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Baldassarre Castiglione Il libro del cortegiano IntraText CT - Lettura del testo |
XIII.
Allor la signora Emilia, ridendo, disse al conte Ludovico da Canossa: - Adunque, per non perder piú tempo, voi, Conte, sarete quello che averà questa impresa nel modo che ha detto messer Federico; non già perché ci paia che voi siate cosí bon cortegiano, che sappiate quel che si gli convenga, ma perché, dicendo ogni cosa al contrario, come speramo che farete, il gioco sarà piú bello, ché ognun averà che respondervi; onde se un altro che sapesse piú di voi avesse questo carico, non si gli potrebbe contradir cosa alcuna perché diria la verità, e cosí il gioco saria freddo -. Súbito rispose il Conte: - Signora, non ci saria pericolo che mancasse contradizione a chi dicesse la verità, stando voi qui presente -; ed essendosi di questa ri sposta alquanto riso, seguitò: - Ma io veramente, Signora, molto volontier fuggirei questa fatica, parendomi troppo difficile e conoscendo in me ciò che voi avete per burla detto esser verissimo, cioè ch'io non sappia quello che a bon cortegian si conviene; e questo con altro testimonio non cerco di provare, perché, non facendo l'opere, si po estimar ch'io nol sappia; ed io credo che sia minor biasmo mio, perché senza dubbio peggio è non voler far bene, che non saperlo fare. Pur, essendo cosí che a voi piaccia che io abbia questo carico, non posso né voglio rifiutarlo, per non contravenir all'ordine e giudicio vostro, il quale estimo piú assai che 'l mio -. Allor messer Cesare Gonzaga, - Perché già, - disse, - è passata bon'ora di notte e qui son apparecchiate molte altre sorti di piaceri, forse bon sarà differir questo ragionamento a domani e darassi tempo al Conte di pensar ciò ch'egli s'abbia a dire; ché in vero di tal subietto parlare improviso è difficil cosa -. Rispose il Conte: - Io non voglio far come colui, che spogliatosi in giuppone saltò meno che non avea fatto col saio; e perciò parmi gran ventura che l'ora sia tarda, perché per la brevità del tempo sarò sforzato a parlar poco e 'l non avervi pensato mi escuserà talmente che mi sarà licito dir senza biasimo tutte le cose che prima mi verranno alla bocca. Per non tener adunque piú lungamente questo carico di obligazione sopra le spalle, dico che in ogni cosa tanto è difficil il conoscer la vera perfezion, che quasi è impossibile; e questo per la varietà de' giudici. Però si ritrovano molti, ai quali sarà grato un omo che parli assai, e quello chiameranno piacevole; alcuni si diletteranno piú della modestia; alcun'altri d'un omo attivo ed inquieto; altri di chi in ogni cosa mostri riposo e considerazione; e cosí ciascuno sempre coprendo il vicio lauda e vitupera secondo il parer suo, col nome della propinqua virtú, o la virtú col nome del propinquo vicio; come chiamando un prosuntuoso, libero; un modesto, àrrido; un nescio, bono; un scelerato, prudente; e medesimamente nel resto. Pur io estimo in ogni cosa esser la sua perfezione, avvenga che nascosta; e questa potersi con ragionevoli discorsi giudicar da chi di quella tal cosa ha notizia. E perché, come ho detto, spesso la verità sta occulta ed io non mi vanto aver questa cognizione, non posso laudar se non quella sorte di cortegiani ch'io piú apprezzo, ed approvar quello che mi par piú simile al vero, secondo il mio poco giudicio; il qual seguitarete, se vi parerà bono, o vero v'attenerete al vostro, se egli sarà dal mio diverso. Né io già contrasterò che 'l mio sia migliore del vostro; ché non solamente a voi po parer una cosa ed a me un'altra, ma a me stesso poria parer or una cosa ed ora un'altra.