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Baldassarre Castiglione Il libro del cortegiano IntraText CT - Lettura del testo |
LXIII.
Dicesi ancora qualche volta una parola medesima, ma ad altro fin di quello che s'usa. Come essendo il signor Duca per passar un fiume rapidissimo e dicendo ad un trombetta: “Passa”, il trombetta si voltò con la berretta in mano e con atto di reverenzia disse: “Passi la Signoria vostra”. È ancor piacevol manera di motteggiare, quando l'omo par che pigli le parole e non la sentenzia di colui che ragiona; come quest'anno un Tedesco a Roma, incontrando una sera il nostro messer Filippo Beroaldo, del qual era discipulo, disse: “Domine magister, Deus det vobis bonum sero”; e 'l Beroaldo súbito rispose: “Tibi malum cito”. Essendo ancor a tavola col Gran Capitano Diego de Chignones, disse un altro Spagnolo, che pur vi mangiava, per domandar da bere: “Vino”; rispose Diego, “Y no lo conocistes”, per mordere colui d'esser marano. Disse ancor messer lacomo Sadoletto al Beroaldo, che affermava voler in ogni modo andare a Bologna: “Che causa v'induce cosí adesso lasciar Roma, dove son tanti piaceri, per andar a Bologna, che tutta è involta nei travagli?” Rispose il Beroaldo: “Per tre conti m'è forza andar a Bologna”, e già aveva alzati tre dita della man sinistra per assignar tre cause dell'andata sua; quando messer Iacomo súbito l'interruppe e disse: “Questi tre conti che vi fanno andare a Bologna sono: l'uno il conte Ludovico da San Bonifacio, l'altro il conte Ercole Rangone, il terzo il conte de' Pepoli”. Ognun allora rise, perché questi tre conti eran stati discipuli del Beroaldo e bei giovani, e studiavano in Bologna. Di questa sorte di motti adunque assai si ride, perché portan seco risposte contrarie a quello che l'omo aspetta d'udire, e naturalmente dilettaci in tai cose il nostro errore medesimo; dal quale quando ci trovamo ingannati di quello che aspettiamo, ridemo.