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Paolo Mantegazza
Studj sui matrimonj consanguinei

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VII

Legrain accoppiò due conigli affetti da una malattia polmonale, che poi

coll’autopsia fu constatata per una tubercolosi con caverne, e sotto cattive

condizioni igieniche ottenne dei figli che furono sempre accoppiati fra di essi.

Nella quarta generazione questa razza si spense, e i tre ultimi discendenti

morirono pochi giorni dopo la nascita e già malati della stessa affezione dei

loro padri.

Avendo poi accoppiato due altri conigli affetti della stessa tubercolosi, ma in

ottime condizioni igieniche, ad onta della consanguineità e dell’affezione

ereditaria, potè conservare la razza fino alla sesta generazione, e dei cinque

ultimi figli 2 erano sani, 2 avevano tubercoli e caverne, 1 era affetto da una

pneumonite semplice.

Finalmente appajò una femmina sana con un coniglio tubercoloso, ed ebbe sei

generazioni, e la sesta presentò 5 figli tutti sani, benchè l’accoppiamento si

fosse verificato cinque volte fra matrimonj consanguinei.

È a dolersi che il Legrain, facendo ancora un passo innanzi in queste

interessantissime ricerche, non abbia accoppiato una coniglia tubercolosa con un

maschio robusto, onde vedere se più pericolosa fosse l’eredità patologica per

via paterna o per via materna.

Ma qui noi tocchiamo ad una delle questioni più delicate del problema che ci sta

occupando, perché se i danni dei matrimoni consanguinei non provengono che dalla

moltiplicazione dei germi ereditarj o delle ereditarie tendenze, non si può a

tutto rigore affermare che la generazione che nasce da due parenti sia per sé

stessa cattiva, cioè che il matrimonio fra parenti sia indipendentemente da ogni

legge di eredità morbosa un fatto sfavorevole al prodotto della concezione. In

una parola, il fatto della consanguineità non è un nuovo elemento nell’eziologia

delle malattie congenite, ma è una conferma dell’eredità morbosa, e la sua

storia rientra tutta quanta nel gran volume delle malattie ereditarie.

Se non che, per quanto lo studio di questa questione sia poco avanzato, noi

crediamo di poter affermare come molto probabile l’opinione che anche

indipendentemente dalla somma o dalla moltiplica delle disposizioni patologiche

già esistenti nei genitori, si producono nuove condizioni dannose per il solo

fatto che la generazione si compie fra consanguinei.

Ce lo provano i molti fatti di figli malati, nati da genitori sanissimi.

Ce lo prova la frequenza della sterilità che per certo non può esser malattia

ereditaria, o ce lo riconferma la frequenza degli aborti, che sono un anello di

naturale congiunzione fra la fisiologia e la patologia della concezione.

Ce lo prova infine la legge, che quanto più sono stretti i vincoli della

parentela, più pericoloso riesce il matrimonio alla prole, e questa legge è così

povera di eccezioni, che dall’incesto venendo giù giù fino al matrimonio fra

terzi e quarti cugini, il pericolo diventa sempre minore, misurando con equa

bilancia anche il rigore delle leggi e l’allarme della scienza, e tutto ciò

indipendentemente dallo stato di salute degli sposi.

Che se ora volessimo stringere in poche parole il frutto dei nostri studj,

troveremmo di aver poco di preciso da concludere, ma questo poco è già di tale

gravezza da chiamare tutta l’attenzione dei legislatori e degli igienisti.

Aspettando che la massa cresciuta dei fatti dia diritto al legista di esser più

severo nello stendere il codice civile del matrimonio, l’individuo ha già nelle

sue mani quanto basta per riflettere seriamente, quando vuol dar la mano ad una

sua parente, per creare una nuova generazione di uomini. La scienza lo

ammonisce, egli è responsabile della sua scelta.

 

 




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