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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO VII
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CAPITOLO VII

 

Il lettore si ricorda di certe parole troncate a mezzo, che il Conte diceva sotto voce ad Ottorino sul proposito di Marco e di Ermelinda venendo da Bellano; parole che accennavano come il Visconte in altri tempi avesse avuto strette pratiche di tôr questa per donna, e come poi fossero nati fieri accidenti che avean guasto quel parentado, e cagionati sconcerti e vendette sanguinose. Ora Bice, che senza farne le viste, avea, come abbiam detto, inteso ogni cosa, provò una gran vaghezza di conoscere il fatto per disteso, con tutti i suoi particolari; e non parendole onesto di domandarne ad altri, avea più volte sollecitata l'ancella perchè si facesse contar quella storia dalla propria madre, la moglie del falconiere, la quale era stata da giovane al servizio d'Ermelinda e dovea saperla tutta per disteso.

Lauretta, cui tanto parea d'aver bene, quanto le veniva fatto di contentar la sua padrona, e che ora desiderava più che mai di darle in grazia per rabbonirla, per imbaldirla un po', vedendola sempre stizzata e malinconica, si mise attorno alla madre a pregarla con sì buona maniera, con tanti vezzi, con tante amorevolezze, che quella, dopo d'averla mandata un pezzo d'oggi in domani, una sera che si trovavan sole, fattole un gran preambolo, che non le eran cose da sapersi, che si guardasse bene da ridirle, cominciò finalmente il racconto in questo modo:

- Simone Crivello, il padre di Ermelinda, era cosa stretta col padre di Marco; e vedendosi spesso insieme fra loro, l'uno in casa dell'altro, anche i giovani, come si fa, s'erano visti, s'eran piaciuti, e Marco avea dato parola alla mia padrona che l'avrebbe sposata. Quando s'è ragazzi si fa presto a correrla senza pensar più in : bisognava prima vedere se i genitori eran contenti. Quanto al Crivello avrebbe accolto il partito a bocca baciata, ma i guai venivan dalla parte di Matteo Visconti padre di Marco, che era a quel tempo uno dei primi Signori, e non voleva dare a' suoi figli altro che gran principesse e figliuole di re di corona. Basta, aspetta, aspetta; passò forse un anno che non si venne mai a un costrutto di niente. E vedi, se Ermelinda avesse dato ascolto da principio alla madre, gliel'avea ben detto lei, che non dovesse parlare a uno che sarebbe stato miracolo se poteva sposarla; gliel'avea detto sicuro, ma sì, bada pure! che i giovani vogliano dar retta!...

- In somma che cosa è poi successo? - l'interruppe Lauretta, impaziente di venire alle strette.

- È successo, che venne intanto un serra serra, i Visconti furon cacciati da Milano, v'entrarono i Torriani, e si venne in chiaro che il padre della mia padrona, il quale faceva tanto l'amico di Matteo, era stato uno dei capi a menar l'intrigo.

- Oh che cosa mi contate mai! e tutto per vendetta di quel partito rifiutato, è vero?

- Credo ben di sì. Allora il Crivello premendogli di far vedere ai nuovi Signori che s'era guastato per sempre coi Visconti, per paura che Ermelinda avesse a riuscire in qualche modo a tor Marco, voleva costringerla subito subito a sposarne un altro, a sposar qui il Conte che l'avea richiesta alcun tempo prima. Figurati, la poverina, come rimase! che non c'era via che volesse romper fede al Visconte; e in casa guai, scompigli, minacce: tanto che non facea che piangere e non avea più ben di .

Passarono così forse venti giorni, quando: odi questa! mi sveglio una notte a un forte bussar che sento all'uscio della mia camera e domando - Chi è? - Tuo padre che è tornato di Terra Santa, e vuol vederti subito -, mi risponde un palafreniere di casa. In fatti mio padre era andato in pellegrinaggio al Sepolcro già da un pezzo, e s'aspettava di in . Presto mi caccio in dosso un po' d'un guarnello alla meglio, corro ad aprire; ed ecco che viene innanzi uno vestito da pellegrino, col cappuccio sugli occhi e una lanterna cieca in mano; io gli getto le braccia al collo, egli posa la lanterna, si cava il cappuccio... Figliuola mia! di quegli spaventi non ne ho mai avuti più: indovina un po' chi era!

- Chi?... Marco?

- Sicuro, proprio Marco Visconti in petto e in persona, che con due occhi che gli volevan schizzar fuori del capo mi domanda: - Dov'è Ermelinda?. - Per l'amor di Dio! per la Vergine Santissima! che cosa volete qui voi? -, gli dicevo io; ma egli dandomi una stretta in un braccio, che me ne son rimasti i lividi per dei giorni: - Dov'è Ermelinda? -, tornava a dire. - Non siete già venuto a fin di male! -, insisteva io, - per carità, abbiate compassione di quella tribolata, che a quest'ora è già mezza morta. -

«È forse di ?", mi dice lui facendo segno col dito verso la camera dov'ella stava davvero. Io che in quel momento non sapeva quel che mi facessi, dissi di sì, ed egli fece due o tre passi verso l'uscio, poi tutt'ad un tratto si fermò su i due piedi, come pentito, e mi disse: - Va' dentro tu e dille con buona maniera che l'aspetto qui fuori, che ho da parlarle -. Che cosa doveva far io? scappare? Non c'era via; gridare? m'avrebbe strangolata: entro dunque e trovo la padrona già mezzo levata, che al primo vedermi comparire mi domanda tutta paurosa: - Che vuol dir quel lume? e chi è di ? -, e perchè io non rispondeva subito, si mise a gridare: - Chiudi l'uscio! Chiudi l'uscio! -. Ma in quella vien dentro una voce sommessa: - Ermelinda, non abbiate paura, sono io, sono il vostro Marco -.

Hai visto la Tita del Tonio quando le quel benedetto, che è che parla e ride come noi, e tutt'ad un colpo stramazza per terra che par morta? bene, tal e quale: era diventata bianca come un pannolino lavato, lenta, sfatta tanto che io la detti per morta davvero; e tornata fuori colle mani ne' capelli, mi cacciai a piangere come un'anima tapina.

Marco, che per buon costume non avea osato venire innanzi, piglia la lanterna, entriamo in camera tutt'e due, le facciamo odorare non so che acqua di sentimento, le bagniamo il viso e le tempie, tanto che aperse gli occhi e tornò in . Bisognava vederlo quel cristiano come s'è comportato in quei momenti: dopo, dicono che è diventato uno scavezzacollo, un satanasso: sarà vero, io non dico di no, ma allora era un giovane dabbene e timorato di Dio, ed io posso farne buon testimonio; vedi, un dito ch'è un dito, non s'assicurava di toccarglielo; le si adoperava d'intorno, e la guardava con una tema, con una divozione, come fosse stata, dirò così, la Madonna; tutto compunto che non pareva mica quel gran soldato, quel gran principe. Quando vide che Ermelinda s'era riavuta: - Sono qui -, le disse, - per mantenere la mia promessa, di sposarvi e condurvi con me.

- Oh Santa Vergine! Oh Signor Iddio! -, esclamava la ragazza senza poter dir altro.

E lui allora (mi ricordo di tutte le sue parole come se il fatto fosse accaduto ieri, m'ha fatto tanto colpo, e poi se n'è parlato tante e tante volte colla padrona), e lui dunque, facendo un certo riso come d'uno che avesse piuttosto voglia di piangere: - Vi sembrerò poco cortese a invitarvi a lasciar la vostra casa per seguitare la fortuna d'uno che non ha, si può dire, dove posar il capo al sicuro. -

- Non dite così -, rispondeva la padrona, - non dite così, che mi spezzate il cuore. Per carità fuggite, fuggite tosto, chè se alcuno avesse ad accorgersi, poveretto voi, poveretta me! -

- Fuggire! -, diceva Marco, - e avrò dunque fatto tanto viaggio, corso tanti pericoli cacciandomi in mezzo a gente che pagherebbe volentieri il mio capo a peso d'oro, per tornar indietro come un ragazzo, come un insensato?.

Ma se mio padre avesse a trovarvi qui -, insisteva la padrona, - guai a voi!

- Guai a me? Oh! credete che se non pensassi che è vostro padre volessi uscir di questa casa colle mani nette? -. Ermelinda tremava tutta. - Andiamo dunque -, insisteva Marco, - ho ancora degli amici che ci scorteranno finchè v'abbia ridotta in luogo sicuro: qui a basso sta pronto un cavallo anche per voi: giunti a Bergamo vi darò l'anello. Intanto, fate ragione di essere con un vostro fratello, di essere in chiesa.

Io aveva stretta la padrona per l'abito, e la pregava all'orecchio che si guardasse bene: bisogna dire, ch'egli se ne sia accorto, perchè messami una mano sulla spalla, mi disse: - Via, Marianna, lasciala stare -. Le parole non eran che queste, ma le profferì con una voce, con una cera, con due occhi, che mi son sentita agghiacciar fin nelle midolle; apersi le palme, e restai incantata come a vedere il basilisco.

Allora Ermelinda riavendo un po' la parola si mise a supplicarlo: - Volete ch'io abbia a fuggir da casa mia di notte a questo modo, come una malafemmina? che faccia morir di dolore e di vergogna la mia povera madre? Oh no! lasciatemi stare, ammazzatemi piuttosto, ammazzatemi di vostra mano, che sono contenta. -

Marco stette un poco sopra di , e infine venne fuori con certe parole oscure, a lasciar intendere che se ella non veniva, ei non voleva aver però fatto il viaggio per niente, e che insomma sarebbe andato lui a trovar suo padre. Forse nol disse che per farle paura affin di tirarla al suo intento; ma la padrona che prese la cosa sul serio, cominciò a tremare, e gli si gittò dinanzi tutta piangente, a pregarlo, a supplicarlo che non dicesse così, che scacciasse quei pensieri, e che non le volesse dare tanto spasimo, e diceva di quelle cose, e con tanta passione!... ma lui niente! e faceva sempre prova di sciogliersi dalle sue mani; anzi vi fu un momento che se ne deliberò affatto e si movea verso l'uscio. Ermelinda allora balzò in piedi come una furiosa, lo afferrò per un braccio e si mise a gridare: - No, non uscirete di qui prima di avermi ammazzata, lo difenderò io, io lo difenderò!. -

Fu come a gettar, un secchio d'acqua sul fuoco: il Visconte si fermò, non fece più nessuna forza. - Via -, disse con un sorriso gelato e da far gelare chi si sia, - via, quietatevi; vedete, son qui, non più un passo, non abbiate paura ch'io fugga, fate pure strepito, svegliate la casa, gridate all'assassino, io non mi movo -.

È impossibile spiegarti come restò la padrona quando intese quelle parole; si lasciò cader le braccia, si trasse indietro, stette un momento in orecchi ascoltando se alcuno si fosse svegliato, ma assicuratasi che tutto era quieto, giugnendo le palme. - Ah, Marco, perdonatemi -, diceva, - è mio padre alla fine! Ma voi, a dirmi di quelle parole! se sapeste il male che mi fate! Oh il Signore m'è testimonio quanto darei volentieri la mia vita per salvare la vostra! Per carità andate! fuggite di qui! chi sa che alcuno non si sia accorto! chi sa? Fuggite! fuggite per l'amor di Dio! se mi avete mai voluto bene fuggite! -

Egli, freddo freddo, per risposta le stese la mano, e disse: - Dunque andiamo -. Ma quando vide ch'ella si traeva indietro: - No? non volete venire? ebbene, sappiate ch'io non mi tolgo da questa camera se non sono in vostra compagnia: guardate quel ch'io fo -, e si mise a sedere sul tavolino, ponendo una gamba sull'altra e avvolgendo le braccia al petto com'uno che sia risoluto di non muoversi. - Aspetterò fino a domani -, seguitava a dire, - di ragione qualcuno ci capiterà; chi sa che non venga anche vostro padre? chè se volete tôrlo d'ogni rischio sapete come va fatto. Andate alla finestra, gridate che Marco è nelle vostre camere; che vengano, che vengano in frotta, io non mi movo. -

Figurati noi, che spavento! che, desolazione! Io da una banda, Ermelinda dall'altra a piangere, a pregarlo come si prega la croce: oh appunto! gli era giusto come a volersi tôrre di mutar il Legnone dal posto.

Quando la padrona ebbe visto che non c'era redenzione: - Volete proprio precipitarmi? -, gli disse, - ebbene, verrò -. Inginocchiossi innanzi a una Madonnina che teneva appesa da capo del letto, vi stette un momento in orazione, poi si levò, e mi disse a me: - Dirai a mia madre... -, ma il pianto le soffocò la voce. Il giovane le prese la mano, ed ella gli andò dietro con una faccia stupida, come uno che dorma e vada in volta bell'e dormendo. Ma non furono appena in sulla soglia, che s'inteser molte pedate venir su in furia per le scale. Marco ristette un momento, poi traendosi tostamente indietro, si diede un pugno nella fronte e sclamò: - Non siamo più a tempo! -. In un batter d'occhio richiuse l'uscio, lo serrò per di dentro col chiavistello, si aperse il farsetto con una mano e ne trasse fuori un pugnale, con l'altra si tolse di collo una catena d'oro, diè una forte strappata, la spezzò nel mezzo, se ne ricacciò in seno una metà, e pose l'altra in mano d'Ermelínda dicendole affannosamente: - Sarà il segno della nostra fede: spero di tornar tosto in altra condizione da quella d'adesso: in ogni modo, guardatevi dal mancarmi alla promessa: finchè non vi venga portata l'altra metà di questa catena stroncata che vi lascio, è segno ch'io son vivo e che non ho altro pensiero che di farvi mia sposa -. Diceva ancora, che fu bussato precipitosamente all'uscio. Marco aperse una finestra che rispondeva nel giardino, spiccò un salto, e giù.

Io corsi ad aprire a quei di fuori che seguitavano a tempestar l'uscio, come se volessero rovinarlo: entrano sette od otto armati e si danno a frugar per tutto; ma sentendo giù nell'orto un gran parapiglia sgombran ratti e corron da basso.

Noi, non si seppe più nulla per tutta la notte: vi fu un gridare, un accorrere, un menar di colpi, poi tutto tornò in silenzio.

Alla mattina Milano fu piena di quel l'avvenimento. Nell'orto del Crivello furono trovati morti due famigliari di casa; si raccontò per fino che Marco s'era già posto in sicuro fuori del cancello, quando accorgendosi di non aver più la sua celata, tornò indietro, spinse il cavallo addosso ad uno che avea raccolto da terra quel pezzo d'armatura, gli diede d'un pugno su d'una tempia che lo stramazzò come morto, saltò giù da cavallo, tolse su bravamente l'arnese caduto, tornò in sella, e fu a tempo ancora a salvarsi.

A questo punto Marianna, interrompendo la sua storia, disse alla figlia: - Il resto poi te lo conterò un'altra volta, perchè, vedi bene, è già un pezzo che sei qui, e la padrona ti potrebbe volere; va dunque, va, figliuola mia.

- No, - rispondeva Lauretta, - non ha bisogno di nulla, l'ho già posta a letto, e m'ha dato licenza fino a domattina: andate avanti, raccontatemi come andò a finire.

- Sei pure una benedetta figliuola che vuoi tutto a tuo modo, e quando t'incapricci d'una cosa...

- Via, cara mamma, raccontatemi; siate buona.

- Almanco dunque cavane buon documento, e impara che i figliuoli...

- Sì, sì, andate innanzi.

- Adesso mo vengono i guai per la povera Ermelinda, - disse Marianna rimettendosi in cammino; - sentirai che cosa l'è toccato di patire a quella povera cristiana e anche a me di rimbalzo; sentirai.

Il Crivello capì bene che Marco era venuto per menar via la sua figlia, e immaginando che di quanto aveva fatto ne avesse l'intesa con lei, montò in una furia che mai l'uguale; e venutole colle coltella in sul viso, le protestò che Marco, se lo cavasse pur del capo, non l'avrebbe sposato mai; e ne disse tante di lui e della sua famiglia, tante che finavan l'aria; e che in conclusione ella si risolvesse all'una delle due, o tôr subito subito il conte del Balzo, o marcire in un fondo di torre, ove non avrebbe visto più lume dei suoi . A dir quel ch'è da dire, il Crivello avea fatto male anche lui: quando ebbe visto che il parentado non poteva aver luogo, non doveva lasciar che la figlia parlasse più a Marco, ma l'ha fatto per poter trappolar meglio i Visconti; e queste al mio paese si chiamano birbonate belle e buone.

- E così? - diceva Lauretta, per ravviare la narrazione.

- E così, Ermelinda non volle sentir parlare d'aver a mancar della fede data al Visconte, e il padre le tenne parola, e te la fece chiudere in una torre. Fin qui è quel che accade, la figliuola incapriccita, il padre duro; ma come ci entrava io? che colpa ce n'aveva io d'averne ad andar di mezzo? Mala cosa, figliuola mia, a star con altri, principalmente coi signori: senti mo' adesso. Un bel , senza dir che c'è dato, mi piglian su, mi pongono in una cameraccia come una prigione, e cominciano a farmi patire ogni sorta di disagi e darmi ogni sorta di paure; e tutto perchè si voleva sapere da me i segreti della padrona. Io stetti salda per un pezzo; ma a poco a poco poi mi sono lasciata svolgere, e cominciai a raccontare tutto quello che ne sapeva, dal primo tempo ch'ella avea veduto Marco, fino all'ultima comparsa di lui in casa del Crivello, senza tacer niente della fede che i due giovani s'eran rinnovata, del segno di quella catenella che serbavano mezza per uno, e tutto insomma. Dopo quel fui messa più al largo, fui trattata un po' più da cristiani, ma quanto all'uscir di prigione, ci volle ancora dei bello! mi vi tennero chiusa ancora sei mesi; in capo ai quali mi fu fatto intendere che Ermelinda avea sposato il Conte qui, il nostro padrone; ch'ella cercava di me, e però se voleva tornar con lei come prima, facessi io.

Figurati, se mi feci pregare! Venni dunque condotta a Limonta e trovai la padrona che non pareva già una sposa, ma piuttosto, un corpo uscito d'una sepoltura, tanto era data giù e diventata brutta da non parer più quella. Mi fece intorno una gran festa e infine disse di Marco, che le avea mandato il segnale di quella tal catena: me la mostrò; era proprio quella: la riscontrai anch'io col pezzo rimasto in sua mano, non c'era che dire.

Allora mi raccontò del modo con che gliel'avea fatta avere.

Mentre ch'ella stava confinata nella torre, la si lasciava uscir fuori in sul battuto tutti i a pigliare una boccata d'aria. La torre guardava in un cortile, dove non entrava mai nessuno, fuorchè la famiglia del castellano; solo che un , dopo forse quattro mesi, vi fu ammesso un giullare, il quale cominciò a far cento giuochi, e in fine ne fece uno di gettar in alto cinque arance una dopo l'altra e ripigliarle sempre, e tornarle a buttare, intanto che ballava una moresca al suono d'un piffero. Or bene, mentre ch'ella seduta fra i merli guardava giù quella maraviglia, sentì cadersi in grembo una delle arance, e vide scrittovi sopra la buccia queste parole: - Marco ad Ermelinda -: aperse l'arancia e vi trovò dentro una lettera e quel pezzo di catena che t'ho detto.

- Guardate un po' che impostore! - scappò su Lauretta; - è proprio stato lui a rifiutarla, dopo tante promesse e tante smanie!

- Aspetta, non tanta furia, adesso sentirai. La padrona mi lesse lo scritto, chè anche a quel tempo così giovinetta sapeva leggere quant'un chierico. Diceva dunque che avea sentito quel che il padre di lei le facea patire in grazia sua, e non voleva esser cagione della sua morte: che veramente anch'esso era molto stretto da' suoi di casa, perchè avesse a sposare una figlia del Signor di Verona, il quale prometteva d'aiutarli a ricuperare la signoria perduta, e una cosa e l'altra; e conchiudeva col liberare la padrona dalla promessa, mandandole il segno inteso; anzi la pregava egli medesimo che sposasse il conte del Balzo, il quale, diceva, se non altro, non è nemico dei Visconti.

- Ma dunque aveva ragione io? - insisteva pure Lauretta.

- Se non mi vuoi lasciar finire!

- Sì, sì, dite pure, dite su, che non fiato.

- Di a un anno, ascolta bene, Ermelinda era un giorno a caccia sul pian di Colico, e staccatasi dalla brigata, si vide cavalcare incontro un uomo armato, colla visiera sul volto, il quale giuntole a pari, la ferma e dice: "Vengo a domandare alla contessa del Balzo il segno lasciato da Marco ad Ermelinda". Ella riconobbe tosto la voce, e fu per cascar di cavallo, pure ebbe tanta forza ancora da cavarsi di seno la lettera e la catenella che portava sempre addosso, e presentarle al cavaliere che le avea fatta quella richiesta.

- Era Marco, è vero?

- Proprio lui. Lesse lo scritto, osservò la catenella e digrignando i denti, come una bestia feroce, esclamò: - La lettera è falsa, la catenella m'è stata rapita: fummo traditi entrambi. Addio, Ermelinda, non ci rivedremo forse più; ma se questa smania che ho addosso mi lascia in vita ancora qualche tempo, sentirete parlar di me -. E rivolgere le briglie, cacciar gli sproni nel fianchi del cavallo, e sparir tra il folto di alcune macchie, fu tutt'una.

- Povero giovane! - esclamò allora la figlia tutta commossa, - povero giovane!

- Col tempo, - tirava innanzi Marianna, - si è saputo che la catena era stata levata dal collo di Marco mentre ch'egli era per malattia in fin di morte, e mandata al Crivello, un po' da chi? da quello stesso palafreniere che avea bussato al mio uscio quella notte così fatta, e che scappato poi via insieme col Visconte, s'era posto al suo servizio. Per la gola d'una grossa somma fattagli profferire dal Crivello, il manigoldo avea tradito il nuovo padrone come avea tradito l'antico: ma non ebbe ad andar al papa per la penitenza ve'! no di sicuro; Marco andò a cercarlo fin di di Francia dov'ei s'era rifuggito, e l'ammazzò di sua mano.

- Gli sta bene, - disse ancora Lauretta, - ci ho proprio gusto, birboni!

- E anche al padre di Ermelinda ebbe a costar caro quel tradimento, chè Marco, còltolo dopo molt'anni a Trezzo nel guadar l'Adda, lo passò banda banda con una lancia.

- Adesso capisco, - diceva la figlia, - perchè la padrona quando s'imbatte a sentir menzionare codesto Marco la si riscuote tutta e par che il sangue le dia un tuffo. Ma com'è stata poi la faccenda di quel giullare delle arance?

- Non la indovini? quella fu una malizia doppia del Crivello per dar più colore alla cosa e far cadere la figlia nella trappola.

- Oh quanti viluppi! quanti  rigiri per assassinare una povera creatura! - disse ancora Lauretta; e reso grazie alla madre della sua condiscendenza, corse tosto da Bice a raccontarle quanto avea sentito.

Giunti ora al punto che questo Marco, di cui abbiamo fatto parola tante volte, comincia a comparire sulla scena, a mischiarsi coi nostri personaggi, a prender parte agli avvenimenti che ci prepariamo a raccontare, è necessario che ne presentiamo, dirò così, un po' di biografia, un po' di ritratto ai nostri lettori.

Figlio secondogenito del Magno Matteo, Marco Visconti avea seguitato il padre con fede e con amore tanto nella prospera quanto nell'avversa fortuna, ed era sempre stato il suo prediletto: d'indole generosa, pronto d'ingegno, atto delle membra, il primo sempre in tutti gli esercizi che s'addicessero a gentiluomo, secondo la ragione del tempo, facevasi fin da giovinotto perdonar dagli emuli la sua incontrastabile superiorità colla modestia delle sue maniere, virtù che veniva in lui più grata per lo splendore dei natali, per la beltà del volto, per la leggiadria della persona. Ma guai chi gli attraversasse la strada! chi s'avvisasse di porre contrasto alla sua natura appassionata, impetuosa, indomita così nell'ira come nell'amore! Il solo padre finch'ei visse potè temperarne la furia colla autorità della sua parola.

Condottiere valente e fortunato di eserciti, acquistossi col tempo un nome glorioso fra i primi capitani di quel secolo. Celebratissima fra tante sue imprese fu quella dell'assedio di Genova da lui posto e mantenuto con una perizia, con una ostinazione, che fur reputate maravigliose, contro lo sforzo delle armi della Chiesa, delle primarie città guelfe d'Italia e del re Roberto di Sicilia. È in quell'occasione che avendogli questo principe mandato intimando che se non si ritraeva tosto del territorio genovese, s'aspettasse di vederlo sotto le mura di Milano, gli fece rispondere che senza far tanto cammino, potevano trovarsi quando che fosse sotto le mura di Genova stessa, e lo disfidò formalmente a battersi seco corpo a corpo; di che quel re fu molto sdegnato, dicono gli storici, ma credette cosa buona di non farne altro.

Galeazzo, fratello primogenito di Marco, che dopo la morte di Matteo gli successe poi nella signoria di Milano, soffriva a mal in cuore la fama che il fratello minore s'andava acquistando, e si dolea sovente col padre che affidasse a quello il fiore delle sue genti, commettendogli le più arrischiate imprese; per la qual cosa era sempre durato fra loro un segreto astio.

Ma quando Matteo venne a morire in tempi difficilissimi, scomunicato dal papa, mal sicuro della fede de' suoi, stretto da' nemici d'ogni banda, i figli di lui s'accorsero del bisogno che aveano di stare uniti; Marco si rappattumò col maggior fratello, e gli fu di grandissimo aiuto in tutte le guerre che ebbe a sostenere per molti anni contro la Chiesa e i fuorusciti.

Tosto però che Galeazzo si vide rassodato nei domini ereditati dal padre, colle sue maniere tiranniche, colle tasse esorbitanti, si fece esoso ai Milanesi, i quali correvano agevolmente a desiderare la libertà dell'antico viver civile. Marco, mal sofferendo anch'esso l'impero del fratello che voleva dominar solo in uno Stato conservato ed accresciuto da lui a prezzo del proprio sangue, si unì ai malcontenti per procurare qualche novità; e quando i capi ghibellini di molte città d'Italia andarono a sollecitare Lodovico il Bavaro imperatore eletto, perchè calasse quaggiù a loro difesa, Marco (secondo raccontano alcuni cronisti) si recò con essi a Trento, ed accusò il fratello presso quel principe, di tener segreti maneggi col pontefice per riconciliarsi colla Chiesa, e tradir la causa dei ghibellini e dell'Impero. Fu in conseguenza di tale accusa, seguitano a dire i medesimi cronisti, che Lodovico giunto a Milano fece porre le mani addosso a Galeazzo, al suo figlio Azzone e ai due fratelli Luchino e Giovanni; e fattili chiudere nelle prigioni della rôcca di Monza, riformò la terra sotto la signoria d'un suo Vicario, il barone Guglielmo di Monteforte.

V'ha però più d'uno scrittore contemporaneo che asserisce invece essere stato lo stesso Marco fatto arrestare dal Bavaro, e porre in carcere coi fratelli e col nipote; alcuno poi dice che a lui sia riuscito di fuggirne; alcun altro pretende che sia stata fatto rilasciar dallo stesso Lodovico.

Quello che v'ha di certo si è, che poco dopo, allorquando l'imperatore dalla Lombardia passò in Toscana e quindi a Roma, dove commise la troppo famosa stoltezza di far deporre il papa Giovanni XXII per nominare un altro papa secondo il cuor suo, Marco Visconti era del suo seguito e in grandissimo favore; e anzi non lasciava di sollecitarlo per stesso e col mezzo degli amici, e specialmente di Castruccio Castracani Signore di Lucca, perchè cavasse i suoi congiunti di tanto stento.

Finalmente egli fu esaudito, e dopo otto mesi di patimenti, i Visconti uscirono dalle celebri prigioni dette i forni di Monza; certe camerucce disposte l'una sopra l'altra ne' vari piani della rôcca; nelle quali si calava da un buco che era nella vôlta; buie del tutto, col pavimento convesso e scabro, così basse, così anguste, ch'uno non si potea recare diritto sulla persona se stava in piedi, non distendersi ove si fosse voluto mettere a giacere, ma dovea starsene accoccolato o ravvolto, con tormento indicibile. Galeazzo medesimo avea fatto fabbricare quegli orridi luoghi per tormentarvi i prigionieri di Stato, e fu egli il primo a provarli, adempiendo in una predizione che era corsa nel tempo appunto che si stavano costruendo.

Consumato dal travaglio della prigionia sofferta, Galeazzo, pochi mesi dopo la sua liberazione, morì sotto Pistoia; e in Milano dove il barone di Monteforte s'era già reso insopportabile, si scoperse in quell'occasione un grosso partito a favore di Marco.

Ma, sia che a Lodovico il Bavaro desse ombra il nome di quel formidabile capitano e l'affetto stesso dei Milanesi per lui; potesse sperare di signoreggiar a grado suo un umore come quello; sia che non s'arrischiasse di mutar l'ordine di successione già stabilito dalla consuetudine; o che i signori ghibellini lo mettessero in sospetto della fede di Marco; o sia in fine che i due fratelli di questo, Luchino e Giovanni, che dovevano amar meglio la signoria del giovine nipote Azzone, abbiano saputo preoccupare l'imperatore con larghe promesse di danari, di cui avido sempre, era a quel tempo bisognoso oltre ogni credere; fatto sta, che Lodovico di Baviera nominò suo vicario della città e distretto di Milano Azzone Visconte figlio di Galeazzo, il quale si obbligò a pagargli una grossa somma per l'investitura.

I Milanesi ne furono assai malcontenti; e Marco, sdegnato contra l'imperatore, contra i proprii fratelli e il proprio nipote, contra i signori ghibellini, cominciò ad aprire qualche segreta pratica colla città di Firenze e col cardinale Bertrando del Poggetto legato del papa in Lombardia; e ne ottenne, a quel che pare, larghe promesse di gente e di danaro per aiutarlo ad insignorirsi degli Stati paterni.

È a questo punto che lo piglia la nostra storia.

 

 




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