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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO XXVI
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CAPITOLO XXVI

 

Quella buona lana di quel Lupo ne avea già scampate tante a' suoi , a non contare che le narrate da noi; i suoi parenti avean tremato e palpitato tante volte per amor suo; avean tante volte provata la consolazione del vederlo uscir salvo da mortali partiti di ogni fatta, che, per dir il vero, pare che avrebbero dovuto ormai avervi fatto il callo: la cosa non era però così, e non s'immagini il lettore che più sviscerate di quel che furono questa volta potessero essere state mai le accoglienze fattegli.

Se non che il tripudio di quei primi istanti venne ben tosto contristato dalla memoria della povera Lauretta, della quale il tornato non sapeva dar conto nessuno ai parenti, essi avevan notizia da dare a lui.

Ermelinda e il Conte si fecero ripetere dal figlio del falconiere tutti i più minuti particolari di quella strana avventura, nella quale egli s'era trovato involto, ben evidentemente, come parte secondaria: ma il giovane poteva dar poca soddisfazione: dal punto in cui egli avea lasciata Bice a Gallarate per andare al Seprio a cercar d'Ottorino, non sapeva più nulla degli scomparsi. Preso a tradimento egli medesimo da una frotta d'armati, prima d'arrivare al castello, gli avean bendati gli occhi, e menatolo un pezzo, l'avean alla fine gettato in quella prigione, donde era stato da ultimo cavato dal Tremacoldo.

Tutto era mistero dentro; qualche lume solo parea venire fra quelle tenebre dall'incidente della lettera di Marco, al ricevere della quale Ottorino era corso a Castel Seprio. Egli è vero che quel nome che compariva in essa poteva essere stato messo innanzi falsamente da chi avesse maneggiata tutta quella tranelleria per giungere gli sposi. Lupo era di questo avviso, e il Conte, il quale al sentir menzionar Marco s'era tutto rimescolato, avea accolta questa spiegazione coll'avidità e coll'abbandono d'uno spaventato che ha bisogno di rassicurarsi in qualunque modo: ma Ermelinda, a cui era noto l'animo del Visconte verso la sua figlia, non potendo restarne capace, avvisò e tenne per sicuro ch'ella fosse veramente stata fatta rapire da lui. di questo volle però aprirsi col marito per non rischiare di vedersi attraversata dalle sue ombre, dalle sue codarde apprensioni, la via che si proponeva di battere per giunger a qualche buon termine.

Fece ella dunque chiamar Lupo in gran segreto nelle sue camere, e: - Senti, - gli disse, - io ho un incarico molto grave e geloso da affidarti; vuoi tu assumerlo per l'amore de' tuoi antichi padroni? Non v'è nessuno di cui m'assicuri e mi fidi più che di te.

- Oh, come dite, madonna! - rispondeva Lupo, commosso, e nello stesso tempo un po' mortificato da quell'aria di dubbio e di preghiera che avean le parole della Contessa: - non sono io sempre il vostro Lupo, il vostro servitore? il primo pane che ho mangiato non l'ho lo mangiato in casa vostra? mio padre, mia madre, la mia povera sorella, non hanno sempre dormito sotto il vostro tetto, vestiti, pasciuti, protetti da voi?

- Via, non rammentare adesso...

- Sì, che voglio rammentarlo; e non crediate però che, così sgovernato come mi vedete, l'abbia dimenticato mai un momento: e poi, senza andar lontano, questa mia vita non me l'ha ottenuta da Marco il nobile vostro sposo, mosso principalmente dalle vostre preghiere e dalle preghiere di quell'angelo... di quella vostra... - ma si arrestò scorgendo la commozione che il nome che stava per profferire suscitava nell'animo della misera madre, la quale asciugandosi intanto gli occhi rispondeva:

- Lo so che sei buono; lo so.

- Buono mi dite? sarei un ben tristo e sciagurato furfante se fossi altrimenti. Via dunque, madonna, fatemi degno di tanta grazia; ditemi in che avete disegnato d'adoperarmi; così foss'io valente, come vi sarò fedele.

- Voglio mandarti fino a Lucca a portare a Marco una mia lettera, - disse Ermelinda.

- Ed è qui tutto? - rispose Lupo. - Presentarmi a Marco! non so che cosa avrei dato del mio per trovar cagione da ciò.

- Senti, Lupo, lo so anch'io che s'egli non si è fatto stranamente diverso da quel ch'egli era una volta; che dico? se non è uscito affatto della sua prima natura, tu non corri alcun rischio.

- Perdonatemi, padrona, perdonatemi, ma non sono cose codeste che si possan neppur pensare! Immaginarsi ch'io abbia ad aver sospetto di Marco? di quell'uomo che è la gentilezza del mondo! ma non sapete che, se così come sono quel povero diavolaccio che tutti sanno, fossi, per modo di dire, un gran barone, un principe, un re, e che fossi insieme il suo maggior nemico, dico per dire, vorrei mettergli ancora il capo in grembo, e dormir quieto e sicuro come se lo avessi posato fra due guanciali? E poi, sentite una cosa: codesta sarà, se volete, una stravaganza, ma per me è tanto l'amore e la divozione che sento per quell'uomo, che s'egli volesse anche ammazzarmi, guardate cosa pazza, e' non mi potrebbe somigliar amaro, mi parrebbe ancora di spender bene la vita, tanto bene, che dopo quel di darla, come si dice, per la Fede, non saprei immaginarmi di meglio.

- Dunque vi andrai?

- E di che voglia! e dico che mi par mill'anni d'essermi posto in via!

- Quello che mi qualche pensiero, - diceva Ermelinda, - si è che coloro cui possa premere d'impedire questa tua gita, non ti vincan del tratto per venirti a giocare qualche mal tiro sulla strada.

- E però farla presto presto, alla sorda, - conchiudeva Lupo, - chè non abbiano a potervisi apparecchiare; e quando poi... fo conto che vi ho ad essere anche io, e volpe che ha lasciata la coda alla trappola, voglio dirti bravo se l'acchiappi la seconda volta.

- To', la lettera è qui, - disse la Contessa, - capisco anch'io che il più tosto in sì fatti casi è sempre il meglio.

- A noi, - riprese Lupo, - vo giù a mangiar due bocconi in fretta in fretta, a salutare padre e madre, e poi mi metto in viaggio.

- Addio, mio buon Lupo, - disse la Contessa. - Il Signore t'accompagni; - ma richiamandolo poi tosto indietro: - E se intanto che tu sei in cammino, il giullare venisse a scavar qualche cosa, spaccerò subito un corriere a dartene avviso. Lo sai bene, è vero? che il Tremacoldo m'ha promesso che si darà attorno in questo tempo frugando, facendo inquisizioni per mettersi sulle loro tracce?

- Lo so, lo so; basta, ora restiamo in questo concerto... E vorrei dirvi una cosa prima di lasciarvi...

- Di' pure, di' sicuramente.

- Voleva dire che se mai... se... Ma già non fa di bisogno, chè vi son raccomandati anche troppo da per ... E poi, siete tanto caritativa con tutti, anche con quelli che non v'attengono che come prossimo... Via, non ho più altro, - e proferendo queste parole se n'andò a dar effetto a quanto avea divisato.

Uscendo della porta per mettersi in cammino, Lupo si scontrò in Lodrisio che passava di a cavallo in compagnia di due scudieri. Egli conosceva quel barone, e sapea che, quantunque fra esso ed Ottorino vi fosse una ruggine antica, nessun dei due era uscito mai dai termini di quelle convenienze, che, come ognun sa, sopravvivono spesso all'amicizia; e però, cavatosi il berretto, inchinò il parente del suo signore, e tirò innanzi per la sua strada, senza accorgersi d'un improvviso e strano atto di stupore che quegli fece vedendolo, e lontano poi dal sospettare che una cura, certo ben diversa, ma rivolta però sulla persona medesima, occupava in quel punto l'animo suo e l'animo dell'odioso cavaliere, e dirigeva i passi d'entrambi nel contrario cammino a cui erano dirizzati.

Noi lasceremo andar Lupo per tener dietro a quell'altro, il quale, avendo ricevuta il innanzi una lettera del Pelagrua, s'avviava al castello di Rosate, onde conferir seco intorno alle faccende comuni.

Lodrisio, dopo la prima maraviglia venutagli dalla vista di quel suo prigioniero, ch'egli in quel punto facea in tutt'altra parte che in Milano, in ben altra condizione che di viaggiatore, disse alcune parole all'orecchio d'uno de' suoi due scudieri, il quale accennato col capo di sì, fermossi indietro.

- Qual mago, qual versiera, qual diavolo dell'inferno ha portato qui sulle corna costui? -, diceva fra il doloroso cavaliere, affrettando il palafreno sulla via che menava a Rosate; - che non me ne abbia a riuscir una bene? sempre in disdetta! tutto alla peggio! pianeta impiccato! maladetta influenza che mi domina a questa stagione!... E dove poteva mo essere avviato quel furfante in quell'arnese da viaggio? forse alla volta delle sue montagne?... Anche quei birboni hanno non so che partite di debito ancora accese; ma verrà il che acconceremo la ragione insieme, e me le pagheranno tutte in una volta. -

Lo scudiero che accompagnava Lodrisio, vedendo il suo signore aggrondato, con una faccia arrapinata e velenosa, non s'arrischiava di batter parola, e lo seguitava quatto quatto, sguardandolo di sottecchi, come un can di pagliaio, che col muso basso e la coda ristretta al ventre, va dietro al padrone, dal quale le ha toccate di fresco.

E il cavaliere spronava pure, seguitando in cuor suo la rassegna di tutti i tristi pensieri che lo tribolavano in quel punto; e Marco, e Bice, e Ottorino: e come riparar qua, e come provveder ; tanto che giunse a Rosate senza aver mai aperto bocca.

Come si fu ridotto in una camera appartata in compagnia del Pelagrua: - E così? - gli domandò, - è arrivato l'ultimo corriere da Lucca?

- È arrivato, ed ecco le carte di Marco, - rispose il castellano porgendogli un plico. Quegli l'aperse, si mise a sedere, e stette un bel pezzo in silenzio leggendo, intanto che l'altro rimaneva ritto in piedi colla berretta fra mano. Quand'ebbe finito, Lodrisio scrollò il capo levando le spalle, e disse:

- Il solito; cogli Alamanni male, coi Lucchesi peggio; quelli, fogne senza fondo che non le empirebbe Po quand'è maggiore la piena: questi, gretti, miseri, che non vorrebbero dare un picciolo per ricattar la pelle dalle mani del Turco, o del diavolo; gli uni che urlano domandando, gli altri che strillano ricusando, ed egli in mezzo, a dare un colpo alla botte e l'altro al cerchio; oggi far metter in ceppi un soldato, domani far appiccar per la gola un cittadino, il giuoco dell'altalena: e finir poi col farsi recar sulle corna da tutte e due le parti. Insomma dice che n'è tanto stufo, così indignato e arrovesciato, che vuol risolversi a quello a che non si lasciò piegar mai finora, di vendere la Signoria ai Fiorentini, e trar le mani ad ogni modo da una pastamal rimenata.

- Se questo succede, - diceva il Pelagrua, - avrà di grazia di potersi riattaccare ancora alle cose di qui.

- Sicuro; e quell'altro filo con che ci davamo ad intendere noi di tenervelo, ormai, veggo bene, non ci starà che per un di più.

- Per un di più? - ripigliava il castellano, rosicchiandosi l'unghia. del dito mignolo, - magari Dio non ci stesse che per un di più! Ho paura, una gran paura, che codesta sninfia non ci abbia ad imbrogliar le carte per modo da non lasciarci aver mai più buon giuoco.

- E d'onde le cavi codeste tue goffe paure?

- Le cavo da questo, che Marco, a cui ho fatto gittar un motto alla lontana sul proposito di lei, per veder di prepararlo un po' per volta ad intenderla tutta com'ella sta, dite un po'?

- Che? non vi si reca?

- Maladetta! altro che recarvisi, ha voluto mangiarlo vivo quel pover'uomo del mio corriere, e a me poi mi scrive, che rispetto a lei e ad Ottorino, non debba impacciarmi più d'altro. Che le faccende l'abbian guarito dell'amore?

- Meglio! se gli è uscito il pazzo dal capo si darà più di proposito alle cose mature e di gravità, agli interessi suoi; vedi bene, in fin del conto, sono anche i nostri.

- Capisco capisco; ma intanto che partito ha da essere il mio con questa pettegola?

- Il partito in che siam rimasti, quello di recarla, o colle buone o colle cattive, a compiacere a Marco: credi tu che quando, tornando egli qui, la trovi già bella e maturata, già sua, non sia per sapertene buon grado? e dico anche nel caso che i primi bollori gli sian dati giù.

- Il ciel me la mandi buona! Oh non sapete con che umoretto sono alle mani! Pensate: sono già venti giorni ch'ella è qui; e siamo ancora a questo, che si crede d'essere a Castelletto; e non ho potuto mail arrischiarmi...

- Un bell'avviamento! che il diavolo ti porti!

- Ma come?...

- Eh! quando hai visto che colle dolci non se ne facea nulla, cambiar registro: pare che tu non abbia mai conosciuto femmine.

- Ma vi dico ch'ella basisce per nulla.

- Lasciarla fare il suo verso, e tirar via di grosso.

- Avete bel dire voi, ma bisognava esser qui il quarto giorno ch'ella fu in castello; le entrò una febbre rovinosa, ch'io ebbi paura non me la portasse via, e ogni ora credea che potesse esser la sua. Se ella mi fosse morta davvero, vedete bene che imbroglio! e poi bisognava pensare anche a quest'altra che è qui con lei.

- L'ancella, vuoi dire? C'era da pensar gran fatto! metterla a tener compagnia alla padrona, che non avesse ad aver paura a dormir sola... In fine; come s'è poi riavuta?

- La s'è riavuta in grazia d'una lettera del suo innamorato che le ho fatta capitare.

- Una lettera d'Ottorino? - domandò Lodrisio con un'aria fra il turbato e lo scredente.

- D'Ottorino, sì... ma via non andate in collera, che l'Ottorino son io.

- L'hai scritta tu la lettera?

- Scritta io, e imitata la mano.

- E che cosa le hai detto?

- Prima di tutto bisognava render ragione del ritardo a venirla a vedere, è vero? A me a impastocchiarla: che Marco mi ha raccolto con grande amore, che vuol mandarmi in Toscana, e non mi lascia libero un momento notte; che non m'arrischio per ancora di manifestargli le nostre nozze, non avendo trovato ch'ei v'abbia acconcio l'animo del tutto; che però fra poco, quando gli abbia reso un grande servigio, che so poi io, spero di ridurlo alle cose della ragione; - in somma mille fandonie su questo andare, condite dei soliti sdilinquimenti, delle solite svenevolezze d'innamoratini, inzuccherate di giuramenti, di paroline spasimate: cuor mio! speranza dolce! caro amore! di tutte quelle sguaiataggini infine, che usano codesti profumatuzzi spezzacuori, e mettono in dolcezza e fanno andare in succhio una martorella ammartellata d'amore.

Lodrisio diede in una gran risata, e poi soggiunse: - Ed ella, se l'è succiata su, senza nessun sospetto?

- Di questo voglio che stiate sopra di me, - disse il castellano; - se la lettera fosse capitata in mano di Ottorino medesimo, vi giuoco il collo se non la credeva sua.

- E poi?

- E poi ella risponde, e Ottorino replica; ella una seconda, e Ottorino un'altra, e via e via, la faccenda va innanzi ch'egli è un desìo: e se aveste a sentire le dolci, le tenere cose ch'ella mi scrive! se aveste a vedere con che divozione apre le mie lettere, le divora cogli occhi, e vi lascia spesso cader sopra lagrimone tanto fatte! e poi con che grazietta le ripiega con quelle bianche manine, e se le mette in seno e ne le trae fuori per tornarle a leggere, per baciarle! Io mi godo tutti i giorni tanta festa dal fesso d'un assito, e vi giuro che il giuoco comincia quasi a piacermi.

- Ah mummia secca! muso ammorbato da Fariseo! - disse Lodrisio misurandogli per giuoco una ceffata. - Insomma, con codeste bambolaggini, tu ti sei baloccato per via invece d'andar innanzi: e intanto ecco venti giorni sciupati.

- Non è però ch'io gli abbia sciupati del tutto, vedete; un certo qual tocco ho cominciato a dargliene; ma è una miseria! bisogna lavorarle intorno così sottile, con tanti rispetti! ch'ella si adombra di ogni minimo che, ed è così tenera, così dilicata, che siamo a sfinimenti, a febbri.

- In conclusione, che le hai tu scritto di più arrischiato fin ora?

- Ho cominciato a fare un po' del geloso, pigliandone cagione dal continuo parlarmi di lei che fa Marco, dagli encomi sfoggiati che ne sciorina.

- Ed ella?

- Protesta, giura d'esser tutta mia, sempre mia, potete pensare! ma codesta delle lodi è una semenza che gettata ch'un l'abbia nel cuore d'una femmina, presto o tardi vi mette radici e porta frutto. Che serve e che vale? fanciulle e adulte, gentili e popolane, le son tutte d'una buccia: digliene, e lascia fare al diavolo.

- Eh! non si può dir che tu l'abbia presa male; solo che si va troppo per le lunghe a questo modo: canchero! in capo all'anno non saremmo a mezza via: e siam sotto al tempo, figliuol caro; chè Marco potrebbe capitarci addosso da qui a un paio di mesi, chi sa? forse anche prima. Ed ora, in che termini sei tu con codesta fastidiosa?

- Ora m'aspetta fra un paio di giorni: ho dovuto pigliar il partito di ristorarla con questa speranza dello spavento e della passione che provò ai passati in veder trascorrere inutilmente il termine posto da sua madre per venirla a vedere. Al primo ricevere di quest'annunzio parve tutta consolata, ma da ieri in poi, non so capire, m'è tornata a dar giù forse peggio di prima; non dice più una parola, non fa che piangere, non vuol toccar cibo... Basta, finchè ella dura! chè dagliene a bere una oggi, un'altra domani; rattienla, impiastra, intriga e rivolta, non potrà a manco di entrare in sospetto di qualcosa; e allora non so più da che parte farmi per tenerla quieta, che non mi dia ne' lumi affatto, e non mi rimanga, Dio ne guardi, fra mano.

- L'importanza è di far presto a venire a una conclusione, - disse Lodrisio, - ch'or ve n'ha un'altra nuova che tu non sai. Lupo è scappato.

- Scappato? - sclamò il Pelagrua con un accento di maraviglia paurosa, restando immobile colle ciglia inarcate.

- Scappato, e l'ho visto io con questi miei occhi venendo qui: ma l'ho consegnato in buone mani, e prima che vada giù il sole... Basta, dopo che abbia scritto a Lucca ci riparleremo, e si vedrà quel che conviene di fare, - conchiuse Lodrisio. Scrisse, pigliò tutti i concerti, e quando fu verso sera, il castellano di Rosate, precedendolo per certi andirivieni segreti d'anditini e di corridoretti, lo condusse in una cameraccia oscura, d'onde traguardando per alcuni fessi inavvertiti, si poteva spaziare coll'occhio per tutta la sala entro la quale Bice era solita ridursi in compagnia della fidata ancella.

Stavasi allora la sposa d'Ottorino abbandonata su d'un ricco seggiolone a bracciuoli, in atto languido e stanco, sorreggendo con una mano bianchissima il volto smorto, che si chinava lentamente su quella. Una sottil veste schietta, candida come la neve, le stava indosso tutta allentata e cascante: e sotto il volume delle intemperanti pieghe di quella, svanivano le belle forme delle membra che solevan già riempirla, e spiccarvi dentro ben tornite e baldanzose.

Le lunghe sue chiome bionde, spartendosi per mezzo la fronte, le contornavano, le raccoglievano la faccia, che fra il pallido di quell'oro natio spiccava per una bianchezza fredda, uguale, diffusa; non consolata dalla più lieve fioritura di vermiglio, fuorchè ai contorni delle labbra, suffuse pure d'un roseo scolorato.

Ma quanto v'avea di più notabile in quel volto eran gli occhi: quegli occhi cilestri grandissimi, che di sotto ad un fondo di soavità e d'innocenza angelica solevano lasciar tralucere il fuoco d'un'anima ardente; quegli occhi, che, insieme ad una onesta alterezza di vergine, aveano un non so che di blando, di accarezzante, tutto spontaneo, e di cui essi non eran consapevoli; quegli occhi sereni, molli d'una mollezza svegliata e rigogliosa, ora sbattuti, infossati nella fronte, mostravano una spossatezza che avea del doglioso insieme e dello spaurato.

Lauretta, seduta ad un tavolino posto fra essa e la padrona, stava lavorando ad un trapunto d'onde questa avea poco prima levata la mano.

Bice, colla guancia dimessa nella palma, tenea la faccia rivolta verso l'ancella, come se badasse al lavoro; ma l'occhio non avea sguardo, chè l'animo suo in quel momento era tutto fra le ombre d'un terrore segreto.

Finalmente sorse in piedi, e si mosse verso un verone spalancato: l'andar suo era lento e faticoso; appoggiò i gomiti sul parapetto, e stette alcun tempo in silenzio guardando. Il sole cadente, mezzo ascoso fra le più alte cime d'un bosco lontano, tingea la vasta uniforme pianura frapposta d'una luce squallida, inerte, non rotta da altro che da rade inamabili ombre d'un qualche salcio che sorgeva qua e per l'uliginoso terreno. L'aria greve e morta era piena d'uno sterminato, noioso gracidar di rane: dai pantani, dai lagumi, dai canneti, dai paludacci che occupavano tutta quella campagna, quanto era grande, si allungava frattanto un nebbione grigio, che, stendendo a poco a poco un velo sugli oggetti vicini, offuscava più sempre di mano in mano quelli che si venivano scostando, e toglieva affatto la vista dei più lontani. Alcuni raggi di sole attraversavano da prima a fatica quel freddo e crasso nuvolone; ma si venivano ad ogni poco smorzando e ritraendo indietro, a somiglianza degli sguardi d'un agonizzante; finchè soverchiando i vapori, e cadendo il sole, ogni luce fu spenta, e parve il chiudersi degli occhi dell'uomo nella morte.

Un tramonto tanto diverso da quelli così splendidi, così sfoggiati, che l'infelice era solita contemplare dalle sue montagne, richiamò dolorosamente fra quelle il cuore di lei, che togliendosi dal verone, tornò al tavolino, su cui ardeva d'un lume rossastro e nebuloso la lucerna stata accesa da Lauretta un momento prima: s'abbandonò sulla seggiola, e sclamò: - Oh Signore! il mio tormento è troppo!

Stettero per un istante ambedue in silenzio; poscia la buona ancella andò al terrazzino per chiuderne le imposte; quand'ecco si sente il suono d'un liuto: Lauretta riman sospesa con una mano sul battente; la padrona si mette un dito sulla bocca, tende l'orecchio, e sta in ascolto. Quell'aria malinconica non le è nuova; si leva in piedi rinfrancata, move i passi leggera leggera, viene al veroncello, sporgendo il capo per poter coglier meglio ogni nota; poi dice sotto voce a Lauretta: - È il preludio della Rondinella: ma sta, che incomincia la canzone. - In fatti si sentì una voce un po' velata dalla distanza, che accordandosi alla flebile melodia delle corde intuonò questo lamento:

 

Rondinella pellegrina

Che ti posi in sul verone,

Ricantando ogni mattina

Quella flebile canzone,

Che vuoi dirmi in tua favella,

Pellegrina rondinella?

 

Solitaria nell'oblio,

Dal tuo sposo abbandonata,

Piangi forse al pianto mio

Vedovetta sconsolata?

Piangi, piangi in tua favella,

Pellegrina rondinella.

 

Pur di me manco infelice

Tu alle penne almen t'affìdi,

Scorri il lago e la pendice,

Empi l'aria de' tuoi gridi,

Tutto il giorno in tua favella

Lui chiamando, o rondinella.

 

Oh se anch'io!... Ma lo contende

Questa bassa, angusta vôlta,

Dove sole non risplende,

dove l'aria ancor m'è tolta,

Donte a te la mia favella

Giunge appena, o rondinella.

 

Il settembre innanzi viene,

 

 

E a lasciarmi ti prepari:

Tu vedrai lontane arene;

Nuovi monti, nuovi mari

Salutando in tua favella,

Pellegrina rondinella.

 

Ed io tutte le mattine

Riaprendo gli occhi al pianto,

Fra le nevi e fra le brine

Crederò d'udir quel canto,

Onde par che in tua favella

Mi compianga, o rondinella.

 

Una croce a primavera

Troverai su questo suolo:

Rondinella, in su la sera

Sovra lei raccogli il volo:

Dimmi pace in tua favella,

Pellegrina rondinella

 

 




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