Un
Momento Storico
Nel
giugno del 1898 Piero Giacosa pubblicò nella Stampa la seguente lettera
aperta ad Antonio Fogazzaro.
Caro amico,
Gli ultimi giorni che precedettero l'apertura della nostra Esposizione
offrivano al visitatore delle sale uno spettacolo inusitato. Il lavoro ferveva
da ogni lato intenso e rumoroso; i colpi di mazza, il picchiar dei martelli, le
voci chiamantesi, le grida d'ammonimento, i carichi pesanti e ingombranti
innanzi a cui la folla s'apriva per un momento, gli ordini trasmessi a
distanza, le vive dispute; e insieme il tranquillo e silenzioso agucchiare
delle cucitrici isolate nel trambusto come nella loro cameretta. Insomma tutte
le forme della attività umana, in cui cervello e muscoli s'aiutano a produrre
il meglio che possono dal concorso di loro energie.
Ma non era questa operosità diversa che costituiva l'inusitato dello
spettacolo, bensì un altro elemento, quello della buona volontà che
lumeggiava da tutti gli occhi e che conferiva alla fatica un carattere giocondo
e confidente. Ai giorni nostri raramente la gioia del lavoro e la fede in esso
si scorgono associate; raramente si osserva quella amorosa attenzione al lavoro
manuale per cui il manufatto diventa come creatura dell'artefice e può
assorgere alla proporzione di opera d'arte. Passando fra le schiere d'operai
degli opifizi, l'espressione dei loro volti rivela per lo più l'indifferenza e
la sazietà, non mostra quella intima associazione degli elementi pensanti e di
quelli moventi, quella intensità d'attenzione temperata dalla confidente
aspettativa, così caratteristiche in chi partecipa con tutta l'anima all'opera
sua.
Nella sezione destinata all'Arte sacra ed alle Missioni l'operosità non
era certo minore; e colpiva sopratutto il vedere tante persone la cui vita è
dedicata alle ricerche pazienti di gabinetto, o allo studio delle antichità, o
all'arte o alle cure del sacerdozio operare direttamente colle mani, trasportar
vetrine, disporre oggetti, martellare, sfogliare codici e spolverare
reliquiari, appender quadri, intenti al lavoro proprio e all'altrui. E
nell'assenza di un diretto interesse materiale (che nella sezione industriale
dell'Esposizione generale agiva da sprone all'attività e rallegrava l'animo
coll'aspettativa di ambiti premi) era più interessante il vedere l'associazione
di tutte queste buone volontà cooperanti in operosa pace a uno scopo comune ed
ideale, quello di esaltare le opere dell'ingegno umano inspirato dalla
religione.
Io pensava allora che questa Esposizione Generale Italiana, la quale
nella intenzione dei suoi iniziatori doveva significare una commemorazione di
gloriosi eventi e di un momento storico, da cui datava l'iniziarsi del
movimento decisivo, ordinato e definitivo che condusse all'unità della patria,
forse agli occhi degli storici futuri avrebbe avuto il significato di un altro
momento storico ben determinato e importantissimo anch'esso. Che cioè
l'Esposizione sarebbe stata documento a dimostrare che in questo paese, nel
campo in cui pare esistere la più decisa e irreconciliabile scissura politica
esiste in realtà un fondo di concordia: che certi dissidii i quali fino a ieri operavano
su tutti e li aizzavano gli uni contro gli altri hanno perduto di loro gravità,
mentre si è affermata nei più la convinzione che a nulla giova il trarre da
essi pretesto a mantener separate e anzi opposte tante attività che potrebbero
associarsi, cooperare a raggiungere fini che ogni giorno appaiono più alti, più
universali, più eterni, direi quasi, che non siano gli argomenti dei dissidii
stessi.
Non è difficile constatare come, nel campo politico, la maggior parte
delle così dette questioni non si risolvano con una operazione decisiva, ma
cessino d'esistere perchè mutano gli elementi da cui traevano la loro
esistenza, o perchè nella consuetudine o nel lento trasformarsi dell'opinione,
cessano di apparire e di imporsi alle menti come vere e proprie questioni, E
quando, come avvenne qui in occasione dell'Esposizione sacra, si fosse potuto
dimostrare come tutti, liberali convinti ardenti ammiratori di Cavour, convinti
clericali ossequienti in tutto alla politica pontificia; cattolici ferventi;
uomini di coscienza che non confessano una formula definitiva di dogma, tutti
insomma gli uomini di buona volontà che amano il loro paese e sanno di dover
dare opera a sollevarlo, hanno potuto lavorare in pace ad uno scopo comune, un
gran passo sarebbe stato fatto per isolare il dissidio e metterlo nella sua
vera luce di momentaneo conflitto d'interessi prevalentemente politici e
materiali, di fenomeno contingente ed indipendente dalla assenza della
religione stessa.
È
innegabile che la Mostra dell'Arte Sacra, sopratutto nella parte delle
missioni, fu por molti e sopratutto per il clero campagnuolo piemontese una
inaspettata rivelazione; forse essi non avevano mai compreso la grandezza di
espansione di cui è capace la propaganda cattolica, nè avevano creduto che le Missioni
si associassero così intimamente alla vita dei singoli popoli e fossero un così
utile strumento di civiltà; non avevano, in una parola, alcuna idea che
esistesse già quel connubio fra la religione e il secolo che l'arcivescovo
Ireland ha preconizzato, vedendovi l'avvenire del cattolicismo. È pure assai
confortante il vivo senso d'italianità delle missioni, che forse non fu sempre
sufficientemente valutato ed incoraggiato da parecchie fra le autorità che
visitarono l'esposizione; confortante, perchè può giovare a togliere alle anime
timide e scrupolose la paura della irreconciliabilità dei sentimenti d'un leale
cittadino italiano e di un buon cattolico.
***
Di tutto questo io voleva scriverti e chiedere che cosa tu ne pensassi; quand'ecco
all'inaugurarsi dell'Esposizione, i terribili avvenimenti che ancora ci fanno
sanguinare il cuore; ecco comparire imminenti, minacciose, altre più gravi
questioni, maggiori e più profondi dissidii, che indarno si tenta comporre con
formole determinate, mentre essi pure, come l'altro di cui ti dicevo, aspettano
dal tempo mutato e dalla cooperazione degli uomini di buona volontà la loro
risoluzione.
Ecco Torino assistere ad un indimenticabile grande avvenimento, la seduta
reale, nella quale si sentì irresistibilmente alta la voce della nazione che al
disopra di tutto si rivolgeva al suo Re collo stesso slancio di fede e di
concordia delle antiche giornate che si commemoravano; ecco Torino trovare nel
dolore presente la saggezza e la fermezza antica, la prudente astensione da
decisioni avventate, il generoso slancio nel soccorrere miserie che non essa
aveva causato.
Un altro momento storico in cui tutti abbiamo vissuto, di cui ogni
torinese può andar orgoglioso e di cui forse ora non avremmo la coscienza, se
tu, poeta, da lontano non avessi udito la gran voce delle cose, muta per i più,
e col tuo saluto non avessi dato l'espressione sintetica del momento. Per
questo, Torino, che si sentì rivelata a sè stessa da te, rispose con tanto
entusiasmo riconoscente.
Ed ora posso io ritornare alle mie prime speranze? e non è il mio fragile
edifizio caduto? Non hanno, recenti e dolorosi avvenimenti mostrato vivo più
che mai il dissidio ch'io m'illudevo fosse ormai sopito nelle coscienze, e
tolta ogni speranza di vederlo composto?
Non ha errato il Governo a minacciare con armi che non possiede chi non
mancò verso le leggi dello Stato, ma verso la coscienza e verso un'Autorità che
non è la civile? Non errò altrettanto l'Autorità ecclesiastica che al giudizio
popolare, fondato sul retto apprezzamento del dovere cristiano, fece il
rimprovero di esser sèttario, l'Autorità che non seppe riconoscere quanta parte
abbiano avuto nell'instillare nel popolo questa idea del dovere cristiano i
grandi esempi dati dai prelati che occuparono
e santificarono quella cattedra episcopale? Che vuoi, la verità non è in un
pozzo, ma esce al sole; e chi anche volontariamente si costituisce prigioniero,
volontariamente si reclude dal fratello e non lo conosce più.
Ormai un mese è passato, un Ministero nuovo è venuto e i guai cocenti e
le speranze e i propositi che fermentavano nel capo trenta giorni or sono
paiono vecchiume. Ma io persisto nel mio vecchio errore; e credo che in
presenza di ben altrimenti poderosi problemi che si affacciano, davanti ai
doveri che a tutti incombono di alleviare i mali dell'umanità, davanti ai
pericoli di illudersi in avventate formole di ipotetiche panacee, sia più che
mai necessario ritrovare l'unione di tutti gli operosi di buona volontà,
associati nella misura di loro forze, nella sfera di loro attività, al bene
comune, dimenticando le differenze d'opinione rispetto a questioni che da
romane sono diventate bizantine.
Tuo aff.mo
Piero Giacosa.
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