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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO II
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CAPITOLO II

 

Il domani, giorno di domenica, la chiesetta di S. Bernardo in Limonta era aperta, e vi diceva la messa un frate mandato fuori da Milano, chè il parroco del paese si cansava dal ministero per amor dell'interdetto, e per questa ragione se ne stava sfuggiasco temendo del Pelagrua, che gli aveva giurato il malanno addosso. A quella messa però non assisteva altri che il procuratore e la sua famiglia. I Limontini e una gran parte di quei di Civenna e di Bellagio erano sparsi sulla piazzetta, o divisi in gruppi sul pendio della montagna, o raccolti intorno alla fontana detta Reginara, pochi passi in su del paese, e discorrevano insieme del gran fatto del giorno innanzi, della rovina imminente della terra, della nefandità del Pelagrua, dei compensi che potevan rimaner loro tuttavolta.

Quattro o cinque furfantoni armati, gironzolavano dapprima sul piazzaletto, ed ora colle buone, ora colle cattive, cercavan di mandar in chiesa la gente; ma la gente era troppo salda nella sua credenza, troppo invelenita dagli ultimi casi, troppo numerosa per lasciarsi svolgere dalle belle parole, o metter paura dai brutti musi di quattro manigoldi. Questi alla fine, vedendo di non poter far nulla di bene, ceduto il campo, s'eran ridotti sulla porta della chiesa a far, come chi dicesse, sentinella; e di , prima colle brusche, poi colle piacevoli, si sforzavano di piegare i più vicini a questo almeno, che si cavassero la berretta o che calassero il cappuccio; ma tutti d'accordo per dispetto a tener in capo, a mettere, chi non ne avesse, a passar loro dinanzi, guardarli in muso, ridendo sotto i baffi, a spingere, risospingere, urtarli, provocarli con grida, con fischiate e schiamazzi.

Il Pelagrua che era in chiesa, inginocchiato presso l'altare, volgeva il capo a quel rumore, e vedendo tanta gente, e notandone i volti e gli atti meno modesti, meno riguardosi del solito, cominciò a provare in cuore una subita tenerezza per casa sua, una voglia spasimata di trovarsi chiuso dentro colla famiglia, colle sue buone guardie d'intorno: con tutto questo non ne facea dimostrazione per non tôrre il coraggio a' suoi e darne agli altri.

Il sacerdote che celebrava, sotto scusa ora di soffiare il naso, ora di spurgarsi, or d'accennare al chierico pel messale o per le ampolline, si voltava indietro anch'egli e girava l'occhio sulla moltitudine irriverente; e quelle occhiate non gli racconciavan punto lo stomaco: quel benedetto vangelo, quel benedetto prefazio, non gli eran mai più parsi tanto lunghi; avrebbe voluto essere all'ite missa est, s'affrettava quanto poteva per giungervi presto, ma non bisognava farsi scorger troppo. E che sarebbe poi stato se egli, se il Pelagrua, avessero potuto udire i discorsi che intanto si facevano al di fuori, e veder che aria vi tirava, e come la bollisse forte?

- Un'ingiustizia, un'infamità di questa fatta, e noi bercela su in santa pace! - gridava un giovinotto di Limonta in mezzo ad un crocchio di suoi paesani.

- Chè non vai a Bellano a offrirti per nostro campione? - gli rispondeva un vecchio, coi capelli e la barba bianca, il quale lo stava ascoltando colle mani appoggiate ad un bastone ferrato e il mento sulle mani.

- Sì eh? me le conta belle qui il pastore, - rispondea quel primo; - battersi con lui eh? che è un mago, ed ha cucito nelle vesti certe erbe che gli fanno la pelle dura come... come la Grigna pelata.

- Ha ragione Stefanòlo, è uno stregone che tutti lo sanno, - diceva un altro; - sono ben andati a pigliarlo fuori apposta perchè nessuno possa mettersi con lui, e così cavarci la pelle a man salva, quei cani paterini! che sono tutti d'accordo per istraziare la povera gente.

- Una buona giustizia ci vorrebbe, - tornava a gridare il primo, e cominciar noi a farla in paese, prima che ci faccian perdere l'anima e il corpo.

- Dice bene, perder l'anima e il corpo - soggiungeva uno della folla che stava intorno; - vedi che il lucifero va a messa, ora che a sentir messa è peccato mortale; e prima, quand'era di precetto, non se ne struggeva gran che; tutto per tirarci a perdere.

- Fa di bisogno! che è sempre stato un eretico! - continuava Stefanòlo, - e chi l'ha conosciuto nei tempi addietro, l'ha visto scomunicato fin dal nostro arcivescovo di prima, e condannato a portar sempre tante crocette nere cucite sul mantello.

- E il suo mestiere innanzi di venir qui a fare il boia sulla nostra pelle, era quello di far carte false, - gridava un nuovo interlocutore, - e l'ho visto io quando sono stato a Milano per Pasqua di Natale a portare al monastero i pesci del livello, l'ho visto io pitturato sulla muraglia del Broletto nuovo; e sotto vi era un cartello con su, dicono, il suo nome e cognome, e tutto. E noi, mandarcelo qui a noi questa gioia eh?

- E poi se vien la tempesta, quand'è in sul granire, se le brine danno la stretta alle olive, se al diricciar delle castagne non vi trovate che scorza e peluia, se falla la pesca agli agoni, o una barca va a traverso, subito cento scuse: è stata la stagione, è stato l'influsso dei pianeti, è stato questo, è stato quell'altro: sapete che cosa è stato? è stata questa mano di eretici scomunicati che abbiamo in paese: maraviglia, che il diavolo torni spesso a casa sua!

- Dare il fuoco a quella casa, impiccare quel maledetto, buttarlo nel lago. - gridarono allora molte voci tra mezzo la folla che s'era andata sempre facendo più stretta intorno ai dicitori.

In quel momento era finita la messa, e il Pelagrua, in mezzo a suoi bravacci, usciva di chiesa incamminandosi alla casa del monastero, che non era discosta di più che un trar di mano. La gente a far calca, a gridare: - All'eretico, al paterino, dàgli, impicca, squarta, ammazza! - un baccano da non dirsi, ma senza torcere un capello a nessuno. Appena il procuratore fu dentro la soglia, si serrano in tutta fretta le porte sul viso alla moltitudine, e buona notte! chi è dentro è dentro, chi è fuori ci stia; il popolo raddoppiò le grida e gli schiamazzi; però non vi essendo nulla di guasto, il temporale si sarebbe sciolto in acqua, se non era la maledetta burbanza di alcuni cagnotti del Pelagrua, i quali, tenendosi scornati dall'aver ceduto il campo a quattro martori, così essi chiamavano quei di Limonta e i loro vicini, si sentivano pizzicar le mani. Saliti su d'una torretta che era a canto alla porta, di si misero a sbeffeggiare la moltitudine con parole, con bocchi, a provocarla, ad aizzarla, sbravazzando, minacciando di farla pentire ben presto della sua arroganza. Quei di fuori cominciarono a stizzirsi, a far volare qualche pietra, che non colpiva però mai nel segno; e gli altri peggio: finalmente uno di quei furfanti di sopra toccò una sassata in un braccio; e voltosi tosto a raccorre sul battuto il ciottolo che l'aveva côlto, lo gettò rabbiosamente al basso; dove per disgrazia venne a piombar sul capo di un fanciulletto di nove in dieci anni che si trovava tra la folla a schiamazzare anch'egli cogli altri; il ragazzo ebbe il cranio fracassato, e morì in men che non si dice Gesù Maria.

Quel sangue fu come una scintilla caduta in una polveriera: la turba imbestialì, scoppiò un urlo generale di esecrazione e di vendetta: in un batter d'occhio la porta fu sfondata; gli sgherri che accorrevano, travolti o sbattuti per terra, e un'onda impetuosa di popolo precipitandosi sotto l'androne, si versò nel primo cortile. In un attimo la casa del monastero fu piena di scompiglio e di spavento: s'udiva un rumor d'usci e d'imposte che si serravano qua e impetuosamente, come al giungere improvviso del temporale; un chiamarsi affannato, un gridar pauroso: donne piangenti e scapigliate attraversavano le logge interne fuggendo dinanzi agli invasori; gemiti dappertutto e strida e batter di mani e misericordie che n'andavano a cielo.

I pochi ghiotti che stavano sulla torre non ebber tempo di salvarsi; il popolo vi salì furibondo, e con una delle sue solite giustizie correnti e sbrigative, ne li fece volar giù ad uno ad uno, dando loro la spinta per lanciarli in un dirupo sottoposto, dove capitombolando si fracassavan le membra. Il Pelagrua, che correva per casa come un insensato, fu preso insieme a cinque suoi satelliti, e fattane una funata, altri voleva precipitarli anch'essi dalla torre, altri gettarli nel lago con un sasso al collo: chi metteva il partito della forca, chi quello della propagginazione (così chiamavasi la pena usata a quei tempi di seppellire un vivo col capo in giù); e già prevalendo quest'ultimo avviso, alcuni eran corsi a pigliare i picconi e le zappe, e cominciavano a preparar le buche sul sagrato dinanzi alla chiesa.

Quel gramaccio del procuratore, bianco come un cencio lavato, coi capelli grigi ritti sulla fronte a guisa di stecchi, cogli occhi spalancati, stupidi, attoniti, le labbra smorte e tremanti, battendo i denti insieme con una voce fiacca e mal sicura, andava ripetendo come macchinalmente: - Confessione! confessione!

- Ah cane paterino! te la darò io con questo la confessione, - gridò Stefanòlo, quel giovinotto che aveva fatto rumore poco prima, ed era uno dei più caldi; e così dicendo gli veniva alla vita con un randello levato in alto, per dargliene sul capo.

Ma il pastore che s'abbattè a trovarglisi ancora vicino, fermandogli la mano: - Oibò, gli disse, ti pare? vorremo noi esser peggiori dei Turchi? confessare, bisogna lasciarlo confessare, se lo domanda.

- E chi ha da confessarlo?

- Chi? Qualcuno; se non c'è altri, quel frate che venne quassù a dir messa; ed è ancor in chiesa, chè non s'arrischiò di venir fuori.

- Colui? è un eretico scomunicato, e non può confessare.

- Qualcun altro dunque; il nostro Messere (così di quei tempi per antonomasia chiamavasi il parroco).

- E dove andarlo a pescare, che si sta sfuggiasco in grazia di codesti manigoldi? E poi, un'altra cosa; c'è l'interdetto e non può confessare nemmen lui.

- In punto di morte sì, può confessare in punto di morte, e ne ha confessati degli altri; non ti ricordi della Tona della Casetta? e di Giorgio del Mulino?

- Va bene, ma questi birboni non sono in punto di morte.

- Sì, che sono in punto di morte.

- No, che non lo sono.

Chi si dichiarò per l'uno, chi per l'altro dei due ragionatori, ed era a gridare a perdita di fiato: - Sì, no, si può confessarli, non si può. - Finalmente venne fuori una voce che definì la questione in modo che tutti si acquetarono.

- Se appena confessati, - gridò uno, - noi li facciam freddi, in tempo che si confessano si può ben dire che sono in punto di morte, mi pare a me.

- Sì, sì, è vero, presto a cercar del Messere.

- E dov'è?

- Stanotte ha dormito laggiù in casa del barcaiuolo.

- Presto dunque, il barcaiuolo. Michele! Michele! - nessuno l'aveva veduto di tutto quel giorno.

- Michele l'ho visto io, ch'è andato a Como insieme col suo figliolo, ieri a basso, - disse uno della folla.

- Ma ha da esser tornato; poco fa ho visto io la sua barca che voltava la punta di Bellagio, - soggiunse un altro.

- Alla casa del barcaiuolo! presto, presto! alcuno corra alla casa del barcaiuolo! - gridarono molte voci.

La casetta del barcaiuolo era posta quasi in riva al lago, alla foce d'un torrentello detto Auccio, lontano forse un mezzo miglio da Limonta, tirando verso Bellagio. Il pastore che s'era avviato a quella volta a cercarvi il parroco, lo scontrò per via che veniva su verso il paese insieme con due barcaiuoli padre e figlio, e con un terzo che era Lupo figlio del falconiere, arrivati tutti e tre pur allora da Como.

Il pievano, un buon vecchio d'una vecchiezza valida e lieta, saliva in fretta innanzi agli altri l'erto viottoletto della montagna; e quando ad una rivolta gli si scoperse al di sopra del capo l'uomo che ne scendeva per cercar di lui, fermandosi sui i due piedi: - Giammatteo, - gli gridò (tale era il nome del capraio), - che è codesto gran fracasso lassù a Limonta, che par che mandino la terra in subisso?

- Messere! Messere! - rispondeva quegli, tutto affannato, - correte, correte; altri che voi nol può salvare; correte, hanno preso il palazzo del monastero e vi fanno il diavolo a quattro: vogliono ammazzare il procuratore e i suoi uomini, correte per carità; - e il Messere a correre.

Appena fu visto il suo cappuccio bruno spuntare sulla piazzetta, tutti si misero a gridare: - È qui il Messere, è qui il Messere! - e correndogli incontro, gli fecer la proposta come di cosa che camminasse pe' suoi piedi, di confessar tosto tosto il Pelagrua e i suoi satelliti, perchè volevano farli freddi. Il dabben'uomo ebbe d'uopo di tutta l'autorità che gli dava il suo ministero, di tutto l'amore che gli aveva guadagnato una lunga vita sempre adoperata in vantaggio de' suoi popolani, della nuova grazia, della recente aura acquistatagli dalle persecuzioni patite, per poter tor giù quei forsennati da una sì enorme risoluzione.

E valse pur non poco a calmare quegli animi inveleniti e bollenti la novella sparsasi tra la folla che era giunto Lupo, disposto a battersi per quei del suo paese contra il campione del monastero. Intanto che la folla si stringeva intorno al figlio del falconiere, il quale la veniva persuadendo e pregando a cessar dal sangue, a star quieti, a rimetterla a lui, il parroco entrò nella casa del procuratore, e colle belle e colle buone mandava in pace tutti quelli ch'eran rimasti dentro a devastare. Ricomposto ogni cosa nella prima corte, egli passò in un secondo cortiletto, dove porgendo l'orecchio, gli parve di sentir un vagito venir dall'alto; salì per una scaletta di legno, giunse innanzi ad un uscio, pose l'occhio ad un picciol pertugio, e vide in un canto acquattata una donna coi capelli scompigliati, cadenti giù per le spalle, che teneasi stretto al seno un bambino, e con una mano si sforzava di soffocargli in bocca le grida: riconosciutala tosto per la moglie del Pelagrua, bussò dolcemente all'uscio, mandandovi dentro nel tempo medesimo queste parole: - Sono il parroco, aprite che tutto è quieto. - Quella povera madre si riscosse tutto ad un tratto al primo rumore, al primo suono che le venne di quella voce vicina, tanto che, ritratta la mano dalla bocca del bambinello, ne uscì un lungo acutissimo strido, che v'era soffocato da un pezzo; ma continuando il pievano a dirle: - Non abbiate paura, sono io, tutto è finito, - ella balzò in piedi, e fatto girare un grosso chiavistello, aperse l'uscio, e si presentò col pargoletto in braccio al suo liberatore. - Oh, il Signore vi ha mandato! - diceva la poverina tremando e balbettando, - egli ve ne renda merito: non per me, non per me, ma per questo mio povero angioletto, - e così dicendo, stringeva le vesti del pievano, e le baciava, e le bagnava di lagrime in un delirio di gioia e di riconoscenza. - E mio marito? - domandò poi con un atto ed un volto pieno d'ansietà e di spavento.

- È salvo, - rispondeva il parroco, e continuava: - Per ora non è bene che vi lasciate vedere qui d'intorno; uscite di , - e le accennava un usciolo segreto che si apriva sulla sinistra verso la montagna: - pigliate il sentiero che mena al castello, e pregate anche in nome mio il conte che vi dia ricetto almanco per questa notte.

- Oh! ma non vorrà, che…

- Ebbene, presentatevi ad Ermelinda, ditele… non fa d'uopo che le diciate niente; siete bisognosa d'aiuto, la contessa vi accoglierà premurosamente, sono sicuro. Andate, che Dio v'accompagni.

La donna partì, e il pievano tornato sul piazzaletto, dove la folla stavasi tuttavia intorno al figlio del falconiere: - Sentite, - si mise a gridare, - perchè la cosa proceda giustamente e nella debita forma, chè non s'abbia poi a poterci apporre nulla dal Messo e dall'avvocato di , che hanno più trappole e più uncini alle mani che capegli in capo, bisognerà toccar la majola, e congregar vicinanza per nominare vostro campione questo buon giovane che Dio v'ha mandato.

Ed ecco di a poco venir fuori il sagrestano del paese, su d'un ballatoio che dava sul sagrato, e cominciare a battere con due martelletti su d'un certo ordigno composto d'una lamina di bronzo incastrata nel mezzo d'una tavola riquadrata, traendone uno squillo acuto in una certa qual cadenza, con certi affettamenti e certe pose, il che dicevasi sonare ad aringo, o arengo, e l'ordigno era detto malliola o majola, forse da malleus, il martello con cui si percuoteva, o più verisimilmente da mallum, giudizio, placito, adunanza, che si congregava a quel suono.

Fatto popolo, andatone il partito, e reso il suffragio, Lupo, com'era ben da credersi, non ne ebbe una bianca, e fu proclamato a pieno consiglio di vicinanza campione degli uomini di Limonta.

Intanto, pel tempo corso di mezzo, per le nuove cure a cui s'erano rivolti gli animi, era dato giù quel primo bollore di sdegno e di vendetta, e la moltitudine, nuova al sangue, cominciava a provare il naturale sgomento per quello che avea versato. Ognuno desiderava di torsi da quel luogo troppo funesto, di sottrarsi alla vista di tanti testimoni, che so io? di nascondere a –nella quiete e nel segreto fidato della propria casa, la parte che aveva avuto in un eccesso, che tutti ben prevedevano dover tornare in capo a' suoi commettitori: per lo che, cheton chetone, mogi mogi, come cani scottati, con la coda fra le gambe, l'un di qua, l'altro di , per la china, per l'erta, se la fumaron via, e in poco tempo fu tutto solitudine e silenzio.

Con tutto ciò il Pelagrua non volle fidarsi di rimaner in paese, che quel terreno gli scottava sotto, e disceso alla riva del lago, e trovatavi una barchetta v'entrò in compagnia dei pochi suoi cagnotti e del resto della famiglia scampata da quello scempio, senza neppure aspettare d'esser raggiunto dalla moglie col bambino, ch'egli avea inteso poco prima, come fossero stati ricoverati nel castello del conte. V'entrò, e, scostandosi dalla spiaggia, volgeva gli occhi indietro a guardar Limonta, e bestemmiava e malediceva la faccia del sole, giurando di tornarvi tosto colle forze dell'abate a far le sue vendette.

Ma l'abate, com'ebbe inteso da un corriere tutta quella manifattura, montò sulle furie contra il procuratore medesimo, e mandatagli a Varenna, dove questi s'era rifugiato, una carta di villanie, non che voler rimetterlo in posto, gli promise che l'avrebbe fatto pentire della sua codardigia di essersi lasciato metter sotto da pochi villani, dell'aver abbandonato vilmente il paese.

Quanto ai poveri Limontini, non vi dirò se l'abate si struggesse d'andar loro addosso, di schiacciarli, di farne minuzzoli; ma anche i grandi non ponno sempre tutto che vorrebbero. In quei tempi turbolenti il prelato avea da tener l'occhio e le mani in più parti, e non potea metter insieme tosto tosto le forze necessarie per quell'effetto; dunque fece sembiante di nulla, e lasciò correr l'acqua alla china, aspettando il giudizio che dovea pronunziarsi a Bellano; giudizio ch'ei non dubitava punto gli avrebbe dati quei montanari a discrezione colle mani e co' piedi legati; salvo a lui in ogni evento, di acconciarli pel delle feste, tosto che gliene fosse venuto il destro.

Lupo s'incamminò subito al castello del conte Oldrado, dov'era nato, dov'era atteso non solo dai parenti, ma dagli altri tutti con un'aspettazione affettuosa. V'era già arrivata qualche tempo prima la notizia del suo apparire in Limonta, e del suo adoperarsi per racquetare quel furioso ribollimento che vi avea trovato: nessuno però era uscito ad incontrarlo, quantunque molti lo desiderassero, perocchè il conte, il quale al primo sentore giunto lassù del baccano che facevano i Limontini, aveva fatto serrar le porte, calar le saracinesche, come se temesse d'un assalto, non vi fu verso che volesse permettere ad alcuno di uscirne anche dopo che tutto fu finito: paure in aria, perchè sebbene egli non godesse di quel favore di cui aveano goduto in tutti quei dintorni i suoi vecchi, era però tanta ancora la riverenza che si avea per quel nome, che nessuno sarebbe stato mai tanto ardito di dire a lui o ad alcuno de' suoi una parola torta.

Ammesso dentro le porte, il figlio del falconiere fu accolto da tutti quei del castello con una festa, con un tripudio da non potersi significare: erano cinque anni ch'ei non avea più veduto quei luoghi: il padre e la madre a rapirselo l'un l'altro, tutti intorno a domandarlo de' suoi casi, a dargli mille benedizioni.

Il conte Oldrado, contento in cuor suo che i poveri Limontini avessero pur trovato chi volesse pigliar le loro difese, e che questi fosse uomo da farla a vedere in candela al campione del monastero, si sarebbe però guardato bene in ogni altro tempo dal mostrare una siffatta sua gioia, per non parer ch'ei tenesse contro l'abate che era il potente; ma nel momento che i Limontini con quel po' di giustizia che avea fatta, eran diventati potenti anch'essi e d'una potenza più evidente, più prossima, più efficace, la sua natura lo portava a far pure qualche dimostrazione in loro favore, massimamente che, per le istanze della moglie e della figlia, avendo dato ricetto alla donna ed al bambino del Pelagrua, gli era entrata addosso una grossa paura che quei montanari non avessero a torsela con lui. Questo valse al nostro Lupo le più sviscerate accoglienze per parte del suo antico signore, tante carezze che fur maravigliose; ed ei medesimo che le ricevea, ne rimase stordito e confuso. Voglio che crediate che esse erano però sincere e cordiali, perocchè la seconda paura del conte non avea fatto altro che levar via quel freno che la più antica avrebbe posto alla nativa espansione dell'animo di lui verso quel suo già caro, ora carissimo per tanti rispetti.

Intanto Ermelinda, la moglie del conte, se ne stava in un salotto terreno leggendo il vangelo di quel giorno alla sua figlia Bice e ad un'ancella di questa, chiamata Lauretta, tutta cosa di lor due, e figlia del falconiere. Essa soleva far quella lettura tutte le domeniche, da che per l'interdetto non potevano sentirne la spiegazione in chiesa dal parroco. Leggeva in latino, che a quel tempo era ancora inteso per tutta Italia, presso a poco come vi si intende ai nostri giorni il toscano, vale a dire più o meno, secondo che uno era più o meno dirozzato, aveva più o men lettera.

Erano tutte e tre sedute innanzi ad un tavolino. Ermelinda non oltrepassava i quarant'anni: grande alla persona, augusta negli atti, spirava da tutto il volto una maestà affabile; ma quel volto era pallido e smunto, gli occhi abbattuti; ella parea doma da una cura antica, compagna assidua de' suoi giorni.

Bice ritraea tutta quanta dalla madre: la stessa grazia nei lineamenti, la vaghezza medesima nei contorni, sua l'aria del viso, suo il mover degli occhi, tutto suo; ma tutto aggentilito dal fiore, dal sorriso della prima età, tutto rallegrato da quell'aura di pace e di contento, da quel molle e misterioso profumo che esala da un'anima ignara delle tempeste della vita, non ben conscia ancora di medesima.

Quand'ebbe finito, la madre chiuse il libro de' vangeli, e disse all'ancella: - Va un po' a vedere di se occorresse nulla a quella povera donna. - Lauretta uscì e tornò poi di a poco, riferendo come la ricoverata fosse provveduta di tutto il bisognevole, e riportandole i ringraziamenti e le benedizioni di lei, che s'era riavuta, diceva, da quel grande spavento, e non domandava altra grazia che d'essere condotta col suo bambino dove avea cercato rifugio il marito.

- Le hai detto che io farei ragione, pel suo meglio, ch'ella s'avesse a fermar qui almeno fino a sera, e che sarà poi mio pensiero di farla scortare a Varenna?

- Gliel'ho detto, e vi si acquietò ben volentieri, non ripetendo altro se non ch'ella è nelle vostre mani, e che pregherà sempre sempre il Signore per voi e per la vostra casa.

- Che Dio le usi misericordia, - soggiunse Ermelinda, - ella è sempre stata una donna timorata e dabbene, e non meritava d'avere il marito ch'ella ebbe: ma!... - mise un sospiro, e ripetè un'altra volta: - Il Signore le usi misericordia.

Allora s'intese bussare leggermente all'uscio, e venne innanzi il conte, tenendosi per mano il figlio del falconiere, che fu da lui presentato alla moglie ed alla figliuola, dicendo loro: - Ecco il nostro Lupo che viene a sostenere la ragione dei poveri Limontini.

Ermelinda e Bice lo accolsero con signorile e pure affettuosa cortesia: ma Lauretta, appena ebbe scorto il volto desiato del fratello, che era sempre stato il suo caro, che non vedea più da tanti anni, non potè contenere l'impeto del primo affetto, e correndogli incontro gli gettò le braccia al collo e se lo tenne serrato un pezzo, senza profferir parola; alfine, staccandosene un momento, fu vista diventar tutta rossa, di smorta che s'era fatta prima, e sorridendo d'un cotal riso mezzo di vergogna, mezzo di dispetto, diceva con voce alterata: - Che scempia che sono, ho tanto caro di vederti, e mi vien da piangere! -

 

 




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