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Giuseppe Garibaldi
Lettere a Speranza von Schwartz

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  • Roma, 25 gennaio 1867
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Roma, 25 gennaio 1867

Amatissimo amico,

se sapeste quanto mi duole scrivervi da qui e non trovarmi più fra quell'eroica popolazione, la cui causa diventa ogni giorno più santa e più interessante! Perché mi scrivete di star nell'ozio? Voi solo, Redentore della patria vostra, come di tutti i popoli che gemono sotto la tirannia, voi avete fatto tutto, tutto per questa povera gente; ogni loro respiro è una benedizione per voi. Se poteste e voleste andare in Grecia, io sarei - ad onta di tutto il mio zelo ardente per la causa - la prima a supplicarvi di non farlo. Oh, Dio, quanto soffro, sapendovi soffrire in tal modo e non potendo prendere sopra di me i vostri dolori! È assai, assai peggiore il sapervi soffrire che il passare per tutte le torture del mondo. Si potrebbe dubitare della Provvidenza, sapendo che voi soffrite!

Con diritto voi mi chiederete che cosa al mondo ha potuto farmi lasciare l'isola di Creta. Due sono le ragioni, che mi costrinsero a fare quel vero sacrificio.

Anzitutto avevo promesso ai Cretesi d'interessare Gladstone in favore loro. Dopo quello che egli fece per Napoli e per le isole Ionie, si poteva sperare qualche cosa dal governo inglese in favore di Creta! Io lo sapevo qui in Roma e speravo deciderlo a venire in Grecia. Oltre a ciò, nel mese di ottobre mi ammalai così gravemente con infiammazione al cervello e febbre nervosa che fui in fin di vita. Dopo venticinque giorni di letto i medici dissero che, a tutti i costi, dovevo lasciare l'isola. Infatti il male era molto serio: anche ora soffro sempre alla testa. Il fatto è che mi sono affaticata assai, scrivendo per i giornali inglesi a Costantinopoli, a Londra e per molti giornali tedeschi. Sono stata quattro mesi in pericolo continuo della vita ed ho sofferto tanto tanto nel vedere degli orrori, dei massacri, delle crudeltà senza nome, cagionate unicamente da una politica egoista, insensibile, infame!

Come resistere a tanto?

Ho pensato anche che qui avrei potuto essere più utile alla santa causa, scrivendo, pubblicando e raccogliendo denari per i miei bravi cretesi. Non vivo per altro interesse che per il loro. Il mio unico, desideratissimo compenso sarà (se non me lo negate) di farvi una piccola visita nel principio di maggio, quando il dovere dovuto al figlio mi chiamerà in Germania. Quante cose avrò da domandarvi e da dirvi!... La dolcissima speranza di rivedervi dopo due anni e mezzo mi impedisce di diffondermi oggi. Ho una quantità di giornali e di carte che vorrei farvi leggere, ma non mi fido di mandarveli con la posta e poi mi servono per quello che scrivo adesso. Spero che Carlo Blind mi aiuterà a trovare un buon foglio per scrivere in Inghilterra. Lavoro quanto posso; ma la testa non è la mia ancora.

Vi prego, mandatemi una cara riga, dicendomi se mai ci siete, se posso recarmi a Caprera nel maggio per avere il sommo bene di rivedervi. Un vostro ufficiale, uno svedese di nome capitano Meyer, ha sei ferite e sta qui per guarire, ma appena guarito partirà per Creta. Non voglio tediarvi di più oggi; solo vi dirò che arrivai in tempo per vedere Gladstone. Gli ho detto tutto quello che il più fervido interesse poteva ispirarmi: ma, Dio mio, ho urtato contro un egoismo marmoreo! La rabbia e il dispiacere mi soffocavano!

Vi bacio la cara mano addolorata, dicendomi per la vita tutta di cuore vostra

Speranza.

 




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