Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Tommaso Grossi
Marco Visconti

IntraText CT - Lettura del testo

  • CAPITOLO XV
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

CAPITOLO XV

 

Tornata nel suo sentimento; Bice trovossi adagiata s'un letto in una camera sconosciuta, e domandava ad un'ancella che si vedeva a lato, dove fosse suo padre; ma in quella avendo raffigurato lui medesimo che la stava guardando dall'altro canto, si levò a sedere, poi balzò in piedi, e stringendosi a un braccio di lui: - Usciamo di qui, - gli diceva, - andiamo, andiamocene tosto.

Giunti nella via, il Conte le dimandò la spiegazione di tutto quel viluppo; ma ella affrettava il passo senza dargli risposta, premurosa di arrivare al fidato rifugio della propria casa. Ma da a un poco, rammentandosi della lettera di Marco, se la trovò alla cintura, ne la trasse fuori, e mostrandola al padre diceva: - È qui, è qui.

- Che cosa?

- La grazia di Lupo. Una lettera per l'Abate scritta da Marco.

- Ma dunque... io non capisco... se t'ha conceduto quel che gli hai chiesto... Non me n'avresti già fatta un'altra più grossa? che ti fosse scappato di bocca il nome di... di Ottorino?

- Me ne ha domandato egli medesimo.

- E tu che cosa gli hai risposto? come ti sei portata?... via, parla... scioglila quella lingua.

- Oh lasciatemi stare, lasciatemi stare... dirò, tutto, lo dirò a mia madre...

- Ecco quello a che vanno a riuscire le vostre soppiatterie. Basta, ricordati di quel che ti dico adesso: colui non l'hai da veder più, hai capito? mai più non l'hai da vedere.

Bice non fiatava, e tutta ancor sottosopra non sentiva bene l'importanza di quelle parole, non avea senso bastevole nell'animo per addolorarsene.

Per tutta la via il Conte non fece altro che tempestare e bollire, or sodo, or sommesso; giunto alla porta della sua casa, disse alla figliuola: - qua a me quella carta; - essa obbedì, ed entrarono.

I parenti di Lupo, Ermelinda, Ottorino e la famiglia gli stavano aspettando. Appena fur visti spuntare nell'androne, che corsero loro incontro coi lumi accesi; ma, al ravvisar la faccia di Bice e quella del padre di lei, fu un solo pensiero di tutti: tennero il povero Lupo bell'e spacciato, onde si levò un grido, un compianto generale.

Il Conte, lasciata la figliuola, la quale si gettò fra le braccia della madre, fece segno ad Ottorino che lo seguitasse, e quando furono in un salotto terreno, mettendogli in mano la lettera di Marco:

- Questa, - disse, - è la grazia del vostro scudiere; andate, che Dio v'accompagni tutt'e due, ma fate conto di non avere a veder mai più la mia casa l'uno l'altro; - e ciò detto, diede una giravolta, e corse a rinchiudersi nelle sue camere.

Ottorino guardò quella carta, riconobbe la mano, riconobbe il sigillo di Marco; e la repentina gioia della salvezza del suo fedele gli ammortì, e quasi gli tolse a tutta prima il sentimento della strana e crudele intimazione che gli era stata fatta.

Corse egli in una sala, dove intanto s'eran radunati tutti gli altri, e levando in alto la mano che teneva la lettera del Visconte: - Grazia! grazia! - gridava, - è qui la lettera di Marco. - Tutti gli furono addosso per vedere, per toccare quella carta benedetta; gridavano, piangevano, s'abbracciavano l'un l'altro. Il padre di Lupo volle averla in mano, e la baciava e la bagnava di lagrime e la veniva mostrando in giro alla sua donna, a Lauretta, e all'altro figlio.

- Presto, a cavallo! - gridò Ottorino, - chè il tempo stringe. - Furono allestiti due palafreni, uno per lui, l'altro pel falconiere, il quale volle accompagnarlo: e via di galoppo verso Chiaravalle.

- Dàlla qui a me la lettera, - disse il cavaliere ad Ambrogio, - dàlla qui a me, che la riporrò.

- Oh! lasciatemela, - rispose questi pregando; - vedete, l'ho qui sul petto; se non la sentissi, se non vi tenessi su la mano, mi parrebbe d'esser senza il cuore.

Per la via, com'è naturale, non fecero mai altro che parlar di Lupo.

Questi intanto stava passeggiando in un camerotto terreno di una delle torri dell'Abazia di Chiaravalle, dov'era una tavolaccia di noce con suvvi una lucerna accesa, un crocifisso di legno appeso ad una parete, ed un inginocchiatoio dinanzi a quello. Quattro soldati facevan sentinella all'uscio, un quinto stava nella camera in compagnia del prigioniero; codesto quinto era il Vinciguerra, uno di quelli che s'era tolto con il Bellebuono in quell'ultima sua spedizione di Limonta che abbiam raccontata.

Il condannato aveva il passo fermo, la fronte sicura, e stava appunto favellando col Vinciguerra di quel fatto per amor del quale si trovava in chiesina.

- A vedere come ce l'ha sonata quel villano birbone! - diceva il Vinciguerra.

- Ohe! - rispose Lupo, - non tanti scialacqui del tuo.

- Come a dire?

- Come a dire, che se vogliamo stare buoni amici, non vo' sentire male parole di quella brava gente.

- Ih! voi altri! tutti così, per reggervi l'un l'altro fareste non so che cosa; già, sei montanaro e tanto basta.

- Sicuro, e me ne vanto: meglio sparvier di rupe che anatra di palude.

- Sì, sì, tu sei di Limonta ed io di Chiaravalle; ma in fine, sei da quanto me anche tu: vassalli del Monastero tutti e due, fa bisogno di tanta superbia?

- Vassallo del Monastero sì, pe' miei peccati; ma io però non gli ho mai serviti costoro. Che bellezza eh? veder levarsi a comandarti una mano coll'aspersorio, un capo colla chierca: dev'esser proprio un desìo.

- Che ti pensi tu? - rispose il Vinciguerra, - che anch'io faccia buon sangue col soldo che me ne busco? Ti ricordi quando abbiam combattuto insieme sotto Marco Visconti?

- Viva Marco! - sclamò Lupo riscosso da quel nome che solea far palpitare il cuore d'ogni soldato lombardo. - Quegli è l'uomo! sempre innanzi lui pel primo a far maraviglie della sua persona; e poi, affabile, alla mano, amico dei soldati; e, quando ce n'era, un po' per uno, e se s'aveva a stentare, stentar tutti insieme; non come codesti tuoi... che satolli e rimpinzati fino a gola, ti gridano dal refettorio: innanzi! innanzi!... Sì, eh? per amor di que' bei visini? perchè possano metter più cotenna? E poi, che belle imprese! come l'ultima di Limonta: gente armata che capita adosso di notte a tradimento a dei poveretti sprovveduti: è egli mestier da soldati codesto?

- Hai ben ragione.

- Del resto, ve', se quei poveretti fossi giunto a tempo io di mettergli insieme, ti so dire che voleva essere un altro giuoco, e poteva ancora costarvi salato... Basta, non vo' pensarci, chè la mi cuoce troppo.

- Povero Lupo! siamo sempre stati amici; fummo compagni d'armi, e a vedere adesso quel che mi tocca a fare!

- Fai il tuo mestiere.

- Sì, ma credimi, che quel doverti far la guardia, io, qua dentro, e poi sapere dove ti ho da condurre... credi, che la non mi può entrare.

- Via, via, mandala giù con un bicchier di vino, - disse il condannato, e versandone egli stesso due bicchieri da un gran fiasco, e pigliandone uno, porse l'altro al compagno e disse: - alla salute di Marco!

- Non è un contrabbando codesto, - rispose la sentinella, - chè Marco è buon amico del Monastero ed è cugino dell'Abate; dunque posso tener l'invito e renderti buona ragione. Alla salute di Marco e alla tua! - Ciò detto votarono ambedue il bicchiere in un fiato.

- Hai detto anche alla mia? - ripigliava il Limontino tosto ch'ebbe bevuto, - hai voluto dire alla salute dell'anima, è vero? perchè quella del corpo, nel grado in che mi trovo, non ci ha più che fare. Vedi, - e guardò fuori d'una finestrella, - il cielo comincia a farsi bianco; da qui a poco... Non è egli a un'ora di sole?...

- Povero disgraziato! sì, a un'ora di sole.

- Senti, - tornava a dir Lupo, - non siamo soldati per farci ammazzare se bisogna? e dunque? morir di un colpo d'accetta che ti spacchi il cranio come una mela, d'un colpo di lancia che ti passi banda banda come un ranocchio... o... Insomma, quando tu muori facendo il dover tuo, è tutt'una; ed io muoio per aver fatto il mio dovere... Cioè, tutt'una proprio no, dico la verità: per quanto io cerchi d'ammollirla, la mi riesce ancora un po' dura; chè quella cosa d'aver a finire i suoi giorni su tre legni, legato come un mascalzone, in faccia a tutta la canaglia che corre a vederti, come corre a veder l'assassino, e' non è lo stesso come a morir sul campo di battaglia, inforcando gli arcioni del suo bravo cavallo, menando giù colpi disperati a dritta e a manca, colla musica delle trombe negli orecchi e la speranza della vittoria nel cuore.

- È quello che voleva dir io, - rispose la guardia; - del resto, quanto al morire, morir oggi, morir domani, che mi fa a me!

- E però credi che se io potessi far di meno, - soggiungeva Lupo, - nol vorrei, e della buona voglia? ma giacchè a questo fiasco bisogna bere, pazienza; rassegnarsi, e far buon viso alla morte che Iddio ci manda.

Il Vinciguerra mise un sospiro, riempì un'altra volta i due bicchieri, votò il suo, e poi con un cenno della mano invitò Lupo a fare altrettanto.

- No, no, - rispose il condannato, - quel po' di giudizio che il Signore m'ha dato, voglio tenerlo di conto per questi momenti, e far l'ultimo passo da buon cristiano, sapendo quello che fo.

- Senti, se vuoi ch'io ti chiami il padre Atanasio, che hai mandato indietro poco fa...

- No, no. Quel che era da farsi l'ho già fatto. Veramente l'avrei tenuto qui ancora, ma cominciava a rompermi gli orecchi, a entrarmi in tasca con certe istorie che... basta, io gli ho detto garbatamente e bene, che mi si levasse dinanzi.

- Oh via! sarà stato per ricordarti il ben dell'anima tua, perchè t'avessi ad acconciare con Domeneddio, per farti dir qualche divozione, chè bisogna ben farle queste cose, uno che s'avvia per di .

- Non è questo; finchè m'ha parlato da buon religioso gli ho dato ascolto ma dopo, entrandomi nel Bellebuono, voleva ostinarsi che quello è stato un assassinamento: quando se non avessi altro peccato... Basta, gliel'ho detto chiaro e tondo, che vorrei farlo ancora senza uno scrupolo al mondo d'aggravarmi l'anima.

- Oh! qui ti voglio, camerata, qui ti voglio, che il religioso avea ragione.

- Ma sei una zucca busa anche tu; ti porterò un paragone.

- Sentiamo.

- Se io, - diceva Lupo, - arrivo a Limonta un'ora prima, e mandando, per modo di dire, un falso avviso al tuo Bellebuono, lo tiro, lui e tutti voi altri, in una gola del monte, dove io, appostato co' miei bravi paesani, vi piombo addosso, e v'accoppiam tutti quanti come topi alla schiaccia, ho io fatto peccato mortale? ho da confessarmene?

- No, perchè quello è uno stratagemma di guerra.

- E il mio non è stato uno stratagemma di guerra? salvo che in cambio d'accopparvi tutti, non ne ho accoppato che un solo.

- Oh che ha che fare?

- Ha che fare ogni cosa; e poi, la ragione non la conti per nulla? la ragione d'averlo accoppato per difendere tanta povera gente del mio paese, e il nostro curato ch'ei voleva straziare e assassinare per suo spasso?

- Caro tu, adesso me l'hai detta grossa: andar a cercar la ragione!... e poi, sei soldato!

- Lo so anch'io, ma, dicevamo per un paragone, che quella non era una guerra giusta e ordinata, era una banda di assassini e di ladri che ci veniva addosso.

- Alto ! adagio un po' con codesto bel garbo di cavar di nome la gente, - rispose il Vinciguerra facendosi brusco; - io ti so dire che ho sempre fatto il soldato e non mai il ladro l'assassino e se non fosse che...

Ma Lupo cacciandosi a ridere: - Eh, va via, buffone! - gli diceva, - vorresti venire a pigliarla con me? con uno che fra mezz'ora sarà all'altro mondo? avresti trovato il tuo: un uomo in agonia!

- Che cosa mi vai adesso a cavar fuori? - rispose il soldato sconturbato tutto da quelle parole, e dalla freddezza con cui eran pôrte. - Lo so anch'io che con te... e poi, siam sempre stati amici; ma... capisci bene, certi termini... non si possono comportare...

- Ma e tu non capisci che l'ho detto per un paragone?

- Quando l'hai detto per un paragone, niente di male.

- Voglio che ci lasciamo amici, è vero? - tornò a dir Lupo stendendogli la mano.

- Sicuro, amici di tutto cuore, - rispose l'altro stringendogliela affettuosamente; e aggiunse tosto: - Stringo la mano di un bravo soldato e d'un buon compagnone; - dopo di che si volse dall'altra banda per nascondere la commozione che gli si manifestava sul volto; si versò un altro bicchiere, votollo, quindi levando una mano alla bocca come per forbirsi i mustacchi, dal vino, la fece scorrere fin sopra gli occhi e passar due o tre volte innanzi e indietro.

Intanto si sentirono rimbombare fra il silenzio di quella cameraccia i tocchi lugubri d'una campana. Lupo parve riscosso un momento; ma rimettendosi tosto: - Veggo, - disse, - che non ho tempo da perdere: senti, Vinciguerra, ho da dirti una cosa: voleva pregarne il confessore, ma mi ha fatto montar tanto la bizzarria... E poi, è meglio dar questo incarico a un amico che mi conosce da un pezzo, e sa che tutti siamo uomini alla fine... che se costoro vedessero un soldato... potrebbero credere che fosse per la paura del morire... Senti dunque, mi spiccerò in poche parole. La prima volta che ti accade d'andar a Milano, cerca della casa del conte del Balzo, alla Brera del Guercio: troverai la mia famiglia, mio padre, mia madre: - ma al profferire di quei sacri nomi, sentendosi schiantar il cuore, diede una volta per la camera, poscia tornando presso al Vinciguerra, - Lo farai? - domandava.

- Così il Signore mi dia bene in questa vita e riposo nell'altra, come ti prometto di fare ogni tua voglia, - rispose la guardia.

Allora Lupo si trasse di collo una catena d'argento, e porgendogliela: - Dirai loro che la portino per mia memoria. E alla mia sorella, che guardi in quello stipo che è nella camera presso alla muda dei falchi, vi troverà uno scatolino di bosso con entro un anello d'oro che è un avanzo del bottino di Toscana; l'avevo serbato per lei quando fosse stata sposa, e... lo tenga per amor mio.

- Ascolta, - disse il Vinciguerra, - io non son uomo danaioso: però, qualche soldo, grazie a Dio, me lo tengo a lato; vedi qui - e traendosi da una tasca una manata di grossi e di piccoli, - che vuoi che ne faccia io? tu mi risparmi una mezza dozzina d'imbriacature; fai un'opera di misericordia ad accettarli; li porterò io a tuo padre: egli ne avrà forse bisogno; in ogni modo gli faranno certo maggior pro che nol possano mai fare a me.

- No, no, ti sono obbligato.

- Via, fammi questo favore, dammela questa consolazione: ti giuro che mi sa più buono il poter dar via adesso questi pochi per amor tuo, che non mi sarebbe stato il toccar davvero davvero la mia parte del bottino che c'era stato promesso a Limonta da quel tuo... da quell'uomo. Sono stato anch'io una volta per andarmene pe' fatti miei, e so come in quei momenti diventino cari tutti quelli di casa sua, e padre e madre prima di tutto, e come tornino amari i disgusti, che già si sa, dal più al meno, tutti n'abbiam dati ai nostri parenti; e mi ricordo della gran passione che m'era il non mi trovar nulla addosso da poter mandar loro per mia memoria.

Lupo gli mise una mano sulla spalla, e disse: - So che me li profferisci di buona voglia, e già fra noi soldati si e si piglia collo stesso cuore: ma grazie a Dio, i miei parenti non hanno bisogno di nulla... Anzi, guarda, se volessi mandarne ne ho qui anch'io del danaro, - e così dicendo arrovesciò la tasca del farsetto, e fece cader sulla tavola un buon pugno di monete. - Siete sessanta soldati della vostra compagnia, è vero? - domandava poi.

- Eravamo sessanta, ma ne abbiam lasciati undici pei vostri campi di Limonta in quella bella impresa, sicchè, se il conto mi torna, non dovremmo esser adesso che quarantanove.

Lupo levò il capo, e gli balenò sul volto un sorriso di compiacenza al sentir rammentar quella gloria de' suoi cari paesani. - Ebbene, - soggiunse, - quelli che rimangono non avranno risguardo a fare un brindisi al condannato?

- Anche due, - rispose il Vinciguerra; - io però non berrò di quel vino: la mia porzione voglio che vada in tanto bene che ti farò dire per l'anima.

- Ma non dai monaci di Sant'Ambrogio, ve'! - replicò Lupo, - guardatene! chè non voglio che mi venga niente di di codesti scismatici poltroni. Oh appunto, mi scordava d'una cosa: ho anche un fratello col quale veramente ce la siam sempre detta poco, ma in fin di morte bisogna che nol lasci del tutto in un canto, se non fosse altro, per amor di mia madre che gli vuol tutto il suo bene: qualche cosa bisogna che mandi anche a lui: ho qui questo crocifissino d'argento, ma questo voleva donartelo a te per mia memorla, e non saprei...

- Un tuo fratello? - disse il Vinciguerra, - bene, ecco accomodato ogni cosa: io piglio il tuo crocifissino, e ti do questa reliquia per mandarla a lui, vedi; - e gliela mostrava slacciandosi il giustacuore, - è una scheggia della colonna di San Simeone Stilita; l'ho tolta io colle mie mani ad un pellegrino che veniva di Terra Santa, che ho svaligiato una notte in Romagna.

- Bravo! - disse Lupo, - accetto il baratto; gliela porterai, come ti ho detto, a mio nome; to'  dunque. - Levandosi allora d'in sul petto il Cristo d'argento, lo porse a lui, e gettandogli in un tempo le braccia al collo, gli diede e ne ricevette il bacio dell'addio.

- Adesso mo che ho aggiustato tutto quaggiù, - tornava a dire il Limontino, - è tempo che non pensi ad altro che all'anima. - Andò verso il crocifisso che pendeva dalla parete e vi si inginocchiò dinanzi in orazione.

Il Vinciguerra per non isturbarlo si ritirò sull'uscio, dove ridiceva agli altri quattro soldati che vi stavan di guardia, tutte le parole del condannato, e mostrava il danaro che avea ricevuto da lui per distribuire alla compagnia, conchiudendo con queste parole: - Quanto a me, gliel'ho già detto, che la porzione che mi tocca anderà in tante divozioni per l'anima sua. - Mettivi anche la mia parte, anche la mia, anche la mia, - dissero tutti quanti; dopo di che rimasero in silenzio aspettando il doloroso momento d'avere a condurre al patibolo quello sgraziato: chè a tutti sapea male di veder morire a quel modo un giovane soldato, prode e bello com'era Lupo: chè se si ricambiavan pure di tanto in tanto qualche parola, era sempre a voce sommessa; rispetto di poca importanza per medesimo, ma notabile però in quella ruvida gente non avvezza in tutta la vita che a patire e a far patire.

Il cortile del palazzo del Monastero, il portico che vi correva intorno, e dal quale si entrava nel camerotto di Lupo, era tutto pieno di curiosi: gente scioperata, che, come accade in tutti i tempi, in tutti i luoghi, accorre a vedere l'estremo supplizio d'un uomo come ad una festa, ad una specie di tripudio selvaggio: forse per quel diletto arcano che si prova, senza ch'uno possa rendersene ragione, contemplando la natura umana nelle più forti e dure prove, esercitando l'animo al terrore, alla compassione, studiando stesso in altrui, considerando il mistero della vita e della morte.

Era già passata l'ora in cui il condannato dovea esser condotto al patibolo, e la plebaglia pazza cominciava a mormorare del ritardo. Il Vinciguerra, che si sentiva rodere al vedere quella stupida e feroce impazienza, se ne ricattava dando coll'asta dell'arme sulle braccia, sulle spalle ai più sfacciati, sotto ombra di tener lontana la folla dall'uscio.

Finalmente s'intese un rumore che si propagava, e molte voci che ripetevano: - Vengono! vengono! - La gente a urtarsi, a ondeggiare, a rizzarsi in punta de' piedi volgendosi verso la porta che dal cortile dava sulla via. Il Vinciguerra corse entro il salotto per trovarsi presto alla fazione assegnatagli, e Lupo riscosso dai passi di lui, che gli sonaron vicino, si levò in piedi, fece il segno della croce, e con una faccia serena gli disse: - Siamo a tempo?

In quella s'apre l'uscio, vengono innanzi due delle quattro guardie che vi stavan di sentinella, e dietro ad esse un monaco con una carta fra mano. Lupo guardò sopra la spalla di questo, ed accortosi che gli veniva dietro un altr'uomo, sospettando chi potesse essere, abbassó tosto gli occhi per un ribrezzo involontario. Ma ecco ch'ei si sente stringere d'improvviso attraverso la persona: guarda; è fra le braccia di suo padre, il quale stringendoselo contra il petto non poteva pianger parlare.

- Avete fatto male a volermi vedere su quest'ultimo punto, - disse Lupo tosto che la commozione gli lasciò libero il varco alle parole; io non pensava più che alla vita eterna e al Signore: avete fatto male per voi e per me.

Ambrogio non potendo colla voce, andava accennandogli di no col capo e colle mani: finalmente dopo un lungo sforzo profferì singhiozzando queste parole: - No, non morirai.

- Oh s'io morrò! - rispose il figlio, - mi duole per voi altri; del resto io aveva accomodato tutte le mie cose.

Mentre il falconiere abbracciandolo sempre più stretto gli accennava pure col capo di no, di no, di no, il monaco si fece innanzi e disse a Lupo: - Dice il vero vostro padre, l'Abate vi ha fatto la grazia.

- La grazia! la grazia! - gridarono allora le guardie nel salotto. – La grazia! – ripigliarono le sentinelle che erano rimaste sull'uscio; e questo grido fu ripetuto di mano in mano sotto al portico, nel cortile e per le strade vicine al palazzo dalla folla che brulicava da per tutto.

- Sappiatene grado alla clemenza dell'Abate, - tornava a dire il monaco al condannato.

- Siam venuti qui Ottorino ed io, - disse il falconiere, - con una lettera di Marco Visconti all'Abate per domandargli la grazia.

- Una lettera di Marco? - disse Lupo, - Viva Marco! - e la vita gli pareva ancor più preziosa dacchè la riceveva in dono da quel signore. - Viva Marco! - gridarono anch'esse le sentinelle. - Viva Marco! viva Marco! - risuonò tutto intorno al di fuori.

Intanto correvano fra la calca cento discorsi. - Che è? che non è? - È stato Marco Visconti che è venuto qui lui a liberare il condannato, il quale è un suo parente. - È quell'altro cavaliere che ha portata la lettera del Visconte che è suo parente di lui. - No, è stato lui proprio in persona, ed ha qui fuori del paese una buona mano di barbute de' suoi feudi; e l'Abate ha avuto di grazia a far a modo suo. - Vi dico che Marco ha mandato una lettera, come qualmente dovesse mettersi in libertà il prigioniero. - Non è vero. - Ma se l'ha detto adesso il padre Bonaventura. - Ma se non può stare! - Ma volete insegnarlo a me? -

Tutti questi ed altrettali discorsi si volsero in un'acclamazione generale allorquando fu visto il liberato uscir del salotto tenendosi pel braccio suo padre che era instupidito dalla gioia: il tripudio, l'esultazione che si manifestò in quel punto per tutta la folla, avrebbe fatto onore alla bontà della più umana assemblea dei nostri tempi mitigati.

Erano però le stesse persone accorse poco prima per veder morire il povero condannato, quelle che mormoravano pur ora del ritardo che mettevasi all'esecuzione: sì, quelle medesime; che volete? Non è già che coloro avessero propriamente gusto di vedere impiccare il povero Lupo, chè non sapevano chi si fosse quel che avesse fatto per meritar quella fine: volevano, che so io? essere scossi da qualche cosa di forte, di straordinario, e il loro intento venivano ad averlo ottenuto per un'altra via.

Attraversando la calca contenuta a stento dalle guardie, Lupo e suo padre giunsero sulla piazza di Chiaravalle: innanzi alla chiesa trovarono Ottorino, e presso di lui alcuni villani che tenevano tre palafreni a briglia. Il giovane cavaliere gettò le braccia al collo del suo fedele, e tutto all'intorno risuonò di evviva e di battimani. In un momento furono in sella tutti e tre.

- Non venite a render grazia all'Abate? - disse il monaco a Lupo. - Questi guardò in faccia al suo signore, ed avendolo visto fare un certo atto, levando nello stesso tempo le spalle, come se volesse dire: eh non badarci! rispose: - Ho troppa fretta per ora.

Il Vinciguerra, che aveva accompagnato Lupo fin , gli pose al collo la catenella d'argento, e trattisi parimente di tasca i danari che dovea distribuire alla compagnia: - Prendi - gli dicea, - questa è roba tua. - I danari tienteli - rispose il Limontino - e li berrete insieme stasera alla mia salute. - Volentieri, - replicò la guardia, - e questa volta mo ti prometto di fartene onore anch'io... Oh! a proposito; e il tuo crocifisso d'argento? mi scordava di restituirtelo. - Tienlo per te, tienlo per mia memoria, - rispose Lupo stringendogli la mano, e s'avviò in compagnia del padre e di Ottorino in mezzo alla folla che s'apriva dinanzi per lasciar loro il passo.

Quando furono in fondo alla piazza, voltando a mancina per imboccare in una viuzza, Lupo si vide in faccia la forca che gli era preparata, e facendole un saluto colla mano, disse ad alta voce: - Addio, gioia cara! - di che tutta la moltitudine si diede a ridere.

Al povero Ambrogio non pareva vero di vedersi al fianco il suo figliuolo sano e salvo: come se avesse avuto bisogno di certificarsene ad ogni momento, non gli toglieva mai gli occhi d'addosso, lo tenea stretto per una mano, e gli venìa dicendo sottovoce con una faccia tutta imbambolata: - Sviato! scapigliataccio! me n'hai fatto avere degli spaventi; me n'hai date delle strette la mia parte ve'! via, via, fa a mio modo, lascialo andare codesto mestieraccio del soldato, torna a casa tua, e viviamo un po' quieti tutti insieme del ben che Iddio ci ha dato, in compagnia di tua madre... Poveretta! che ti lamentavi tante volte ch'ella non ti voleva bene... se tu l'avessi vista quella povera donna, se l'avessi vista!

- Oh! lo so, lo so: non è ch'io abbia dubitato mai un momento dell'amor suo.

- Ma io dico che te ne vuol tanto del bene, ma tanto, tanto; ch'ío non te ne posso voler di più: e Lauretta?... e tuo fratello? anche lui, vedi, così freddo com'ei pare...

- Sì, sì, sono obbligato a tutti quanti.

- Sicchè la farai la risoluzione? darai questa contentezza a tuo padre negli ultimi suoi giorni?

- Ne parleremo poi; vedete bene, bisogna che mi consulti ancor col mio signore.

- Oh! sì, sì, è giusto, troppo giusto, chè gli hai tanto obbligo; e se sapessi quel ch'egli ha fatto per te, e con che cuore... e anche il Conte e anche la Contessa e la padroncina, e poi tutti, tutti quanti; nella mia disgrazia ho avuto questa consolazione di vedere e di toccar con mano il bene che ti voglion tutti.

Ottorino, che sentiva come in quei primi momenti di paterna e filiale svisceratezza la presenza d'un terzo sarebbe stata di soverchio, camminava qualche passo innanzi, facendo sembiante di attendere a tutt'altro: ma dopo aver concesso quello sfogo che gli parve onesto, trattenendo un istante il cavallo, si lasciò raggiungere dagli altri due, e troncando ad entrambi in bocca le grazie che cominciavano a rendergli, disse a Lupo: - Bisognerà che ci affrettiamo, per essere a tempo alla giostra; ben sai che questo è il primo giorno, e tu mi vorrai ben servir da scudiere?

- Senza fallo: e lo credereste? ci ho pensato anche a Chiaravalle, e quella cerimonia che volean farmi mi scottava anche per questo che la mi rubava la consolazione di potervi prestar il mio servizio nella lizza!

- Te lo volevan far loro a te il servizio quel padri garbati, ma per questa volta hanno dovuto riporne la voglia: e se avessi visto, muso arcigno e rincagnato che facea l'Abate al leggere la lettera di Marco! e' si scontorceva tutto come un pipistrello che si sente scottare dallo zolfo; e ti so dire che ci ebbi un gusto matto a vederlo dover ingoiar amaro, e sputar dolce.

- Per altro, - diceva Lupo, - l'è stata una gran degnazione, una grazia troppo fuor d'ogni misura di quell'uomo: un Marco Visconti!...

- È stato per amor del padrone, - entrava a dirgli Ambrogio, - per amor del padrone, che è andato a posta a pregarlo in compagnia di Bice.

- Resto obbligato per sempre anche alle mani del Conte, - rispondeva il giovine un po' mortificato dal non potersi persuadere che Marco avesse proprio pensato a lui, come a lui, il che gli avrebbe dato un gran fumo, l'avrebbe gonfiato quel poco, - ma però, prima di tutto, bisognerà che vada a ringraziar Marco.

- È partito questa notte per la Toscana, - gli disse Ottorino.

- Oh! me ne duole davvero, chè non so quel che avrei dato per l'onore di potergli baciar quella mano gloriosa, e assicurarlo che la mia vita sarà sempre per lui.

Ambrogio nel sentire l'espressione di quella gratitudine così distinta, così fanatica per Marco, capì che suo figlio era ancora quel di prima, che non gli era uscito di corpo il diavolo guerresco, e abbassando il capo tutto malcontento disse in cuor suo: - Se neppur la forca lo può guarire, io non so più che farci. -

Il figliuolo lesse, dirò così, quel pensiero sul volto corrugato di suo padre; gli dolse d'essersi lasciato trascorrere a dir cosa che avesse potuto dargli disgusto in quel momento, e volendo rimediarvi in qualche modo e dargli un testimonio della sua tenerezza filiale, senza entrare in quello su che non potevan esser d'accordo, senza parer di prometter cosa che non avea intenzione di mantenere, pensò un pezzo a quel che dovesse dirgli di più affettuoso, di più gradito; e finalmente scappò fuori a domandargli come stessero i falchi che avea lasciati a Limonta.

Ottorino guardò in volto al suo scudiere; tanto strana e fuor di luogo gli parve una tal domanda in quel momento: ma il padre che non aveva mai potuto piegar Lupo a farsi parer buono il mestiere in ch'egli avea posto tutto il cuor suo, nel quale avrebbe voluto rilevarlo; che non l'avea sentito mai nominare di sua voglia un falcone, un logoro, tanto gli era in uggia quella caccia, appunto per gli sforzi che s'eran fatti per fargliela entrare in grazia, ora sentì vivamente tutto l'affetto, tutta la delicata tenerezza di quella domanda, e rispondendogli: - Stanno bene, tutti bene, - gli diè una stretta in un braccio, e si sentì gonfiar gli occhi.

Giunti a Milano, il giovane cavaliere disse a Lupo: - Fra un paio d'ore fa d'essere allo steccato in punto di tutto: mi troverai ; - ciò detto, salutò della mano i suoi due compagni di viaggio, i quali risposero piegandosi fin sul collo delle loro cavalcature.

Le accoglienze fatte a Lupo, il lettore se le immagina; noi non diremo altro se non che la madre di lui, per la prima volta in vita sua, trovò sconveniente il contegno dell'altro figlio Bernardo, il quale cominciava a rinfacciargli la sua ostinazione nello scisma, volendo inferire che da questa fosse derivato tutto il male che gli era accaduto. - Via, tacete, - diss'ella al suo mignone con aria un po' stizzita, - avrete tempo di dirgliele poi queste cose.

Lupo domandò tosto dei padroni. Bice s'era messa giù con una grossa febbre, Ermelinda vegliava la figliuola ammalata. - E il Conte?

- S'è chiuso nelle sue camere, e non vuol veder nessuno, - gli rispose un paggio.

- Ch'io non gli abbia a poter render grazie? - disse il figlio del falconiere; ed avviandosi su per una scala, attraversò cinque o sei salotti, finchè giunse dinanzi all'uscio che metteva nel quartiere del padrone; e tutti dietro, desiderosi di partecipare a quella letizia, come avean partecipato all'angoscia. Bussò leggermente; e il Conte, il quale dal fracasso udito prima nel cortile, poi dal rumor del piedi, e da alcune voci che sentì venir innanzi per le sale, avea indovinato quel che era: - Andate, - badava a dir dal di dentro, - andate, chè non voglio nessuno.

- Conte, padrone, messere, sono io, sono il vostro Lupo, permettetemi che vi baci la mano.

- Via, va, che Dio ti dia bene - rispondeva egli di dentro.

- So che siete stato voi ad ottenermi da Marco la grazia della vita, lasciate, lasciate...

- Aprite di grazia - supplicava Ambrogio.

- Aprite - ripeteva Marianna, - che vi possiamo abbracciare i ginocchi; dateci questa consolazione.

- Aprite! aprite! - si misero tutti a gridare - viva il conte del Balzo! viva il nostro padrone! - Egli vinto da tante sollecitazioni, aperse finalmente un cotal poco l'uscio, e dallo spiraglio che v'avea fatto mise fuori una faccia tra lo spaurato e il glorioso, ch'era qualche cosa di ghiotto. Chi gli si gettò ai piedi, chi gli baciava le mani, chi lo ringraziava, chi piangeva, ma egli dopo d'aver goduto un momento di quel trionfo - Basta, basta, - disse a Lupo ritraendo le mani, - ho piacere di vederti qui sano e salvo; oramai vattene segnato e benedetto, ma ricordati di non metter piede mai più in casa mia; - quindi volgendosi al falcontere: - E tu, s'ei non muta vezzo, fa conto che le forche te l'abbian prestato. - Ciò detto, tirò dentro il capo, e si rinchiuse in camera, lasciando tutti stupiti e come trasognati.

Lupo non sapendo quel che s'avesse a pensare, andò a vestirsi delle sue armi, e salutati i parenti, s'avviava a prendere il cavallo per trovarsi allo steccato secondo l'intesa; quando a un valico d'una camera gli si fe' incontro la sua sorella Lauretta, che mettendosi un dito sulla bocca gli dicea sotto voce: - Saluterai Ottorino a nome della mia padrona Bice; gli dirai che si comporti valorosamente, e ch'ella spera che anche lontano non la vorrà dimenticare.

- Anche lontano? com'è questa storia? Ottorino non è per andar via, a quel ch'io mi so.

- Sì, ma gli fu inibito dal Conte di veder mai più questa casa.

- Ma come? ma perchè?

In quel mezzo si sentì un fruscìo di piedi. Lauretta mettendosi di nuovo il dito a croce sulle labbra, corse in punta di piedi a nascondersi in una camera vicina, e il fratello di lei se n'andò pe' fatti suoi.

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License