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Baldassarre Castiglione
Il libro del cortegiano

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VII.

 

Da questo interviene che i signori, oltre al non intendere mai il vero di cosa alcuna, inebbriati da quella licenziosa libertà che porta seco il dominio e dalla abundanzia delle delizie, sommersi nei piaceri, tanto s'ingannano e tanto hanno l'animo corrotto, veggendosi sempre obediti e quasi adorati con tanta riverenzia e laude, senza mai non che riprensione ma pur contradizione, che da questa ignoranzia passano ad una estrema persuasion di se stessi, talmente che poi non ammettono consiglio né parer d'altri; e perché credono che 'l saper regnare sia facilissima cosa e per conseguirla non bisogni altr'arte o disciplina che la sola forza, voltan l'animo e tutti i suoi pensieri a mantener quella potenzia che hanno, estimando che la vera felicità sia il poter ciò che si vole. Però alcuni hanno in odio la ragione e la giustizia, parendo loro che ella sia un certo freno ed un modo che lor potesse ridurre in servitú e diminuir loro quel bene e satisfazione che hanno di regnare, se volessero servarla; e che il loro dominio non fosse perfetto né integro, se essi fossero constretti ad obedire al debito ed all'onesto, perché pensano che chi obedisce non sia veramente signore. Però andando drieto a questi princípi e lassandosi trapportar dalla persuasione di se stessi divengon superbi, e col volto imperioso e costumi austeri, con veste pompose, oro e gemme, e col non lassarsi quasi mai vedere in publico, credono acquistar autorità tra gli omini ed esser quasi tenuti dèi; e questi sono, al parer mio, come i colossi che l'anno passato fur fatti a Roma il dí della festa in piazza d'Agone, che di fori mostravano similitudine di grandi omini e cavalli triunfanti e dentro erano pieni di stoppa e di strazzi. Ma i príncipi di questa sorte sono tanto peggiori, quanto che i colossi per la loro medesima gravità ponderosa si sostengon ritti; ed essi, perché dentro sono mal contrapesati, e senza misura posti sopra basi inequali, per la propria gravità ruinano da se stessi e da un errore incorrono in infiniti; perché la ignoranzia loro accompagnata da quella falsa opinion di non poter errare, e che la potenzia che hanno proceda dal lor sapere, induce loro per ogni via, giusta o ingiusta, ad occupar stati audacemente, pur che possano.

 

 




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