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Baldassarre Castiglione
Il libro del cortegiano

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XVIII.

 

Allora messer Cesare Gonzaga, - Non so, - disse, - quai virtú convenienti a signore possano nascere da questa temperanzia, essendo quella che leva gli affetti dell'animo, come voi dite: il che forse si converria a qualche monaco o eremita; ma non so già come ad un principe magnanimo, liberale e valente nell'arme si convenisse il non aver mai, per cosa che se gli facesse, né iraodiobenivolenziasdegnocupiditàaffetto alcuno, e come senza questo aver potesse autorità tra' populi o tra' soldati -. Rispose il signor Ottaviano: - Io non ho detto che la temperanzia levi totalmente e svella degli animi umani gli affetti, né ben saria il farlo, perché negli affetti ancora sono alcune parti bone; ma quello che negli affetti è perverso e renitente allo onesto riduce ad obedire alla ragione. Però non è conveniente, per levar le perturbazioni, estirpar gli affetti in tutto; ché questo saria come se per fuggir la ebrietà si facesse un editto che niuno bevesse vino, o perché talor correndo l'omo cade, se interdicesse ad ognuno il correre. Eccovi che quelli che domano i cavalli non gli vietano il correre e saltare, ma voglion che lo facciano a tempo e ad obedienzia del cavaliero. Gli affetti adunque, modificati dalla temperanzia, sono favorevoli alla virtú, come l'ira che aiuta la fortezza, l'odio contra i scelerati aiuta la giustizia, e medesimamente l'altre virtú son aiutate dagli affetti; li quali se fossero in tutto levati, lassariano la ragione debilissima e languida, di modo che poco operar potrebbe, come governator di nave abbandonato da' venti in gran calma. Non vi maravigliate adunque, messer Cesare, s'io ho detto che dalla temperanzia nascono molte altre virtú; ché quando un animo è concorde di questa armonia, per mezzo della ragione poi facilmente riceve la vera fortezza, la quale lo fa intrepido e sicuro da ogni pericolo e quasi sopra le passioni umane; non meno la giustizia, vergine incorrotta, amica della modestia e del bene, regina di tutte l'altre virtú, perché insegna a far quello che si dee fare e fuggir quello che si dee fuggire; e però è perfettissima, perché per essa si fan l'opere dell'altre virtú, ed è giovevole a chi la possede e per se stesso e per gli altri; senza la quale, come si dice, Iove istesso non poria ben governare il regno suo. La magnanimità ancora succede a queste e tutte le fa maggiori; ma essa sola star non po, perché chi non ha altra virtú non po esser magnanimo. Di queste è poi guida la prudenzia, la qual consiste in un certo giudicio d'elegger bene. Ed in tal felice catena ancora sono colligate la liberalità, la magnificenzia, la cupidità d'onore, la mansuetudine, la piacevolezza, la affabilità e molte altre che or non è tempo di dire. Ma se 'l nostro cortegiano farà quello che avemo detto, tutte le ritroverà nell'animo del suo principe, ed ogni ne vedrà nascer tanti vaghi fiori e frutti, quanti non hanno tutti i deliciosi giardini del mondo; e tra se stesso sentirà grandissimo contento, ricordandosi avergli donato non quello che donano i sciocchi, che è oro o argento, vasi, veste e tai cose, delle quali chi le dona n'ha grandissima carestia e chi le riceve grandissima abundanzia, ma quella virtú che forse tra tutte le cose umane è la maggiore e la piú rara, cioè la manera e 'l modo di governar e di regnare come si dee; il che solo basteria per far gli omini felici e ridur un'altra volta al mondo quella età d'oro, che si scrive esser stata quando già Saturno regnava -.

 

 




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