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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO VI
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CAPITOLO VI

 

La notte furono alloggiati tutti alla meglio dal parroco del paese, al quale non parea vero d'aver nella sua povera casa ospiti di quella taglia, ed ebbe occasione d'invanirsene un pochino e di menarne poi vanto per un pezzo.

Ivi, a Varenna voglio dire, trovavasi ancora il Pelagrua, messo in mezzo alla via, come suol dirsi, senza roba, senza danari, senza un appoggio, senza un assegnamento al mondo; forzato a sbrattar tosto del paese, dove tutti lo conoscevano e gli volean bene come al mal di capo, ridotto insomma al partito d'un cane scacciato dal padrone. Il tristaccio venne la mattina tutto raumiliato, almeno al di fuori, a raccomandarsi pigolando al curato di Limonta, che per carità volesse perdonargli tutto il male che gli aveva fatto, e il di peggio che gli avrebbe voluto pur fare nel tempo addietro, ed aiutarlo in tanta necessità a trovare un qualche compenso al suo caso mezzo disperato.

Il buon prete ebbe compassione non tanto di lui, al quale un po' di penitenza sarebbe stata pur bene, quanto della sua donna, e del suo innocente bambino; e però gli promise che l'avrebbe raccomandato al conte del Balzo, quantunque, per dir vero, non isperasse d'averne a cavare un grande aiuto. Ma per fortuna di quel mariuolo, quando il curato entrò dal Conte trovollo in compagnia della figlia e di Ottorino. La fanciulla naturalmente umana e compassionevole, che avea vista la moglie del Pelagrua quando s'era rifuggita in castello, che aveva diviso colla madre la pietà inspirata da quella povera donna, fu subito tocca dalle parole del pievano, e insistette presso il padre perchè trovasse un ricovero a quello scaduto e alla sua famiglia.

Pensate come dovessero essere accolte dal Conte quelle sollecitazioni, le quali tendevano niente meno che a metterlo nel rischio di rompere affatto coll'abate di S. Ambrogio, e questo in grazia d'una cosa che l'avrebbe poi per ristoro fatto venire in uggia anche a tutti quei di Limonta.

Il povero uomo che non voleva con tutto ciò disdire apertamente alla sua figlia, andava accattando scuse e pretesti, balbettava, si storceva che pareva sulle spine; ma Ottorino, beato di poter compiacere alla fanciulla e gradire al padre di lei, si profferse volonterosamente d'allogare egli il Pelagrua, e, data la cosa già per fatta, ne ricevette da Bice in ringraziamento un'occhiata di così ingenua e lieta bontà, un'occhiata così serena e carezzosa, che il giovane se ne sentì scorrere la dolcezza per tutte le vene.

Il curato di Limonta, tratto in disparte il giovane, credette dover suo d'avvisarlo di che pelo fosse l'uomo cui si disponeva a far del bene, certo che tali informazioni l'avrebbero dovuto mettere in guardia; ma egli un po' per quella baldanza naturale dell'età, un po' che non potea entrargli, che uno, il quale era stato, dirò così, benedetto dalla compassione di Bice, potesse durare ad essere tristo, quando lo fosse anche stato prima, non fece gran caso delle parole del prete; e non vedendo altro di meglio, si decise di indirizzare il suo protetto a Marco Visconti, il quale per amor suo non avrebbe mancato al certo di collocarlo in qualcheduno dei tanti castelli ch'ei possedeva. Mandò dunque a cercare l'occorrente per iscrivere una lettera a Marco, ma lo credereste? in tutto il paese non fu trovato un calamaio, una penna, un pezzetto di pergamena o di carta bambagina a volerli pagar tant'oro. Il curato non s'impacciava di scritture, lo speziale e i pochi signori non sapevano da che parte la penna gettasse: e non era codesto un privilegio del curato, dello speziale, dei signori di Varenna; poco su, poco giù, era la stessa storia dappertutto; e dico non solo sul lago di Como, ma in tutto il contado, ma in tutta Italia, ma in tutta Europa; ed è naturale: in un secolo tutto spadoni e lance e balestre, tutto rôcche merlate e castelli e campi aperti ed affronti, come avrebbero allignato le lettere? una pianticella tenera, gentile, permalosa, che ama il rezzo e la solitudine e non vuol essere scalpicciata o tramenata? Basta, il falconiere ricordossi in buon punto d'un vecchio notaio che soleva abitare a Perledo, un paesello sulla montagna, alle cui falde è fabbricata Varenna, vi salì tosto e tornò con tutto quel che faceva mestieri, quantunque s'avesse dovuto penar molto anche colà per macerare lo stoppaccio del calamaio arso e secco da più d'un anno.

Il giovane scrivendo a Marco per raccomandargli il Pelagrua dovette pur venire a dichiarargli perchè e per come egli fosse entrato in quell'impegno; narrògli dunque tutto quello che gli era accaduto, dal duello del suo scudiere fino a quel punto; parlò del conte del Balzo nel castello del quale andava a passare alcuni giorni, indi venne a toccar di Bice; e siccome si suol dire che la lingua batte dove il dente duole, vi si fermò sopra un po' più che non sarebbe convenuto ad uno che s'era proposto di non farsi scorgere. In fine, volendo figurare al suo signore la fanciulla con maggior evidenza che potesse, trascorse giovenilmente ad affermare com'ella, a detto di tutti quanti, rendesse aria della madre nella persona e ne facesse ritratto nel costume; parole che furono la prima scintilla... Ma non precorriamo gli avvenimenti.

I nostri personaggi s'imbarcarono tutti insieme su d'una gondola d'affitto e giunsero a Limonta verso sera. La voce ivi corsa che l'abate di S. Ambrogio fosse risoluto di farvi costar cara la sollevazione, qualunque fosse stato l'esito del giudizio di Dio, la vista del cadavere del povero annegato, giunto la mattina, lo spettacolo miserando della desolazione degl'infelici parenti, l'aver aspettato tanto tempo sulla spiaggia la barca del Conte, la quale arrivò tardi oltre ogni credere; tutte queste cagioni unite insieme aveano intiepidito assai quel primo caldo di riconoscenza verso il giovine vincitore; cosicchè, allorquando Lupo pose piedi a terra, non vi trovò quella folla che credeva, non vi fu ricevuto cogli applausi e col trionfo che s'aspettava; e ricordandosi di certi bei sogni ai quali s'era lasciato ir colla fantasia, quando assiso sulla prora della barca si scostava il innanzi dalla riva di Bellano, se ne trovò assai mortificato.

Il parroco fermossi a Limonta; tutti gli altri, saliti i cavalli che stavano ivi apparecchiati, presero l'erta e seguirono il viaggio fino al castello.

Ermelinda accolse colla naturale sua piacevolezza il giovane ospite, il quale le fu particolarmente accetto per la memoria della stretta amicizia che era un giorno tra esso e il suo povero figlio; ma ben presto ebbe a provare qualche inquietudine delle grazie che vedea da lui usate in ogni incontro a Bice; tanto più che non isfuggi all'accorgimento della buona madre un cotal lieve senso di pudica compiacenza con che la fanciulla pareva accoglierle.

Fra non molto ella notò, come all'aperto e franco tripudio della giovinetta era successa una letizia chiusa, sbaldanzita: la vedeva arrossire s'ella l'interrogava intorno ad Ottorino, e abbassar gli occhi non osi di sostenere lo sguardo materno, di che cominciò ad esser gravemente conturbata.

Non ch'ella riputasse quel partito disconvenevole per la sua figlia, che per verità non avrebbe saputo dove collocarla con più onore; ma le dava pensiero la voce che correva, come il giovine fosse già in pratica di tôrre una figliuola di Franchino Rusconi, signor di Como, e come quelle nozze erano maneggiate da Marco Visconti.

Quanto al Conte, beato d'avere in sua casa un cavaliere di tanto nome, un cugino del Vicario, una creatura di Marco, egli era tutto in faccende per rendergliene più gradevole che potesse il soggiorno; e quando era un convito, quando una caccia, quando una gita ai paesi vicini. Bice era sempre della compagnia, chè il padre non sapea dare un passo senza di lei: anzi ad ogni tratto ei le veniva ricantando le glorie del giovane ospite, e parea che facesse a posta a riandare tutto quello ch'egli aveva fatto per la salvezza loro nel momento del naufragio, ritoccando ogni memoria di quel giorno, di quelle ore passate sullo scoglio, delle quali la fanciulla si ricordava forse già troppo, e sempre con un commovimento, con un brivido che non era però tutto di terrore.

E una virtù che agli occhi del Conte dava un nuovo pregio a tutte le altre, aveva egli scoperta recentemente nel cavaliere: una sommessione ai suoi avvisi, una perseveranza volonterosa nell'ascoltare tutte le storie della sua vita, nel menargli buoni tutti i suoi vanti.

- Gli è un giovine di garbo, - diceva egli, - non come codesti sbarbatelli d'oggi giorno, che non sono appena usciti di bambino e già pretendono d'insegnare ai dottori. Hai veduto? - domandò una volta a Bice, - hai veduto ieri sera quando gli spiegava le ragioni per cui il combattimento di Lupo col Ramengo si deve ritener nullo, come mi stette attento forse un paio d'ore senza batter palpebra? - Ed era la pura verità, perchè in tutto quel tempo il garzone, che stava seduto presso la fanciulla, era, come suoi dirsi, in estasi, e non aveva ascoltata pure una sillaba.

Che se Ermelinda s'arrischiava qualche volta coll'usata sua modestia di ripigliare il marito, di volerlo persuadere che stesse un po' più in guardia; egli chiamava sogni e pazzie i suoi sospetti, e col levarle un gran rumore in capo la forzava a tacersi. La buona donna non potendo, come avrebbe desiderato, chiarire a dirittura la cosa parlandone con ischiettezza allo stesso Ottorino, perocchè il Conte gliel'avea inibito con una gran risoluzione, dovette star contenta al solo spediente che le rimaneva, di scrivere a Como per certificarsi intorno alla verità e alla condizione degl'impegni che il giovine potesse avervi preso; e intanto che aspettava le informazioni domandate, vigilare con ogni riguardo la figlia e studiarsi di stornarla dalla presenza del giovane e di sviarlene il pensiero.

La fanciulla, una testolina alquanto capricciosetta, come tutti i figliuoli viziati, in fondo però era una pasta di mele: come accade, ella avea sempre amato con maggior riverenza, e dirò pure con maggior tenerezza, la madre, qualche volta per necessità un po' severa, che non il Conte con tutta la sua indulgenza; era più contenta d'un sorriso, d'una amorevolezza che avesse ottenuto da lei, che di tutte le dimostrazioni del padre.

Ma da che Ottorino trovavasi al castello, veniva a poco a poco succedendo in lei un notabile cangiamento anche su questo particolare. Ermelinda con quella sua aria fredda, con quelle parole ora d'ammonizione, ora di rimprovero, la teneva in rispetto, le aduggiava, dirò così, le impigliava penosamente l'animo, tutto pieno d'una vita novella, d'un senso sconosciuto, che la portava alla confidenza e all'abbandono. Il nome del giovane, che soleva empirla tutta di gioia ripetuto dalla bocca del Conte, la faceva palpitar di terrore se lo sentiva profferir dalla madre; però sfuggiva a tutto suo potere di lasciarsi coglier sola da lei, e non è maraviglia se sentisse scemar di giorno in giorno quel grande amore che le aveva sempre portato. Che più? sorprendendo qualche volta nel suo cuore un certo fastidio troppo oltraggioso, in alcuni momenti fantastici di ritorno alla prima filiale svisceratezza, se ne spaventava essa medesima, se ne rimproverava amaramente, e faceva mille belle risoluzioni, che non aveva poi la forza di mantenere.

Durava da più giorni questo combattimento, quando giunse al castello un messo di Marco Visconti, al ricever del quale Ottorino annunziò che fra due giorni era aspettato a Milano.

A Bice pareva un sogno; non sapeva propriamente persuadersi ch'egli avesse a partir davvero; trovava così dolce lo starsi con lui! quando ne era divisa pensava che fra due, fra tre, fra quattro ore l'avrebbe riveduto; quel pensiero l'occupava, la consolava in tutto quel tempo; le ore passavano e Ottorino ricompariva: ma quando se ne fosse ito? che fare in tutta la giornata, in quelle lunghe sere?

Tornava colla mente ai lieti giorni passati in quel luogo, prima che vi giugnesse quell'ospite fatale. La sua madre, la sua ancella, il suo liuto, i suoi libri, il suo baio: ma il cuore non rispondeva più a quelle immagini un giornopotenti su di lei; era come a toccare i tasti d'un gravicembalo a cui fossero state tronche le corde.

Il domani, che veniva ad essere il giorno antecedente a quello della partenza di Ottorino, fu destinato dal conte alla caccia del falco, e Bice era già inteso che non vi doveva mancare. - Voglio che vediate volare i miei uccelli, - diceva il padre di questa al suo ospite, - e mi saprete dire se Marco Visconti ne ha che vi possano stare a paro: vedrete, sparvieri, girifalchi d'Irlanda, di Norvegia e di Danimarca; ne ho di nidiaci, ne ho di pellegrini; e che superbe mute di cani tanto da fermo che da sangue! Ho poi a mostrarvi il mio falcone favorito, addestrato da me, perchè io mi spasso ad acconciarne qualcuno a mia mano con dei nuovi trovati, con certe mie arti; basta, vi farò vedere.

Quello stesso giorno venne una lettera da Como, al ricever della quale Ermelinda stette lungamente in colloquio col marito. Bice dalle sue camere, ove s'era rinchiusa in compagnia dell'ancella, udiva la voce dei genitori che pareva concitata dal calore d'una contesa, ed avvisò troppo bene quale potesse esserne il soggetto.

Tutta la giornata ella potè star lontana dalla madre e non si trovò seco che la sera a cena. La vedeva allora, taciturna, accorata, che la guardava qualche volta in faccia come se avesse un segreto da rivelarle, ed essa per la tema d'aversi pure a trovar sola con lei, come prima potè farlo onestamente, sotto scusa d'aversi a levar presto la mattina per la caccia, prese buona licenza e si ritirò. Chiusa che fu nelle sue camere, si sentì come riavuta e s'assise dinanzi a uno specchio a farsi raccogliere le chiome dalla sua Lauretta per coricarsi tosto. L'ancella, che avea scoperto il segreto del cuore della sua padroncina, le veniva con maliziosi avvolgimenti parlando di Ottorino, e tribolandola lievemente con motti coperti, dei quali Bice voleva pur mostrare di offendersi, e vi sarebbe riuscita al di di quello ch'ella stessa si proponeva, se la fiamma che le chiamavan sulle gote quelle parole, avesse potuto esser attribuita a turbamento di sdegno piuttosto che di verecondia. Rassettati i capegli, Lauretta mettea mano a svestirla, quando s'intese bussar leggermente all'uscio e venir dentro la voce di Ermelinda che diceva: - Apri, son io. Lasciami con lei, - disse quindi all'ancella che era corsa ad aprire; e questa chinando il capo si ritrasse in una camera vicina.

Bice rimasta sola colla madre, avrebbe voluto sprofondarsi sotto terra per la confusione, ed abbassando il volto aspettava quel che fosse per dirle.

- Veggo che la mia presenza non t'è molto gradita, - cominciò Ermelinda, - e me ne duole, me ne duole per te, figlia mia.

La fanciulla si fece forza per rispondere, ma la voce era soffocata, balbettò confusamente qualche parola senza senso e si tacque.

- Non ho mai creduto che tu avessi a spaventarti di tua madre, - seguitava questa; - è vero che già da un pezzo mi sono dovuta accorgere che ti sei mutata da quel che eri con me, che non mi vuoi più il bene d'una volta; ma ch'io t'abbia a far tremare! questo è troppo, ed è troppo gran dolore per chi ti ama tanto.

- Io non tremo; per che cosa ho da tremare? - rispose vivamente la fanciulla, a cui la stizza del vedersi côlta in quel turbamento aveva restituito un po' del naturale vigore del suo carattere.

- Bice!... tu rispondi con tanto dispetto? - disse la madre con voce risentita: ma poi, come se non potesse reggere ad un impeto improvviso, prese una mano della figlia, e proseguiva: - Senti, mia cara, non parlar così a tua madre; credi tu ch'io possa aver altro pensiero, altra cura al mondo che quella di vederti contenta? non ho altro bene che te! sei l'unica mia consolazione. Oh! se tu potessi comprendere il dolore ch'io provo ogni volta che mi veggo nella necessità di doverti contrariare! ma bisogna pure che lo faccia, quand'è il mio debito, e il tuo migliore. Ti ricordi, cuor mio, di quand'eri piccioletta che fosti tanto malata, e un piangevi e piangevi per voler del latte: pensa s'io mi sentiva dar nel cuore, ma il latte non te lo diedi, chè ti sarebbe stato micidiale. Allora nella tua testina chi sa che cosa avrai detto, ma adesso capisci ben anche tu...

- Alla fine a che volete riuscire? - domandò Bice, mezzo commossa e mezzo incollerita della stessa sua commozione.

- Voglio riuscire a questo... Ma via, non guardarmi con quegli occhi sgomentati; no, la mia cara figlia, tu non udrai una parola amara dalla bocca di tua madre; vieni qua, ascoltami con calma e con amore, com'io prometto di parlarti. Ottorino parte domani...

La fanciulla al profferir di quel nome si sentì gelar tutta quanta; pure facendo forza a stessa, colla maggior indifferenza che potè pur mostrare al di fuori, rispose: - Sì, lo so, ma questo che mi fa a me?

- Più che non vorrei per la tua e per la mia pace, - rispose Ermelinda con un accento severo, - via, non infingerti, non creder di poterti celare a chi ti legge nel cuore.

- Alla fine che ho poi fatto di male? non ho fatto che obbedire a mio padre.

- Sì, tu eri ben sollecita d'obbedir tuo padre in questi giorni, più sollecita che nol fosti mai. Una volta facevi qualche caso anche de' miei consigli, e senza parer disdire a lui, ti governavi in modo... Ma via, poveretta, non è mia intenzione di rampognartene, tu non sapevi di darmi sì gran travaglio... hai potuto credere... è vero, la colpa è forse in parte anche mia, che non ti ho parlato finora con quella risoluzione... Anch'io sperava pure... ma adesso che so positivamente...

- E che cosa sapete? - domandò la fanciulla fissando gli occhi negli occhi della madre, come se avesse voluto cavar fuori innanzi tratto da quelli il senso delle parole che la bocca si preparava a profferire.

- So che Ottorino... insomma tu non devi pensare più a lui, perch'egli ha già data la sua parola... e fra poco dev'essere sposo della figlia di Franchino Rusconi, signore di Como.

Bice si fece rossa come una bragia, poi diventò smorta che parea levata dal sepolcro; con tutto questo tentò padroneggiarsi un momento ancora, accennò colle labbra tremanti un sorriso, che tosto vi si scompose; e sbattuta e vinta dalla passione si mise a piangere.

La madre riconobbe in quel pianto l'intera confessione che la vergogna non aveva acconsentito alle parole, e però abbracciando il capo della figlia e chinandosi a baciarla, a farle le più affettuose carezze, le diceva: - Sì, piangi, mia cara, piangi con tua madre... Credi tu ch'io non ti sappia, ch'io non ti debba compatire? ch'io t'abbia a voler manco bene per questo? che tu mi sii scaduta in nulla da quel che mi sei sempre stata finora? no, la mia cara, no, la mia buona figliuola... Che anzi se tu potessi pure entrarmi ancora più addentro nel cuore, ancora più addentro che non vi stai, oh ti do fede che avverrebbe ora per la forza che mi fanno queste tue lagrime, per quella nuova grazia che ottiene negli occhi materni il dolore d'una figlia... obbediente. -

Bice, soggiogata da tali parole e più ancora da quell'affetto inesprimibile con che erano pronunciate, avventò le braccia al collo della madre, abbandonò su quel seno amoroso il suo volto infiammato, e pur sempre lagrimando e singhiozzando se le stringea amorosamente dattorno.

- Ora tu vedi per la stessa, - tornava a dirle Ermelinda tutta commossa essa pure, - tu vedi bene che non ti è onore il trovarti più a lungo familiarmente con lui come per lo passato; che se tuo padre te ne desse ancora l'opportunità, gli è ch'esso è troppo lontano dall'aver la più lieve ombra della cara sua figlia; ma tu che conosci la fralezza dell'animo tuo, che sai... che forse n'hai lasciato trapelare a quest'ora alcun che a lui medesimo... Insomma, il decoro vuole che oramai tu gliene stia lontana. Domani egli passerà fuori tutta la giornata, tu resterai qui con me; il giorno dopo ei se ne va, ed eccoti tolta d'ogni angustia... e tutto resta sepolto fra noi due. - Voleva seguitare a dirle quello che avesse a rispondere al padre se fosse venuto alla mattina a chiamarla per la caccia, ma in quel mezzo senti una pedata venir su per le scale, conobbe ch'era quella del Conte, e non volendosi lasciare trovar quivi da lui, si tolse affrettatamente dalle braccia della figliuola, e datole e ricevutone un ultimo bacio, uscì dicendo: - È tuo padre, bisogna ch'io me ne vada.

La rimasta stette un gran pezzo per ricomporsi alla meglio; alla fine chiamò l'ancella che la svestisse. Questa vedendola ancora tutta arrovesciata, non si assicurò di dirle una parola: solo quando l'ebbe posta a letto le domandò, come soleva, che libro volesse leggere quella sera. - Ho da darvi quello con su i diavoli e le anime dannate, che vi piace tanto?

- No, cala le cortine, spegni il lume, e vattene.

- E domattina vorrete che vi desti all'aurora, è vero; onde esser lesta a partire per la caccia?

- No, non verrai finch'io non ti chiami.

- E che vestito?...

- Ti ho detto di no, esci, e lasciami stare.

- Marina gonfiata stasera! - disse l'ancella fra , ed obbedì.

Allora Bice allentando il freno al suo dolore, si mise prona colla bocca contra i guanciali per non essere sentita a piangere. Il letto le parea pieno di triboli e di spine, non trovava requie posa in nessun lato; levavasi a sedere come per riavere il respiro, poi si ricacciava sotto le coltri, e a piangere, a piangere di nuovo sconsolatamente.

Le parea di vedere la figlia del Rusconi tutta bella e superba cavalcare sugli spaldi di Como; e Ottorino galopparle leggiadramente al fianco, e che si ricambiassero fra loro parole e vezzi... Faceva ogni sforzo per iscacciare quelle immagini, gettavasi faticosamente col pensiero di qua e di , lo costringeva con tutta l'intensione del suo spirito a scorrere il passato, a lanciarsi nell'avvenire per cercarvi un punto su cui aggirarsi, una prominenza, dirò così, che gli desse un appicco da potervisi afferrare, ma il passato, ma l'avvenire era tutto languido, tutto morto, tutto uguale: non trovava nella vita, non vedeva nel mondo che un termine; ogni tragetto, ogni scappatoia per cui si mettesse la sua mente, andava e riusciva a quello; e i primi crudeli fantasmi non messi in fuga mai, ma solo debolmente respinti per un istante, tornavano più infesti, più perfidiosi da tutte le bande ad immagine d'un esercito vincitore, che soverchiate le mura, sfondate le porte, entra a furia in una città presa d'assalto.

Pure alla fine vinta dalla stanchezza e dal travaglio si smarrì in un lento sopore pieno di sogni immaginosi e appassionati. Ma che direste? che alla mattina quando si destò, che fu un pezzo innanzi l'alba, trovossi in fondo al cuore una certa calma, una speranza, un conforto, senza saper d'onde le fosser cascati: solo che ritornando sulla sua cura, le balzò fuori da un cantuccio della mente, dove a quel che parea vi stava appiattata da un pezzo, un'idea la quale nella prima sfuriata della passione non aveva potuto farsi innanzi, ma che la notte nel sonno doveva poi essersi levata da cheta cheta, e datasi dattorno bravamente a metter acqua su quel gran fuoco che aveva trovato acceso in casa.

L'idea era questa, che tutto quello che le avea detto la madre intorno ad Ottorino potea non esser vero, che non bisognava correre a precipizio a condannarlo. Così diritto, così buono, com'egli è, dicea fra stessa, dopo tanti giuramenti! Con tutto questo il primo pensiero le dava ancora martello, ed ella, capite bene, che avrebbe desiderato di levarselo dal cuore. Se avesse potuto trovarsi con suo padre, le sarebbe stato agevole di trarlo bellamente e senza farsi scorgere al punto ch'ei le avesse a schiarire quell'oscurità; ma il padre usciva all'alba, e s'ella non voleva seguitarlo alla caccia, noli l'avrebbe veduto più fino a sera: e intanto star tutta la giornata su quella croce? e se tornato che fosse non le veniva fatto di poterlo avere da solo a solo, di metterlo su quel discorso prima che Ottorino partisse! e partiva il domani di gran mattino. Si risolvette di levarsi tosto per esser presta alla prima chiamata, di coglier solo il padre intanto che si facevano gli apparecchi e veder di condurlo al suo intento; colla risoluzione ben ferma di non seguirlo poi in nessun caso alla caccia a patto veruno per non disubbidire alla madre.

Chiamò dunque Lauretta perchè la vestisse. Quella le pose indosso gli abiti da caccia apparecchiati la sera, e Bice, tutta ingolfata ne' suoi pensieri, o non se ne accorse, o non ne fece caso. Quando sentì la voce del padre, discese in un salotto dove lo trovò solo. Il Conte sorgendo incontro alla figlia: - Ormai tutto sarà in pronto, - le disse; - andiamo.

- Io non son venuta giù che per salutarvi e per darvi il buon giorno, - rispondeva Bice imbarazzata.

- Delle tue! pazzerella che sei!

- No, - replicava essa, resistendo alla mano che voleva condurla fuori. - Lasciatemi qui un momento; sedete, diciam due parole fra noi.

- Hai tempo di dirmene mille delle parole, non che due; quest'oggi alla caccia non saremo insieme tutto il ? Ora giacchè sei stata tanto spedita, andiamo senza tener più a disagio chi ci aspetta.

- V'ho detto ch'io non vengo, ch'io voglio rimanere in casa.

- Ed io ti dico di lasciar da canto le baie e di non farmi la bambina.

Intanto che succedeva questo contrasto, comparve nella sala Ottorino, e dopo le accoglienze consuete, chiestane licenza al padre, prese il braccio della fanciulla e la condusse fuori della sala in un cortile, dove la stava aspettando un palafreno. La fanciulla come affascinata non fece resistenza: le balenò bensì in mente l'idea della madre, ma come tornar indietro ora che s'era lasciata cogliere levata a quell'ora, con quell'abito? che cosa dire? che s'era mutata d'avviso? ma come? ma perchè? bisognava spiegarsi, dar qualche ragione, ed ella si sentiva vacillar la mente, e non aveva in quel punto neppur fiato di profferir una parola.

Il garzone giunto presso al cavallo ne prese le briglie dalle mani d'un paggio e le porse alla fanciulla; quindi piegato un ginocchio in terra, dell'altro fece predella al bel piede di lei, che toccatolo appena leggera leggera, spiccò un salto aggiustato e fu in sella.

Ottorino le si mise alla staffa, il padre prese familiarmente il giovane per un braccio, e s'avviarono a piedi seguiti dal falconiere e da quattro paggi con falchi in pugno e i cani a lassa.

Il Conte cominciò a parlar de' suoi bracchi e de' suoi sparvieri col giovane, il quale, pensate voi, con che attenzione l'ascoltasse, vedendosi Bice a lato che non profferiva parola, che non gli levava mai gli occhi in volto.

Egli dopo d'averle domandato se si sentisse male, se le occorresse nulla, come trovasse amena quella cavalcata, che le paresse del tempo, della stagione, ed altrettali novelle, si tacque del tutto, chè l'aria con cui ella accolse quelle domande, gli aveva tolto ogni baldanza di fargliene delle nuove. E così il campo restò tutto quanto al Conte che lo corse in lungo e in largo come suo.

Dopo forse un paio d'ore giunsero in un salvatico di castagni, dove i paggi di falconeria sciolsero dal guinzaglio i cani, che si sbandarono in qua e in fiutando coi musi bassi, intanto che i signori e Ambrogio salivano in cima d'un poggio d'onde si dominava la caccia.

Non vi erano appena giunti, che il Conte volgendosi alla figlia le diceva: - Bada alla Diana che ci sente, - e le additava un bracco che veniva alla loro volta tutto intento e col naso a terra, dimenando la coda... - Bada ch'ella ha fermo... Ecco ha levata una beccaccia... presto, togli il cappello a Garbino; via presto, come sei impicciata stamattina!... lascialo volare, chè l'ha veduta: così, bene!... Guarda che bel volo! oh la non gli scappa più... bravo il mio Garbino, con che furia eh, le piomba addosso? ecco, ecco, l'ha ghermita.

In fatti si vide il falcone venir giù dall'alto colla preda e stramazzar insieme tutt'in un fascio alle falde del poggetto su cui stavano i cacciatori. Il Conte corse al basso per levar la beccaccia dagli artigli di Garbino, e il giovane cogliendo quel momento si fece più presso a Bice e le disse tutto agitato: - Per pietà, ditemi che cosa avete!... Se ho potuto increscervi in qualche cosa, non me ne vogliate dar tanto tormento; Bice, ve ne prego, domani sapete ch'io vi debbo lasciare...

- Lo so, - interruppe la fanciulla con un sorriso che potè mal velare l'interna amarezza, - lo so che partite domani, anzi mia madre m'ha detto una cosa che voi mi lasciavate ignorare, m'ha detto che piglierete la via di Como. - Per quanto ella si sforzasse di dare a queste parole un'aria leggera d'indifferenza, non potè a manco di porvi dentro un sentimento che dal giovane fu côlto per aria.

Egli si fece tutto rosso, e cominciava: - Sentite, non posso negarvi... allora non vi aveva ancor veduta voi... però vi giuro... sull'onor mio, Bice, vi giuro che per voi sola... - Ma le parole gli fur mozze dall'arrivar del Conte, il quale gridava al suo falconiere: - Dàgli l'imbeccata, e rimettigli tosto il cappello.

La fanciulla, dai detti e più ancora dal turbamento del giovine fu fatta certa della verità di quanto le aveva annunziato la madre. Tutto ad un tratto ella rimase come atterrata, come annientata; ma ripigliando poi tosto stessa, e facendosi onta di quella sua abbiezione, sentì rinascere in cuore quel suo orgoglio disdegnoso, lusingato in lei tanto tempo dall'abitudine di veder ogni cosa cedere innanzi a un suo desiderio: e però mostrandosi da quel punto tutta intenta ai cani, ai falchi, come se avesse posto veracemente tutto l'animo suo nei varii casi della caccia, non si staccò mai più in tutta la giornata dai fianchi del padre, non volse mai una parola, uno sguardo ad Ottorino, tanto che riuscì a fargli tornar in veleno tutta la gioia ch'ei s'era promessa in quel giorno.

La mattina dopo, il giovane cavaliere partì in compagnia di Lupo alla volta di Milano; ed ella pasciuta, inebbriata del suo cruccio, a tutta prima ne provò una vera consolazione. La madre in quel giorno le si mostrò contegnosa e severa; e questo pure non fece che crescerle la rabbia: lungi dal riconoscere il suo fallo, in quello stizzoso ribollimento, si figurava d'esser lei la gravata. Fantastica, rincrescevole con tutti, la sera si coricò presto; e l'ancella che la vide rannuvolata come il temporale, le lasciò il lume acceso, e uscì ratta ratta. Ella prese d'in sul tavolino che stava a canto al letto un volume in pergamena legato in cuoio, ch'era l'Inferno di Dante. Quando Lauretta la sera innanzi le volea dar da leggere un libro con su i diavoli e le anime dannate, era appunto questo, perchè infatti al principio di ogni canto v'era una miniatura che figurava quello che in esso veniva descritto. Chi potesse averlo ai nostri giorni quel volume sarebbe un tesoretto.

Bice faceva quella lettura di nascosto dalla madre; e il Conte medesimo s'era questa volta lasciato tempestare un gran pezzo prima di accordargliela. E non è mica ch'egli avesse paura che la Divina Commedia non potesse forse venire a bene a una fanciulla; no, era solo per una vecchia ruggine ch'egli avea coll'Alighieri, a cagione dell'opera latina intitolata De monarchia, data fuori da quel fiero ghibellino molti anni prima, come abbiam già accennato, e che in quel tempo, vale a dire quattro anni dopo che l'autore fu morto, cominciava a levar un gran rumore in Italia e in Germania.

Solo pochi giorni prima che Ottorino capitasse al castello, il Conte aveva finalmente concesso alla figlia il volume tanto desiderato, il quale non era però che la prima cantica, poichè sebbene in Toscana corresse già a quel tempo anche il Purgatorio e alcuni canti del Paradiso, in Lombardia non si conosceva comunemente altro che l'Inferno.

Bice avea cominciato a leggerlo la sera quand'era sola chiusa nella sua camera, e lo faceva con grande avidità, e pel diletto che naturalmente trovava in quel racconti fantastici, pieni di vita e di passione, e per l'aggiunta di quel tristo sapore che il senso ribelle dei figli d'Eva suol trovare in ogni frutto proibito.

Stese, come abbiamo detto, la mano a pigliare il volume, l'aperse, e sentì alcun che scorrere frusciando tra mezzo ai fogli di quello, poi vide cascarne fuori qualche cosa... Che è?... una carta... una lettera... per lei... - Di chi?... È mestieri dirlo?...

 

 




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