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Baldassarre Castiglione Il libro del cortegiano IntraText CT - Lettura del testo |
II.
Però come del resto, cosí parlano ancor delle corti, affermando quelle di che essi hanno memoria esser state molto piú eccellenti e piene di omini singulari, che non son quelle che oggidí veggiamo; e súbito che occorrono tai ragionamenti, cominciano ad estollere con infinite laudi i cortegiani del duca Filippo, o vero del duca Borso; e narrano i detti di Nicolò Piccinino; e ricordano che in quei tempi non si saria trovato, se non rarissime volte, che si fosse fatto un omicidio; e che non erano combattimenti, non insidie, non inganni, ma una certa bontà fidele ed amorevole tra tutti, una sicurtà leale; e che nelle corti allor regnavano tanti boni costumi, tanta onestà, che i cortegiani tutti erano come religiosi; e guai a quello che avesse detto una mala parola all'altro o fatto pur un segno men che onesto verso una donna; e per lo contrario dicono in questi tempi esser tutto l'opposito; e che non solamente tra i cortegiani è perduto quell'amor fraterno e quel viver costumato, ma che nelle corti non regnano altro che invidie e malivolenzie, mali costumi e dissolutissima vita in ogni sorte di vicii; le donne lascive senza vergogna, gli omini effemminati. Dannano ancora i vestimenti, come disonesti e troppo molli. In somma riprendono infinite cose, tra le quali molte veramente meritano riprensione, perché non si po dir che tra noi non siano molti mali omini e scelerati, e che questa età nostra non sia assai più copiosa di vicii che quella che essi laudano. Parmi ben che mal discernano la causa di questa differenzia e che siano sciocchi, perché vorriano che al mondo fossero tutti i beni senza male alcuno; il che è impossibile, perché, essendo il male contrario al bene e 'l bene al male, è quasi necessario che per la opposizione e per un certo contrapeso l'un sostenga e fortifichi l'altro, e mancando o crescendo l'uno, cosí manchi o cresca l'altro perché niuno contrario è senza l'altro suo contrario. Chi non sa che al mondo non saria la giustizia, se non fossero le ingiurie? la magnanimità, se non fossero li pusilanimi? la continenzia, se non fosse la incontinenzia? la sanità, se non fosse la infirmità? la verità, se non fosse la bugia? la felicità, se non fossero le disgrazie? Però ben dice Socrate appresso Platone maravigliarsi che Esopo non abbia fatto uno apologo, nel quale finga, Dio, poiché non avea mai potuto unire il piacere e 'l dispiacere insieme, avergli attaccati con la estremità, di modo che 'l principio dell'uno sia il fin dell'altro; perché vedemo niuno piacer poterci mai esser grato, se 'l dispiacere non gli precede. Chi po aver caro il riposo, se prima non ha sentito l'affanno della stracchezza? chi gusta il mangiare, il bere e 'l dormire, se prima non ha patito fame, sete e sonno? Credo io, adunque, che le passioni e le infirmità siano date dalla natura agli omini non principalmente per fargli soggetti ad esse, perché non par conveniente che quella, che è madre d'ogni bene, dovesse di suo proprio consiglio determinato darci tanti mali; ma facendo la natura la sanità, il piacere e gli altri beni, conseguentemente dietro a questi furono congiunte le infirmità, i dispiaceri e gli altri mali. Però, essendo le virtú state al mondo concesse per grazia e dono della natura, súbito i vicii, per quella concatenata contrarietà, necessariamente le furono compagni; di modo che sempre, crescendo o mancando l'uno, forza è che cosí l'altro cresca o manchi.