Solamente
le armi?
Io non possa rifiutarmi di aderire a chi predica, in qualsiasi maniera,
la pace. Non so comprendere che si condanni una propaganda pacifica per questo
che la guerra fu per tutti gli esseri viventi, compresa la specie umana, un
potente fattore di progresso. La guerra è dolore. Se una legge di natura trae
dal dolore il bene, noi non abbiamo che vedere con essa. Vi ha pure una legge
suprema, che ci condanna a morire. Ambedue possono essere salutari al genere
umano nella sua condizione presente, ma esse operano al di sopra di noi, della
nostra volontà, del nostro potere, come le forze che portano il sistema solare,
attraverso i cieli, a un destino ignoto. A noi un'altra legge di natura impose
l'odio della morte e del dolore; essa vuole da noi che facciamo ogni sforzo di
prolungare a noi stessi e agli altri, con la scienza e con l'amore, la vita e
la pace. Sarebbe follìa disobbedire a questa legge in nome del progresso umano,
di un movimento non diretto da noi, prodotto da energie diverse e anche
opposte, da un meccanismo complesso di motori e di freni, che tutti debbono
agire secondo la loro natura.
Il nome della pace, però, è così santo, che non mi piacerebbe udirlo
pronunciare invano. La guerra tra le nazioni è una crisi esterna, determinata
da un processo interno. È inutile lavorare contro la crisi e anche contro le
cause immediate della crisi, se non si combatte il processo precedente, come è
inutile porre dei cataplasmi sopra la pelle livida di un isterico. Per questo i
Congressi della Pace paiono vani a molte persone. Il genere umano è malato di
morbo bellicoso nei visceri, e bisogna curarne i visceri, bisogna ricercare
quali forze abbia l'organismo sociale in sè stesso, atte a reagire contro il
morbo; bisogna aiutarle e dirigerle.
Il movimento economico, il moltiplicarsi delle relazioni d'interesse fra
popolo e popolo, il progrediente sviluppo delle attività che più abbisognano di
pace: ecco sicuramente una di queste forze salutari. Essa opera da sè e non ha
bisogno di stimoli. È tuttavia possibile di aiutarla indirettamente,
combattendo tutto ciò che impedisce o ritarda l'azione sua. Diciamo dunque: giù
le barriere doganali, giù i monopolii, giù tutti i ceppi della libertà
commerciale e industriale.
Ma poi vi hanno due grandi movimenti che tendono, per vie diverse, alla
pacificazione interna dell'umanità e che importa di aiutare e dirigere: il
socialismo e il cristianesimo. Ambidue esercitano una potente azione
unificatrice. Il primo unisce gli uomini nell'odio mediante un ideale di
giustizia terrena, il secondo li unisce nell'amore mediante un ideale di
giustizia celeste. Possono a vicenda combattersi, ma il loro antagonismo non è
necessario, essendo la giustizia, al postutto, una sola sulla terra e nel
cielo, l'amore del giusto e l'odio dell'ingiusto essendo due faccie d'un solo
vessillo.
Intanto, si combattano o no, un'associazione di lavoratori che si chiama
«internazionale» e un'associazione religiosa che si chiama «assemblea
universale» conducono fatalmente insieme a trasformare il concetto di patria e
i sentimenti che vi hanno radice, a correggere piano piano un patriottismo
ristretto, vanitoso, orgoglioso, ombroso, feroce, pieno di pregiudizi,
principal causa dei conflitti umani, degno di gloria nel passato, degno di
ragionevole ossequio nel presente, degno di esecrazione in un lontano avvenire.
Il movimento socialista è il più mortale nemico di questo patriottismo
augusto. Ora si può non essere socialisti positivi, è difficile di credere
nelle panacee che il socialismo ha proposto finora; ma, se si è amici della
pace, bisogna chiarirsi almeno socialisti negativi, riconoscere che nella
critica il socialismo ha in gran parte ragione, che una futura trasformazione,
secondo utilità e giustizia, degli ordini sociali, è certa, in virtù di leggi
generali e superiori, come son certe le trasformazioni passate; che un'alleanza
è naturale fra quanti, senza distinzione di patria, invocano un ordinamento sociale
migliore. Diciamo dunque: giù le glorificazioni a oltranza del patriottismo
ristretto, giù le repressioni del socialismo che non assale a mano armata, le
condanne di ogni atto che pacificamente significhi la solidarietà di tutti i
lavoratori.
Si può non essere socialisti, ho detto; non si può invece, se si vuole
risolutamente la pace, non essere cristiani. Poichè vi ha nel mondo una
religione che proibisce di offendere i nostri fratelli e impone agli offesi il
perdono; che proibisce di sacrificare il diritto altrui all'interesse nostro e
impone la restituzione del mal tolto, beni, libertà o indipendenza; che
proibisce di attentare alla vita umana e impone a chi governa la più terribile
responsabilità; che promette ai suoi, come premio supremo, la pace in terra e
nel cielo; poichè vi ha una simile religione, folli voi, che volete pacificare
il mondo, se operate fuori di essa. Se non foste cristiani, dovreste fingere di
esserlo, se non credeste in Cristo, dovreste pur sempre
cercare che la sua parola fosse obbedita. Giù dunque la guerra contro il
cristianesimo, contro l'istruzione religiosa, giù i pregiudizi dei piccoli
cervelli, che nel cattolicismo vedono soltanto la misera questione politica
italiana, sentono soltanto il cattivo odore di un piccolo potere morto e non
ancora sepolto!
Ma non basta; bisogna rispettosamente chiedere che qualche cosa muti
anche dentro la Chiesa. Il glorioso S. Francesco d'Assisi collocò un giorno
quattro de' suoi a fronte dei quattro venti e disse: andate, predicate la pace.
Bisogna richiamare nella Chiesa questo sublime spirito ardente, domandarle di
opporre alle agitazioni bellicose non qualche mite consiglio, qualche blanda
preghiera, qualche dimostrazione pro forma, bensì tutta la sua potenza.
Bisogna chiederle di por giù le prudenze del mondo e di usare le audacie dei
Santi. Bisogna chiederle, col linguaggio della fede e dello zelo, di por giù
certe considerazioni terrene, di parlare alto ai prepotenti, principi o popoli,
ne speri ella favori o no. Bisogna chiederle di smettere i Te Deum per
le stragi vittoriose e le benedizioni alle navi da guerra, di pregar solo in
ogni tempo, in ogni luogo, fra i vincitori e i vinti, a una voce, per la pace e
per la giustizia.
Chi lavora contro la guerra fuori del cristianesimo, in nome della pietà
e dell'orrore, si persuada che lavora invano. La pietà e l'orrore del sangue
versato parlano naturalmente così forte nel cuore umano, che nulla vi può
aggiungere qualsiasi retorica. Per questo verso, più dei discorsi sentimentali,
giovano le invenzioni terribili di cui si arricchisce ogni giorno la scienza
militare. Essa va convertendo gli uomini alla pace con la paura dell'inferno;
ma è da preferire che le si convertano per amore di Dio.
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