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Paolo Mantegazza
Studj sui matrimonj consanguinei

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I

Di mezzo ad un’angoscia che per ogni lato ci opprime, sotto l’incubo di sentirci

men vivi e men forti dei nostri padri, noi perdiamo quasi sempre di vista le

cause prime del decadimento della nostra razza, e affannandoci a rizzar nuove

scuole e a cercar nuove vie per educarci e moralizzarci, dimentichiamo quel

crogiuolo misterioso, in cui i padri fondono il sangue di cui vivranno i loro

figliuoli. Ma ciò deve essere e ciò sarà, fin tanto che da noi si avrà vergogna

d’esser fatti della stessa pasta con cui sono ritagliati i nostri fratelli

minori; ciò deve essere e ciò sarà finchè una santa ipocrisia ci ravvolge tutti

quanti nelle nebbie del pregiudizio o tra i fumi del soprasensibile: finchè si

avrà paura della fisica che vuol occuparsi di noi; quasi, se non soli corpi, non

fossimo pur anche noi corpi che la fisica deve conquistar colle armi della

scienza e dirigere e migliorare colle armi dell’arte.

E intanto, mentre le diverse scuole di filosofia ci cercano un posto onorevole

nella più alta aristocrazia delle creature, noi, nati per l’umile via dell’utero

materno, veniamo e rimescolare in modo indefinito nelle nostre vene il sangue di

migliaja e migliaja di uomini che prima di noi vissero e scomparvero; sicchè poi

sotto la buccia della nostra pelle teniamo saldati insieme, per i pochi anni che

dura la nostra vita, tutto il bene e tutto il male che fecero le generazioni

passate.

Senz’andare molto addietro nella storia, ognuno di noi che volesse seguire il

filo della genealogia e accompagnare la propria origine fino a poco prima della

nascita di Dante, troverebbe di avere dopo 19 generazioni, in poco più di sei

secoli, 524,288 antenati, i quali tutti hanno lasciato per lui una stilla di

sangue; col suo tanto di bene e il suo tanto di male; poiché è certo che i germi

dell’uno e dell’altro più presto si nascondono che non si spengono; e in

circostanze favorevoli, possono ad un tratto riapparire e sorger giganti, dopo

molti secoli di silenzio e di morte apparente. Nella storia dell’umana famiglia

son ben poca cosa sedici o diciasette secoli; ma pure dopo questo periodo un

uomo ha più di un milione di milioni di antenati, per quanto oscuro o plebeo sia

il suo lignaggio.

A questa fusione gigantesca di famiglie, a questo indefinito rimescolamento del

sangue umano non presiede il capriccio; ma lo governa l’amore del bello che

sceglie i germi migliori e lascia morire i deboli o i cattivi; ma lo governa la

legge umana che è pur sempre incarnazione di un bisogno o di un’idea superiore.

Negli animali, la libera scelta che dà la vittoria d’amore ai forti è unica e

suprema legislatrice del matrimonio, mentre nell’uomo la moltiforme varietà

delle passioni e dei bisogni intellettuali or contrasta la natura ed ora se ne

fa alleata; sicchè fra i codici del bello e i codici del giusto, fra i codici

scritti nelle eterne pagine della natura e quelli vergati sulle pagine caduche

della legge, fra l’interesse della società umana e quello dell’individuo, l’uomo

si sente attratto e respinto da varie forze che lo tirano verso un nido, dove

darà a sé stesso e ai suoi figli la felicità e la forza; oppure verso un impuro

crogiuolo, dove facendo sé stesso infelice, genererà per l’avvenire mille e

nuovi dolori.

Come ebbe già a dire un grande pensatore, nel matrimonio, uno ed uno non fanno

due, ma fanno mille; e son mille uomini, e son mille sventure, e son mille

gioje, e son mille forze, secondo gli elementi buoni o cattivi che son venuti a

mischiarsi e a fondersi nella coppa d’amore.

 

 




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