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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO XXIII
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CAPITOLO XXIII

 

Tosto che s'intese il suono d'un corno dar il segnale della partenza dei Limontini, Bice, frenate le lagrime, asciugatisi gli occhi, ricomposto il volto, s'affacciò ad un verone che rispondea sulla via, ed il padre e la madre Ie tenner dietro. Fu visto uscire dalla porta lo stendardo colla cicogna, fu visto uscirne il curato e quindi i suoi popolani a due a due, incamminandosi tutti verso la postierla d'Algiso. Il barcaiuolo e la sua donna chiudevan la fila; Marta, levando il capo per salutare i signori, rimase dolcemente maravigliata di veder Bice tutta rinvenuta, accompagnar cogli occhi la piccola truppa che s'andava sfilando.

Fu stabilito che gli sposi si sarebbero messi in viaggio per Castelletto la mattina del dopo. Or chi potrà ridire i trepidi consigli interrotti da baci e da carezze, che la madre veniva dando alla sua figliuola in quell'ultima giornata, in quell'ultima sera? e le affannose promesse ricambiate fra loro con tanta fede, le quali non doveano adempirsi? Chi potrà significare con che parole, con che lagrime ambo i parenti mettessero la loro cara fra le mani dello sposo, con che affetto la raccomandassero a Lupo e a Lauretta, che doveano accompagnarla in Terra Santa?

Venuto il giorno e l'ora determinata, dopo molto tornar negli amplessi, dopo un lungo iterar di baci, la fanciulla, ferma in vista, strappossi finalmente dal collo della madre; e lasciando lei tutta in lagrime e in singhiozzi, prese le scale, corse precipitosamente nel cortile, salì il palafreno preparatole, e s'incamminò. Ottorino, Lupo, Lauretta, e due scudieri del Conte che doveano scortar gli sposi fino a Castelletto, montati prontamente sulle loro cavalcature, le si miser dietro. Ella trovò sotto l'androne il falconiere e la sua donna, che stavano ivi aspettando per salutar tanto lei quando i loro due figliuoli; ma in quel momento fu così spaventata dal pensiero d'aver a sostener un nuovo assalto di tenerezza e di pietà, provò una sì forte smania d'esser fuori a un tratto da quelle sue mura, d'esser lontana dalle persone, dalle quali si staccava con tanto spasimo, che, chinando il volto sul petto, passò loro dinanzi correndo come se fuggisse, senza poter neppur rispondere addio.

La nostra brigata camminò un gran pezzo in silenzio sulla via che mena a Sesto Calende. Finalmente lo sposo mise una mano sul collo del mansueto ubino, cavalcato da Bice, e, non cessando dall'andare di chiuso trotto, le diceva: - Ti ricordi, vita mia dolce, di quelle ore che abbiam passate insieme sullo scoglio di Morcate? Tu eri seduta fra tuo padre e me, una tua mano era abbandonata fra le mie mani... Fu allora che m'entrò in cuore la prima speranza di poterti un giorno possedere; quante contrarietà! quanti dolori da quel tempo in poi! ma ora sei mia, mia per sempre! Oh la dolcezza ineffabile di queste parole! Io non ho altro bene che te: con che fede, con che amore voglio consacrarti tutta questa vita, per far men duro un destino che hai avuto il coraggio di accomunare al mio!

Con queste ed altrettali amorevolezze veniva il giovane sfogando la deliziosa piena dell'animo. Bice, tenendo gli occhi dolcemente levati in volto allo sposo, stanca per tanto affanno patito, senza aver vigore bastante per avvertire a parte a parte il significato di quelle affettuose parole, ne accoglieva però, dirò così, il senso totale, in quella guisa che apprende il suono d'una dolce melodia uno che sia mezzo fra il sonno e l'esser desto: e in fatto la fanciulla trovavasi in uno stato, che, com'ella ebbe a dir dappoi, le parea veramente di sognare.

Andarono innanzi fino a Gallarate, dove si smontò ad un albergo per farvi una posata di qualche ora; ed ecco arrivar un corriere che cerca d'Ottorino e gli consegna una lettera. Il giovane l'aperse, e fu per uscir di dalla maraviglia, vedendovi sotto il nome di Marco. Diceva d'esser giunto in gran furia e in gran segreto da Lucca, e che l'aspettava subito subito a Castel Seprio per conferirgli cose di gran momento; aggiungendo riconoscer esso d'aver dei gran torti verso di lui, e tardargli di poterli riparare.

Ottorino sentissi tutto smovere, ne fu tutto sossopra. Il nuovo emergente veniva ad un tratto a scomporre ogni disegno da lui fatto sull'avvenire, a metterlo in termini del tutto diversi. Il partito d'abbandonare queste contrade, al quale s'era gettato, era il peggio de' peggi al mancargli d'ogn'altro consiglio; ma in un canto riposto dell'animo gli stava sempre appiattato un segreto desiderio, una lontana, confusa speranza di tornare un qualche giorno in grazia del suo antico signore: lo sdegno del giovane contro di lui era come quello d'un amante, uno sdegno ardente, fumoso, ma facile a dar giù a una discolpa, a un atto di cortesia. Non ricordandosi d'essere spiaciuto a Marco in altro che nel rifiuto della figliuola del Ruscone, e parendogli questa troppo lieve cagione a tanto e così amaro odio ch'ei gli avea posto addosso, l'imputava in parte ai sinistri uffici di qualche mala lingua, e gli parea pure che un o l'altro avesse ad aprir gli occhi, ad accettarlo ancora per suo, a tornarlo nel grado di prima.

E a dire, che Marco veniva ora egli stesso a cercarlo, a scusarglisi, a tendergli la mano: quell'uomo così altero, così sdegnoso, quel grande ch'egli avea riverito ed amato pur sempre quasi a suo dispetto, anche allor quando era viva e verde l'offesa e la rabbia e la vergogna dell'averla patita non temperata dal rammarico dell'offensore!

- Ora mi convien andare fino a Castelletto, - così parlò Ottorino al corriere; - dirai a chi t'ha mandato che prima di sera sarò al Seprio.

- Oh! venite subito, - rispose quegli, - chè me n'ha fatto una gran fretta il castellano, e ho già perduto tanto tempo a cercarvi laggiù.

- Ma come hai indovinato ch'io era qui? - domandò il cavaliere.

- Seppi da un palafreniere del conte del Balzo che eravate partito a questa volta: mi vi misi dietro, e non v'ho potuto raggiungere prima d'ora.

- E chi te l'ha data la lettera?

- Il castellano del Seprio, fin da ieri sera. È giunto colà un barone, e subito si sono spacciati cinque o sei corrieri per diverse bande.

- Lo conosci tu quel barone?

- No, perch'io son nuovo in questi paesi, ma deve esser qualche cosa di grosso all'onore che gli fanno. È un uomo grande, di mezza età, di bell'aspetto; il volto così e così, - e si fece a dipinger Marco che non ne perdeva un pelo.

Ottorino pensò che ogni indugio, oltre all'essere inonesto, sarebbe stato inescusabile in quel punto per la gravità degl'interessi che ne potevan dipendere, e risolvette di dare una corsa fino al Seprio, e tornar poi tosto a prender la sposa.

Castel Seprio era lontano poco più d'una mezz'ora di viaggio; la gita e il ritorno non gli avrebbero tolto più del tempo che ne dovea portare la fermata da farsi a Gallarate. Disse dunque al corriere che aspettasse, e corse tutto lieto e giubbilante a partecipar ogni cosa a Bice.

- È Marco, - disse questa spaventandosi, - è Marco che vi fa chiamare? Oh non v'andate, Ottorino! fuggiamo da quell'uomo, menatemi a Castelletto.

- Ma non è più quel di prima, ti dico, vedi ch'egli medesimo mi si scusa, e vuol ristorarmi il male che m'ha fatto.

- Oh! no, no non v'andate! fuggiam da quell'uomo, vi ripeto; fuggiamo fin che n'abbiamo tempo!

- Senti, cuor mio, - disse Ottorino prendendole una mano, - codesto tuo terrore, codesto abborrimento è troppo fuor di ragione; alla fine, fra te e lui, che termine è seguito mai, altro che di cortesia? Non è egli che ha donata la vita a Lupo per le preghiere tue e di tuo padre?

Bice, al sentir rammentare così direttamente quella terribil notte che le stava sempre dinanzi, fu presa da un soprassalto di terrore; e mettendo una mano sul braccio dello sposo, gli disse: - Ah Ottorino, voi non sapete tutto!

- Come? - ripigliava questi con un atto di stupore: - anche tu l'hai conosciuto? Io credetti... Sì, è vero, il cavaliere che mi scavalcò nella giostra era Marco: ma sai tu ancora che la mia vita è tuttavolta un dono della sua cortesia? Sai tu ch'ei mi venne a colpire colla lancia spuntata?

Ella, che con quelle parole sfuggite nel primo turbamento era stata sul punto di rivelare tutto l'arcano dell'amore di Marco, sentendole rivolte dallo sposo a men gelosa significazione, ebbe tempo di rientrare in stessa, di pensare quanto importasse il segreto, di ricordarsi delle calde raccomandazioni fattele dalla madre perchè non ne lasciasse trapelar nulla ad Ottorino, onde non rischiare di metterlo alle prese con quel formidabile signore; e però abbassò il volto sul petto e si tacque.

Allora il giovine cominciò a parlarle con tanta forza, con tanto sentimento, della lealtà di Marco, dell'altezza generosa di quell'animo; mostrò tanta fidanza in lui, tanto desiderio di tornargli amico, di correre fra le sue braccia, le fece vedere di quanto momento fosse quella pace nei comuni loro destini, ch'ella dopo molte difficoltà, dopo molto dire e rispondere, alla fine, parte persuasione, parte condiscendenza, si contentò ch'egli andasse a trovarlo al Seprio.

- Tornerete tosto, è vero? - gli disse Bice per ultimo.

- Fra un paio d'ore al più tardi sarò qui, - rispose Ottorino: - non ci vo che per vederlo, per pigliar seco i primi concerti. Intanto tu rimani colla tua Lauretta, e colla scorta di Lupo e dei due scudieri di tuo padre.

- Ma e voi non vorrete tor nessuno in compagnia?

- Non è che una corsa, ti ripeto; verrà con me il corriere che m'ha recata la lettera, e m'è di troppo; il paese è fidato. - Ciò detto, gittò le braccia al collo della sposa, le diede e ne ricevette un bacio, e partì.

Passan le due ore prefisse, ne passa una terza, e Ottorino non viene; ogni cosa che Bice vede moversi di lontano guardando dalla finestra verso la parte d'onde l'aspetta, le par che sia la piuma bianca del suo cimiero; ogni rumore che ascolta le par lo scalpito del suo cavallo; innanzi e indietro per la camera, in compagnia dell'ancella: ora fa chiamar Lupo per intender quel ch'ei ne sappia dire, ora s'affaccia al balcone e guarda, ora siede soletta in un canto aspettando dolorosamente: indugia, e pena, e stenta; passa un'altr'ora, e un'altra, è già la quinta da ch'egli è partito, e Ottorino non compare ancora.

- Sentite, - le disse finalmente il fratello di Lauretta, - se me ne date licenza, anderò io a Castel Seprio a vedere, o vi spacceremo uno dei due scudieri di vostro padre.

- È meglio che ci vada tu, - rispose Bice, - fa ch'ei venga senza fallo: a ora che torniate sarà sera, e tu gli farai scorta. Vedi su che croce mi lasci! gli dirai... no, non angustiarlo per me... certo ch'egli non avrà potuto far altrimenti: digli solo che venga in tua compagnia, che venga in ogni modo: pregalo, pregalo in mio nome a non fallirmi di tanto. - Lupo uscì, ed ella andandogli dietro fin sull'uscio: - Ricordati, - ripeteva, - ricordati di non partire senza di lui, - e vistolo dalla finestra ch'ei se ne andava, gli accennò col volto per inculcargli ancora quel che gli avea già raccomandato a voce.

Dopo non molto si fe' sera: aspetta ancora, aspetta un gran pezzo; finalmente si sentì il rumore d'una cavalcata. Bice corse al verone gridando: - È qui, è qui; - e pel commovimento della subita gioia poteva appena avere il respiro. Un drappello d'uomini a cavallo giunge nell'albergo, s'ode un fruscio di passi venir su dalle scale. - Siete Ottorino? siete voi? - diss'ella facendosi incontro a chi veniva. Ma non era desso: al lume d'una lucerna riconobbe invece uno degli scudieri di suo padre, il quale si teneva per mano quell'uomo che avea portata la lettera, e che era poi partito con Ottorino; colui, dopo essersi chinato profondamente innanzi a Bice, le disse che veniva dal Seprio, dove avea lasciato lo sposo di lei sano e salvo; ch'esso non le avea mandato a dir nulla prima d'allora, sperando sempre da un momento all'altro di potersi sbrigare, e venir in persona come aveva promesso; che oramai vedendo che gli sarebbe stato impossibile di spicciarsi di prima del mattino vegnente, avea spacciato lui, con una scorta di sei uomini, per accompagnarla tosto a Castelletto in compagnia dell'ancella e dei due scudieri.

- E Lupo? - domandò Bice.

- Lupo, giacchè gli è capitato, lo ritenne con , chè lo vuoi spedire stanotte in un servizio pel padrone del castello.

- Ma dunque?...

- Dunque il vostro sposo mi vi manda a dire che stiate di buon animo, che domattina lo vedrete a Castelletto senza fallo.

- E anche Lupo verrà a Castelletto domattina? - chiese Lauretta.

- Anche Lupo, - rispose il corriere.

- Ora, se vi piace, - parlò lo scudiere del Conte, - farò allestir le cavalcature.

Bice accennò di sì; in un momento tutto fu in ordine, e si misero in via. La padrona e l'ancella, montate sui loro palafreni, furono tolte in mezzo dai due, coi quali avevano fatto il dialogo riferito qui sopra; il resto della truppa veniva dietro a pochi passi.

La notte era scura, il tempo parea buttarsi al cattivo: non c'era in volta anima viva: come furono un bel tratto fuori del paese, Bice, sentendo dietro fra gli uomini della scorta un tramestìo, un gridare, un menar di colpi, disse allo scudiere di suo padre che le stava al fianco, che accorresse ad acquetare una rissa che parea insorta.

Ma questi: - È un assalto di masnadieri, - le rispose, e cacciando innanzi di galoppo il suo cavallo, prese pel freno quel della padrona, e se lo trasse dietro, intanto che il corriere che accompagnava l'ancella faceva altrettanto con lei.

- Sentite! - insisteva pure la figlia del Conte, - sentite: è la voce di Ricciardino; correte, correte a dargli aiuto! - Ricciardino era il nome dell'altro scudiere di suo padre rimasto colla gente d'arme venuta dal Seprio.

- Non è nulla, - tornava a dir quel primo; - son sette persone ben armate; di che volete che abbiano ad aver paura? - e seguitava pure a spinger i cavalli di carriera, come per allontanar lei dal luogo dell'affronto e metterla in sicuro, ripetendole ch'ell'era stata affidata particolarmente a lui, e guai alla vita sua se le fosse incolto qualche sinistro.

Di a poco s'acquetò ogni rumore, ed essi fecero il passo più onesto; Bice volea pure intender la fine di quel tafferuglio; volea parlar con Ricciardino, sentir da lui che era stato: l'altro scudiere, che le veniva al fianco, dopo essersene fatto pregare un pezzo, voltò indietro il cavallo; ma tornò poi tosto correndo con aria spaventata, ad annunziare che tutta la scorta era stata dispersa, e che i ladroni si mettevan sulla loro traccia; e così dicendo fece voltar subitamente le cavalcature per certe traverse che mettevano in un bosco.

Su e giù per sentieri perduti, per lande, per macchie, viaggiarono tutta notte; e il termine non dovea però esser lontano più che un'ora dal luogo dell'ultima levata: le donne, già atterrite dal primo successo, si conturbavano sempre più di quel tanto andar senza giungere, ma i guidatori con gran modestia d'atti e di parole pregavan Bice a star di buon cuore, chè in quella confusione avean fallata la via, ed eransi poi smarriti nel bosco; volesse perdonare, e non darne loro aggravio in faccia al suo sposo; che ormai avean potuto raccapezzarsi, e fra poco sarebbero stati a Castelletto.

Oh! se le poverette avessero saputo dov'eran avviate, e in che mani si trovavano! Invece d'andare a Castelletto s'andava a Rosate nel castello di Marco Visconti, sotto le unghie del Pelagrua; lo scudiero del Conte che stava con Bice era nient'altro che quel traditore che s'era venduto già da un pezzo al Pelagrua medesimo, e il corriere era un cagnotto di Lodrisio, come lo erano i sei uomini venuti dal Seprio: tutti gli avvenimenti del innanzi e di quella notte erano stati preparati dai due bricconi in capo per rapir Bice allo sposo. Il fine ch'essi s'eran proposto era d'averla in mano per tenerla a comandamento di Marco; ma si volea fare il colpo senza dare un grande spavento a madonna, senza che ella s'accorgesse a dirittura d'essere in forza altrui, per tenerla quieta, e prepararla poi, un po' alla volta, a quello a che l'avean destinata.

Lasciato pertanto da banda il primo pensiero d'assaltare a viva forza Ottorino e i due di sua scorta che gli eran fedeli, dopo aver posto molti partiti, si fondarono su quello che abbiam visto messo ad effetto, di staccare il giovane dalla sposa collo scaltrimento di una finta lettera di Marco. Quanto a Lupo avean divisato poi, come fosse stata ben oltre la notte, di mandarlo a pigliare fingendo un ordine del suo signore; ma non bisognò, come s'è veduto, ch'egli medesimo andò da a mettersi in trappola a Castel Seprio, come avea già fatto il padrone; e così la tranelleria venne liscia come un giunco. Restava l'altro scudiere del Conte, che non avea le mani in quell'assassinamento: ma che pensiero poteva egli dare un uomo solo, senza sospetto alcuno, in mezzo a tanti? Era cosa sì facile lo sbrigarsene!

Veramente al Pelagrua il passo era parso dapprima un po' troppo arrischiato; mettere una fanciulla di quel grado in siffatte novelle di rapimenti e di prigionie! ma Lodrisio, a cui premea troppo che la cosa riuscisse, anche pe' suoi fini di vendetta contra Ottorino, avea saputo dissipargli ogni scrupolo, facendogli toccar con mano, che ne' termini a cui eran ridotte le cose, non c'era altra via per ottener quello che il padrone gli avea comandato espressamente; che la necessità dovea scusare il soverchio e il successo avrebbe tolto via ogni rispetto. - Gli è come se ti avesse ordinato d'appostargli una starna, e tu gliela fai cader nel carniere, - gli diceva, - vuoi che te ne abbia a voler male?

In fine poi conchiusero insieme, che stava sempre in loro di lasciar Marco per qualche tempo all'oscuro di quel ratto, star a vedere come giocasse, dove s'andasse a posare; lasciargliene trapelar qualche cosa a poco a poco per tenerlo invischiato, sicchè non potesse levar il volo affatto da qui, e preparare intanto l'animo della prigioniera a compiacerlo, senza commettersi essi più di quanto bisognava.

 

 




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