tutti li capelli sparsi. La regina, fatta la reverenza a l'altare, sedette sopra uno cuscino lavorato di seta. Innanzi se comenzasse la messa, il capitano la bagnò con alcune sue dame de acqua rosa muschiata: molto se dilettavano de tale odore. Sapendo lo capitano che 'l Bambino molto piaceva a la reina, gliel donò e le disse lo tenesse in loco de li sui idoli, perchè era in memoria del figlio di Dio. Ringraziandolo molto, lo accettò.
Uno giorno lo capitano generale, innanzi messa, fece venire lo re vestito con la sua vesta de seta e li principali de la città. Il fratello del re, padre del principe, se chiamava Bendara, un altro fratello del re, Cadaio, e alcuni Simiut, Sibnaia, Sicacai, e Maghelibe, e molti altri che lascio, per non esser longo. Fece tutti questi giurare obbedienza al suo re, e li basarono la mano; poi fece che 'l re [giurasse] d'essere sempre obbediente e fedele al re de Spagna: così lo giurò. Allora il capitano cavò la sua spada, innanzi l'immagine de Nostra Donna, e disse al re [che] quando cosi se giurava, più presto doveriasi morire che a rompere un simile giuramento: sicchè 'l giurava per questa immagine, per la vita de lo imperatore suo signore e per il suo abito, d'esserli sempre fedele. Fatto questo, lo capitano donò al re una cattedra de velluto rosso, dicendoli [che] dovunque andasse, sempre la facesse portare dinanzi da uno suo propinquo, e mostròli come la si doveva portare. Respose lo farebbe volontier, per amore suo, e disse al capitano como faceva fare una gioia per donarlila, la qual era due schione d'oro grande per taccare a le orecchie, due per mettere a li brazi, sovra li gomiti, e due altre per porre a li piedi, sovra le calcagne, e altre pietre preziose per adornare le orecchie. Questi sono li più belli adornamenti [che] possono usare li re de queste bande, li quali sempre vanno descalzi, con uno panno de tela da la cinta fino al ginocchio.
Il capitano generale uno giorno disse al re e a li altri per qual cagione non brusavano li suoi idoli, come li avevano promesso, essendo Cristiani, e perchè se li sacrificava tanta carne. Resposero [che] quel che facevano non lo facevano per loro, ma per uno infermo, acciò li idoli li dasse la salute, lo quale non parlava già [da] quattro giorni. Era fratello del principe e lo più valente e savio de la isola. Lo capitano gli disse che brusassero li idoli e credesseno in Cristo: e se l'infermo se battizzasse, subito guarirebbe; e se ciò non fosse, gli tagliassero lo capo. Allora rispose lo re [che] lo farebbe, perchè veramente credeva in Cristo. Facessemo una processione da la piazza fino a la casa de lo infermo, al meglio potessemo, ove lo trovassemo che non poteva parlare nè moverse. Lo battezzassemo con due sue mogliere e X donzelle. Poi lo capitano gli fece dire come stava: subito parlò e disse come per la grazia de Nostro Signore stava assai bene. Questo fu uno manifestissimo miracolo nelli tempi nostri. Quando lo capitano lo udì parlare, rengraziò molto Iddio: e allora li fece bevere una mandolata, che già l'aveva fatta fare per lui: poi mandógli uno matarazzo, uno paro de lenzoli, una coperta de panno giallo e uno cuscino: e ogni giorno, finchè fu sano, li mandò mandolati, acqua rosa, olio rosato e alcune conserve de zuccaro. Non stette cinque giorni, che 'l cominciò a andare: fece brusare uno idolo, che tenevano ascoso certe vecchie in casa sua, in presenza del re e tutto lo popolo. E fece disfare molti tabernacoli per la riva del mare, ne li quali mangiavano la carne consacrata. Loro medesimi gridando Castiglia! Castiglia! li rovinavano; e disseno, se Dio li prestava vita, brusarebbeno quanti idoli potesse[ro] trovare, e se bene fossero ne la casa del re. Questi idoli sono de legno, concavi, senza le parti de dietro; hanno li brazzi aperti e li piedi voltati in suso, con le gambe aperte e lo volto grande, con quattro denti grandissimi come porci cingiari e sono tutti depinti.
In questa isola sono molte ville, li nomi de le quali e de li suoi principali sono questi: Cinghapola: li sui principali Cilaton, Cigubacan, Cimaningha, Cimatighat; Cimabul: una Mandani; il suo principale Apanovan: una Lalan, il suo principale Theten; una Lalutan, il suo principale Iapan, una Cilumai e un'altra Lubucun. Tutti questi ne obbedivano e ne davano vittuaglia e tributo. Appresso questa isola de Zubu ne era una, che se chiama Matan, la qual faceva lo porto, dove èramo. Il nome de la sua villa era Matan, li sui principali Zula e Cilapulapu. Quella villa, che brusassemo, era in questa isola, e se chiamava Bulaia.
Acciò che Vostra illustrissima signoria sappia le cerimonie, che usano costoro, in benedire lo porco: primamente sonano quelle borchie grandi: poi se porta tre piatti grandi, due con rose e fogace de riso e miglio, cotte e rivolte in foglie, con pesce brustolato; l'altro con panni de Cambaia e due bandierette di palma. Uno panno de Cambaia se distende in terra: poi veneno due femmine vecchissime, ciascuna con un trombone di canna in mano. Quando sono montate sul panno, fanno reverenza al sole, poi se vestono con li panni. Una si pone un fazzolo ne la fronte con dui corni e piglia un altro fazzolo ne le mani, e ballando e sonando con quello, chiama il sole: l'altra piglia una di quelle bandierette e suona col suo trombone. Ballano e chiamano così un poco, fra sè dicendo molte cose al sole. Quella del fazzolo piglia l'altra bandieretta e lascia lo fazzolo; e ambedue sonando con li tromboni gran pezzo ballano intorno lo porco legato. Quella de li corni sempre parla tacitamente al sole, e quella altra risponde. Poi a quella de li corni li è presentato una tazza de vino, e ballando e dicendo certe parole e l'altra rispondendoli, e facendo vista quattro o cinque volte de bevere el vino, sparge quello sovra el core del porco, poi subito torna a ballare. A questa medesima vien dato una lancia; lei vibrandola e dicendo alquante parole, sempre tutte due ballando e mostrando quattro o cinque volte de dare con la lancia nel core del porco, con una subita prestezza lo passa da parte a parte. Presto si serra la ferita con erba. Quella che ha [am]mazzato il porco, ponendosi una torcia accesa in bocca, la smorza, la quale sta sempre accesa in questa cerimonia: l'altra col capo del trombone, bagnandolo nel sangue de porco, va [in]sanguinando con lo suo dito la fronte prima a li suoi mariti, poi a li altri; — ma non venerono mai a noi; — poi se disvesteno e vanno a mangiare quelle cose che sono ne li piatti, e convitano se non femmine. Lo porco se pela con lo fuoco. Sicchè nissuno altro, che le vecchie, consacrano la carne di porco; e non la mangiariano, se non fosse morto de quella sorte. Questi popoli vanno nudi; portano solamente uno pezzo de tela de palme attorno le sue vergogne. Grandi e piccoli hanno passato il suo membro, circa de la testa, da l'una parte all'altra con uno ferro de oro, ovvero de stagno, grosso come una penna de oca, e in uno capo e l'altro del medesimo ferro alcuni hanno come una stella, con punte sovra li capi, altri como una testa de chiodo da carro. Assaissime volte lo volsi vedere da molti, così vecchi come giovani, perchè non lo poteva credere. Nel mezzo del ferro è un buso per il quale urinano; il ferro e le stelle sempre stanno ferme. Loro dicono che le sue moglie voleno così, e, se fossero d'altra sorte, non usariano con elli. Quando questi voleno usare con le femmine, loro medesime lo pigliano non in ordine, e cominciano pian piano a mettersi dentro prima quella stella de sovra e poi l'altra. Quando è dentro, diventa in ordine, e così sempre sta dentro fin che diventa molle, perchè altramente non lo porriano cavare fuora. Questi popoli usano questo, perchè sono de debile natura. Hanno quante moglie voleno, ma una principale. Se uno dei nostri andava in terra, così come de dì come de notte, ognuno lo convitava perchè mangiasse e bevesse. Le sue vivande sono mezze cotte e molto salate; bevono spesso e molto con quelli sui cannuti da li vasi; e dura cinque o sei ore uno suo mangiare. Le donne amavano assai più noi che questi. A tutte, da sei anni in su, li aprono la natura a poco a poco per cagion de quelli suoi membri.
Quando uno de li suoi principali è morto, li usano queste cerimonie: primamente tutte le donne principali de la terra vanno a la casa del morto: in mezzo de la casa sta lo morto in una cassa: intorno la cassa poneno corde, a modo d'uno steccato, ne le quali attaccano molti rami de arbore. In mezzo de ogni ramo è uno panno di bombaso a guisa di paviglione, sotto li quali sedeano le donne più principali, tutte coperte de panni bianchi de bombaso, con una donzella per ogni una, che le faceva vento con uno sparaventolo di palma; le altre sedeano intorno la camera meste; poi era una che tagliava a poco a poco con uno coltello li capelli al morto: un'altra, che era stata la moglie principale del morto, giaceva sovra lui e giungeva la sua bocca, le sue mani e li sui piedi con quelli del morto. Quando quella tagliava li capelli, questa piangeva, e quando restava di tagliarli, questa cantava. Attorno la camera erano molti vasi de porcellana con fuoco, e sopra quello, mirra, storace e belgiovì, che facevano olere la casa grandemente. Lo teneno in casa cinque o sei giorni con queste cerimonie — credo sia unto de canfora —; poi lo seppellisseno con la medesima cassa, serrata con chiodi de legno, in uno luogo coperto e circondato da legni. Ogni notte in questa città, circa de la mezza notte, veniva uno uccello negrissimo, grande come uno corvo, e non era così presto ne le case che 'l gridava: per il che tutti li cani urlavano: e durava quattro o cinque ore quel suo gridare e urlare. Non ne volseno mai dire la cagione de questo.
Venere, a ventisei de aprile, Zula, principale de quella isola Matan, mandò uno suo figliuolo con due capre a presentarle al capitano generale e dicendoli come li mandava tutta sua promessa, ma per cagion de l'altro principale, Celapulapu, che non voleva obbedire al re di Spagna, non aveva potuto mandargliela: e che ne la notte seguente li mandasse solamente uno battello pieno de uomini, perchè lui li aiutaria e combatteria. Lo capitano generale deliberò de andarvi con tre battelli. Lo pregassemo molto non volesse vegnire, ma lui, come bon pastore, non volse abbandonare lo suo gregge. A mezza notte se partissemo sessanta uomini armati de corsaletti e celate, insieme al re cristiano, li principi e alcuni magistri, e venti o trenta [dei] balangai, e tre ore innanzi lo giorno arrivassemo a Matan. Lo capitano non volse combatter allora; ma li mandò a dire, per lo Moro, che se volevano obbedire al re di Spagna e recognoscere lo re cristiano per suo signore e darne lo nostro tributo, li sarebbe amico: ma, se volevano altramente, aspettasseno come ferivano le nostre lance. Risposero [che] se avevamo lance, [loro] avevano lance de canne brustolate e pali brustolati, e che non andassimo allora ad assaltarli, ma aspettassemo [che] venisse lo giorno, perchè sarebbono più gente. Questo dicevano, a ciò [che] andassemo a ritrovarli, perchè avevano fatto certi fossi tra le case per farne cascar dentro. Venuto lo giorno, saltassemo ne l'acqua fino alle cosce quarantanove uomini; e così andassimo più di due tratti di balestra innanzi [che] potessimo arrivar al lito. Li battelli non poterono venire più innanzi per certe pietre che erano nell'acqua. Li altri undici uomini restarono per guardia de li battelli. Quando arrivassemo in terra, questa gente avevano fatto tre squadroni de più de millecinquecento persone. Subito, sentendone, ne venirono addosso con voci grandissime, due per fianco e l'altro per contro. Lo capitano, quando viste questo, ne fece due parti e così cominciassemo a combattere. Li schioppettieri e balestrieri tirarono da lungi quasi mezza ora invano, solamente passandoli li targoni fatti de tavole sottili e li brazzi. Lo capitano gridava “non tirare, non tirare”, ma non li valeva niente. Quando questi visteno che tiravamo li schioppetti invano, gridando deliberarono a star forte, ma molto più gridavano. Quando erano descaricati li schioppetti, mai non stavano fermi, saltando de qua e de là: coperti con li sui targoni ne tiravano tante frecce, lance de canna (alcune de ferro al capitano generale), pali pontini brustolati, pietre e lo fango, [che] appena se potevamo defendere. Vedendo questo, lo capitano generale mandò alcuni a brusare le sue case per spaventarli. Quando questi visteno brusare le sue case, diventarono più feroci. Appresso de le case furono ammazzati due de li nostri, e venti, o trenta case li brusassemo; ne venirono tanti addosso, che passarono con una frezza venenata la gamba dritta al capitano: per il che comandò che se retirassimo a poco a poco: ma loro fuggirono, sicchè restassimo da sei o otto con lo capitano. Questi non ne tiravano in altro, se non a le gambe, perchè erano nude. Per tante lancie e pietre che ne traevano non potessemo resistere. Le bombarde de li battelli, per esser troppo lungi non ne potevano aiutare; sì che venissemo retirandosi più de una buona balestrata lungi dalla riva, sempre combattendo ne l'acqua fino al ginocchio. Sempre ne seguitorno e ripigliando una medesima lancia quattro o sei volte, ne la lanciavano. Questi, conoscendo lo capitano, tanti se voltorono sopra de lui, che due volte li buttarono lo celadone fora del capo; ma lui, come buon cavaliero, sempre stava forte. Con alcuni altri più de una ora così combattessemo e, non volendosi più ritirare, uno Indio li lanciò una lanza de canna nel viso. Lui subito con la sua lancia lo ammazzò e lasciogliela nel corpo; volendo dar di mano alla spada, non potè cavarla, se non mezza per una ferita de canna [che] aveva nel brazzo. Quando visteno questo tutti andorono addosso a lui: uno con un gran terciado (che è como una scimitarra, ma più grosso), li dette una ferita nella gamba sinistra, per la quale cascò col volto innanzi. Subito li furono addosso con lancie de ferro e de canna e con quelli sui terciadi, fin che lo specchio, il lume, el conforto e la vera guida nostra ammazzarono. Quando lo ferivano, molte volte se voltò indietro per vedere se èramo tutti dentro ne li battelli: poi, vedendolo morto, al meglio [che] potessemo, feriti, se ritrassemo a li battelli, che già se partivano. Lo re cristiano ne avrebbe aiutato, ma lo capitano, innanzi [che] desmontassimo in terra, gli commise [che] non si dovesse partire dal suo balangai e stesse a vedere in che modo combattevamo. Quando lo re seppe come era morto, pianse. Se non era questo povero capitano, niuno de noi si salvava ne li battelli, perchè, quando lui combatteva, gli altri si salvavano ne li battelli.
Spero in Vostra signoria illustrissima [che] la fama di uno sì generoso capitano non debba essere estinta ne li tempi nostri. Fra le altre virtù, che erano in lui, era lo più costante in una grandissima fortuna che mai alcuno altro fosse al mondo: sopportava la fame più che tutti gli altri, e più giustamente che uomo fosse al mondo carteava e navigava, e, se questo fu il vero, se vede apertamente, niuno altro avere avuto tanto ingegno nè ardire di saper dare una volta al mondo come già quasi lui aveva dato. Questa battaglia fu fatta al sabato ventisette de aprile 1521 (il capitano la volse fare in sabato, perchè era lo giorno suo devoto), ne la quale foreno morti con lui otto de li nostri e quattro Indii, fatti cristiani, da le bombarde de li battelli, che erano dappoi venuti per aiutarne; e de li nemici se non quindici, ma molti de noi feriti.
Dopo disnare lo re cristiano mandò a dire con lo nostro consentimento a quello de Matan, se ne volevano dare lo capitano con li altri morti, che li daressimo quanta mercadanzia volessero. Risposero [che] non se dava un tale uomo, como pensavamo, e che non lo darebbono per la maggior ricchezza del mondo: ma lo volevano tenere per memoria sua.
Subito che fo morto lo capitano, quelli quattro che stavano nella città per mercadantare, fecero portare le nostre mercanzie alle navi. Poi facessimo dui governatori, Duarte Barbosa, portoghese, parente del capitano e Giovan Serrano, spagnolo. L'interprete nostro, che se chiamava Enrique, per essere uno poco ferito non andava più in terra per fare le cose nostre necessarie, ma stava sempre ne la schiavina. Per il che Duarte Barbosa, governatore de la nave capitana, li gridò e dissegli [che], sebbene è morto lo capitano suo signore, per questo non era libero; anzi voleva, quando fossimo arrivati in Ispagna [che] sempre fosse schiavo de madonna Beatrice, moglie del capitano generale, e minacciandolo [che], se non andava in terra, lo frusteria. Lo schiavo si levò e mostrò de non far conto di queste parole, e andò in terra a dire al re cristiano come se volevano partire presto; ma, se lui voleva fare a suo modo, guadagneria le nave e tutte le nostre mercadanzie; e così ordinorono uno tradimento. Lo schiavo ritornò alla nave e mostrò essere più facente de prima.
Mercole mattina, primo de maggio, lo re cristiano mandò a dire a li governatori, come erano preparate le gioie, [che] aveva promesso de mandare al re de Spagna, e che li pregava con li altri suoi andassero [a] disnar seco quella mattina, che li le darebbe. Andorono 24 uomini in terra. Con questi andò lo nostro astrologo, che se chiamava San Martin de Seviglia. Io non li potei andare, perchè era tutto enfiato per una ferita de frezza velenata che aveva ne la fronte. Giovan Carvaio con lo barizello tornorono indietro e ne dissero come visteno colui [che era stato] resanato per miracolo menare lo prete a casa sua, e per questo s'erano partiti; perchè dubitavano de qualche male. Non dissero così presto le parole, che sentissemo grandi gridi e lamenti. Subito levassemo l'ancore; e tirando molte bombarde ne le case se appropinquassemo più a la terra: e così tirando, vedessemo Giovan Serrano, in camisa, legato e ferito, gridare non dovessimo più tirare, perchè l'ammazzerebbono. Li domandassemo se tutti gli altri con lo interprete erano morti: disse [che] tutti erano morti, salvo l'interprete. Ne pregò molto lo dovessemo rescattare con qualche mercadanzia: ma Gioan Carvaio, suo compare, non volsero per restare loro padroni, andasse lo battello in terra. Ma Gioan Serrano, pur piangendo, ne disse che non averessemo così presto fatto vela, che l'averiano ammazzato e disse che pregava Iddio [che], nel giorno del giudizio, dimandasse l'anima sua a Gioan Carvaio, suo compare. Subito se partissemo; non so se morto o vivo lui restasse.
In questa isola se trova cani, gatti, riso, miglio, panico, sorgo, zenzero, fichi, naranzi, limoni, canne dolci, aglio, miel, cocchi, chiacare, zucche, carne de molte sorte, vino de palma e oro: è grande isola con un buon porto che ha due entrate, una al ponente, l'altra al greco e levante. Sta de latitudine al polo Artico in X gradi de longitudine dalla linea de la ripartizione centosessantaquattro gradi e se chiama Zubu. Quivi, innanzi che morisse lo capitano, avessimo nova de Maluco. Questa gente sonano de viola con corde de rame.
VOCABOLI DE QUESTI POPOLI GENTILI
All'uomo = lac A la donna = paranpoan A la giovane = beni beni A la maritata = babay A li capelli = bo ho Al viso = guay A le palpebre = pilac A le ciglie = chilei A l'occhio = matta Al naso = ilon A le mascelle = apin A li labbri = olol A la bocca = baba A li denti = nipin A le gengive = leghex A la lingua = dilla A le orecchie = delengan A la gola = liogh Al collo = tangip Al mento = cheilan A la barba = bonghot A le spalle = bagha A la schiena = licud Al petto = dughan Al corpo = tiam Sotto li bracci = ilot Al braccio = botchen Al gomito = sico Al polso = molangai A la mano = camat A la palma de la mano = palan Al dito = dudlo A la unghia = coco All'ombelico = pusut Al membro = utin A li testicoli = boto A la natura delle donne = billat All'usar con loro = tiam A le culatte = samput A la coscia = paha Al ginocchio = tuhad A lo stinco = bassag bassag A la polpa della gamba = bitis A la caviglia = bolbol Al calcagno = tiochid A la suola del piè = lapa lapa All'oro = balaoan All'argento = pilla Al laton = concach Al ferro = butan Alle canne dolci = tube Al cuchiaro = gandan Al riso = bughax baras Al miele = deghex A la cera = talho Al sale = acin Al vino = tuba nio nipa Al bere = minuncubil Al mangiare = macan Al porco = babui A la capra = candin A la gallina = monoch Al miglio = humas Al sorgo = batat Al panico = dana Al pevere = manissa A li garofoli = chianche A la cannella = mana Al zenzero = luia A l'aglio = laxuna A li naranzi = achua All'ovo = silog Al cocco = lubi A l'aceto = zucha A l'acqua = tubin Al fuoco = claio Al fumo = assu Al soffiare = tigban Alle bilance = tinban Al peso = tahil A la perla = mutiara A la madre de le perle = tipai Al male de santo Job = alupalan Pòrtame = palatin comorica A certe focacce de riso = tinapai Buono = maiu Non = tidale Al coltello = capol sundan A le forbici = catle A tosare = chuntich All'uomo ben ornato = pixao A la tela = bulandan A li panni che se coprono = abaca Al sonaglio = colon colon A li paternostri d'ogni sorte = tacle Al pettine = cutlei missamis Al pettinare = monsugud A la camicia = sabun A la gugia de cusire = dagu Al cucire = mamis A la porcellana = moboluc Al cane = aian ydo Al gatto = epos A li sui veli = ghapas A li cristallini = balus Vien qui = marica A la casa = ilaga balai Al legname = tatamue A le store dove dormeno = taghichan A le store de palme = bani A li cuscini de foglie = uliman A li piatti de legno = dulan Al suo Iddio = Abba Al Sole = adlo A la luna = songhot A le stelle = bolan burthun A la aurora = mone A la mattina = vema A la tazza = tagha Grande = bassal A l'arco = bossugh A la frezza = oghon A li targoni = calassan A le vesti imbottite per combatter = baluti A li suoi terziadi = campilan A le sue daghe = calix baladao A la lancia = bancan A li fichi = haghin A le zucche = baghin El sale = tuan A le corde de le sue viole = gatzap Al fiume = tau Al rezzaglio per pescare = pucat laia Al battello = sanpan A le canne grandi = canaghan A le piccole = bonbon A le sue barche grandi = balanghai A le sue barche piccole = boloto A li granchi = cuban Al pesce = isam yssida A un pesce tutto dipinto = panap sapan A un altro rosso = timuan A un certo altro = pilax A un altro = emalvan Tutto e uno = siama siama A uno schiavo = bonsul A la forca = bolli A la nave = benaoa A uno re o capitano generale = raià.
NUMERI
Uno = uzza Due = dua Tre = tolo Quattro = upat Cinque = lima Sei = onom Sette = pitto Otto = qualu Nove = siam Dieci = polo. |
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