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Giuseppe Garibaldi
Lettere a Speranza von Schwartz

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  • Roma, 27 dicembre 1867.
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Roma, 27 dicembre 1867.

Amico carissimo ed illustrissimo,

ricevo in questo momento le vostre preziose righe del 18. Grazie mille per il vostro permesso di fare qualche cosa per il prode Fazari.

Se la vostra chiamata mi fosse giunta mentr'io stava in Toscana (Pisa o Livorno), sarei volata a Firenze, ma ora, essendo tenuta qui da varie circostanze imperative, non lo posso, con mio sommo dolore! Ma ho scritto a Firenze a una bravissima persona che si recherà per me, a nome vostro, da Fazari per far per lui qualunque cosa che il bravo soldato può richiedere. Ho messo la mia borsa a sua disposizione, dicendo che ero dolente assai di non poter recarmi io stessa dal degno ferito. In quanto alle spese ci penso io e sono felice e superba che mi affidiate questo sacro dovere.

Non vi parlo di Roma né di quello che vi soffro: è una ferita nella quale sento sempre il pugnale avvelenato.

Mi fu ricusato chiaramente di recarmi all'ospedale, a rischio d'essere mandata via; se potessi affittare l'appartamento mio, se non avessi la sorella ammalata col marito, non starei qui mezz'ora.

Con tutto ciò, conoscendo persone che vanno spesso dai feriti, faccio quanto posso, mandando loro cibi, vestiario e quanto occorre. È l'unico mio conforto quel povero Benni al quale hanno tagliata la mano; non potrà guarire e presto finiranno i suoi martirii, se non sono già terminati questa notte! La febbre negli ospedali fa strage terribile e questi... non vogliono permettere il trasporto dei feriti nelle case particolari, altrimenti sarebbero da tempo sotto tutt'altra cura!

Vi scrissi lungamente, prima di lasciare Livorno, riguardo alla bell'opera vostra; vi domandavo diverse cose. Sarei dolentissima se questa mia si fosse smarrita; era del 13 o 14 dicembre. Vi prego, amatissimo amico, vogliate gentilmente rispondermi una riga perché senza la vostra risposta ho sempre le mani legate, mentre vorrei fare molto, come vi spiegherà la mia lettera. Vogliate dirmi se l'avete ricevuta, perché in caso contrario dovrò ripetervi ciò che conteneva, tutto per l'esito grande e universale della bella opera che mi avete affidata che adorna ora la mia vita e mi fa dimenticare quanto di brutto mi circonda.

La condotta del console americano di qui nell'ottobre e novembre è stata infame e ben indegna di un console di una nazione repubblicana. La Sig. Mario me ne fece cenno a Livorno ed io le ho scritto in proposito. Bisogna punire questa condotta indegna e spero che la voce della vostra buona Jessie non sarà udita invano a Firenze.

Aspettando dunque una cara vostra riga, indirizzata a Livorno, da Enrico Malatesta, vi bacio le mani con tutta l'effusione di affetto, di ammirazione e di devozione che ho per Voi.

Vostra per la vita

Speranza.

 

I poveri parenti d'un bravo giovane, certo Pietro De Angelis, che era con Voi, mi chiedono se ne sapete qualche cosa: è sparito. Era capo ufficio telegrafista all'Aquila prima di seguirvi nelle vostre file.

 




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