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Baldassarre Castiglione Il libro del cortegiano IntraText CT - Lettura del testo |
Sono ancor arguti quei motti che hanno in sé una certa nascosa suspizion di ridere, come, lamentandosi un marito molto e piangendo sua moglie, che da se stessa s'era ad un fico impiccata, un altro se gli accostò e, tiratolo per la veste, disse: “Fratello, potrei io per grazia grandissima aver un rametto de quel fico, per inserire in qualche albero dell'orto mio?” Son alcuni altri motti pazienti e detti lentamente con una certa gravità; come, portando un contadino una cassa in spalla, urtò Catone con essa, poi disse: “Guarda”. Rispose Catone: “Hai tu altro in spalla che quella cassa?” Ridesi ancor quando un omo, avendo fatto un errore, per remediarlo dice una cosa a sommo studio, che par sciocca, e pur tende a quel fine che esso disegna, e con quella s'aiuta. Come a questi dí, in consiglio di Fiorenza ritrovandosi doi nemici, come spesso interviene in queste republice, l'uno d'essi, il quale era di casa Altoviti, dormiva; e quello che gli sedeva vicino, per ridere, benché 'l suo avversario, che era di casa Alamanni, non parlasse né avesse parlato, toccandolo col cubito lo risvegliò e disse: “Non odi tu ciò che il tale dice? rispondi, ché gli Signori dimandano del parer tuo”. Allora l'Altoviti, tutto sonnachioso e senza pensar altro, si levò in piedi e disse: “Signori, io dico tutto il contrario di quello che ha detto l'Alamanni”. Rispose l'Alamanni: “Oh, io non ho detto nulla”. Súbito disse l'Altoviti: “Di quello che tu dirai”. Disse ancor di questo modo maestro Serafino, medico vostro urbinate, ad un contadino, il qual, avendo avuta una gran percossa in un occhio, di sorte che in vero glielo avea cavato, deliberò pur d'andar per rimedio a maestro Serafino; ed esso, vedendolo, benché conoscesse esser impossibile il guarirlo, per cavargli denari delle mani, come quella percossa gli avea cavato l'occhio della testa, gli promise largamente di guarirlo; e cosí ogni dí gli addimandava denari, affermando che fra cinque o sei dí cominciaria a riaver la vista. Il pover contadino gli dava quel poco che aveva; pur, vedendo che la cosa andava in lungo, cominciò a dolersi del medico e dir che non sentiva miglioramento alcuno, né discernea con quello occhio piú che se non l'avesse aúto in capo. In ultimo, vedendo maestro Serafino che poco piú potea trargli di mano, disse: “Fratello mio, bisogna aver pacienzia: tu hai perduto l'occhio, né piú v'è rimedio alcuno; e Dio voglia che tu non perdi anco quell'altro”. Udendo questo, il contadino si mise a piangere e dolersi forte e disse: “Maestro, voi m'avete assassinato e rubato i miei denari; io mi lamentarò al signor Duca”; e facea i maggior stridi del mondo. Allora maestro Serafino in collera e per svilupparsi, “Ah villan traditor”, disse, “dunque tu ancor vorresti avere dui occhi, come hanno i cittadini e gli omini da bene? vattene in malora”: e queste parole accompagnò con tanta furia, che quel povero contadino spaventato si tacque e cheto cheto se n'andò con Dio, credendosi d'aver il torto.