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Carlo Goldoni La cameriera brillante IntraText CT - Lettura del testo |
ARG. L'amore, per quel ch'io sento, è una cosa che fa ridere e che fa piangere. Io però finora non ho mai pianto; e spero che per questa ragione non piangerò. Io faccio all'amore, come si fa quando ascoltasi una commedia. Fin che mi dà piacere, l'ascolto; quando principia ad annoiarmi, mi metto in maschera e vado via.
ARG. Se aveste vent'anni di meno, mi vedreste di più.
PANT. Eh za, se fusse più zovene, ve darave in tel genio.
ARG. Non dico per questo; dico, perché non avreste bisogno d'occhiali.
PANT. Coss'è sti occhiali? Ghe vedo più de vu, patrona.
ARG. È vero; ci vedete assai più di me. Perché, se io rido, mi vedete i denti. Se voi ridete, io non ve li vedo.
PANT. Voleu zogar che ve dago una sleppa?
ARG. Volete giocare ch'io me la lascio dare?
ARG. Ma sono la vostra cara Argentina.
PANT. Barona! sempre ti me strapazzi.
ARG. Ve ne avete a male, perché qualche volta vi dico che siete vecchio?
PANT. Siora sì, me n'ho per mal.
ARG. Quando è così, bisogna rompere tutti i specchi di casa.
PANT. Cossa songio? un cadavero? un mostro?
ARG. Non signore; siete il più bel vecchietto di questo mondo.
PANT. E dai co sto vecchio: ti xe una temeraria.
ARG. Ma sono la vostra cara Argentina.
PANT. Galiottazza! te bastonerò.
ARG. Se volete bastonare una galeotta!
PANT. No ti parli, che no ti dighi un sproposito.
PANT. Sì, tasi, che ti farà ben.
ARG. Voleva dirvi una cosa, ma non la dico più.
PANT. La sarà qualche impertinenza al solito.
ARG. Anzi era una cosa bella bella, la più bella di questo mondo.
PANT. No me far andar in collera.
ARG. Non la dico certo. È una cosa che vi darebbe gusto; ma non la dico.
PANT. Se no ti me la disi, no te vardo mai più.
ARG. Ve la dirò e non ve la dirò.
PANT. Colle man? Via mo. (s'accosta ad Argentina)
PANT. Ma come colle man alla larga?
ARG. Non sapete voi parlar colle mani?
PANT. Sì ben; me l'arrecordo co giera putello.
ARG. Osservate. (alza le due dita indice e medio)
PANT. I, vi...
ARG. (Alza nuovamente due dita, indice e medio)
ARG. (Forma un cerchio colle due dita pollice e indice)
ARG. (Tocca coll'indice ed il pollice l'estremità dell'orecchia)
PANT. I.
ARG. (Torna a far cerchio col pollice e coll'indice)
PANT. O, voglio. Vi Voglio. Cossa voleu?
ARG. (Piega il dito medio inarcato, accostandolo alla metà dell'indice)
ARG. (Accosta l'indice all'occhio)
ARG. (Stacca dalle altre dita l'indice e il medio, e li stende colle punte all'ingiù)
PANT. N. (principia a rallegrarsi)
ARG. (Torna a toccar sotto l'occhio coll'indice)
PANT. E, ne, bene. Me voleu ben, cara?
ARG. (Colla mano dritta si tocca il petto)
ARG. (Fa il cerchio coll'indice ed il pollice)
ARG. (Fa un semicircolo colle due dita suddette)
PANT. C. (principia a rattristarsi)
ARG. (Fa il cerchio rotondo, come sopra)
PANT. O, co, poco. (melanconico)
ARG. (Alza le due dita indice e medio)
PANT. V. (melanconico)
ARG. (Fa il cerchio, come sopra)
PANT. O.
PANT. I, voi.
ARG. (Forma mezzo cerchio col pollice e l'indice e l'accosta alla bocca, così che le punte del mezzo cerchio toccano i laterali delle labbra)
PANT. A.
ARG. (stacca tre dita dalle altre, pollice, indice e medio, e le rivolta colle punte in giù)
ARG. (Accosta l'indice all'occhio)
PANT. E, me, voi a me...
ARG. (Abbassa le due punte dell'indice e del medio)
PANT. N.
PANT. I.
ARG. (Accosta l'indice all'occhio)
PANT. E.
ARG. (Torna ad abbassar le due punte dell'indice e del medio)
PANT. N.
ARG. (Attraversa l'indice della mano dritta a quello della mano sinistra)
ARG. (Torna ad accostar l'indice all'occhio)
PANT. E, te, niente. Mi gnente? Aspettè. (fa diverse figure colle dita per esprimersi, ma non esprime niente di bene) Mi... a vu... tanto... che... mai... più... Ve lo digo colle man, colla bocca, col cuor e colle visceronazze.
ARG. Mi date licenza ch'io parli?
PANT. Giera meggio che ti tasessi.
ARG. Se mi volete bene, n'avete da far un piacere.
ARG. Ho veduto passeggiar nel cortile il signor Ottavio; l'avete da ricevere e gli avete da far buona ciera.
PANT. Te l'ho dito delle altre volte: mi no vôi seccature. Vegno in campagna per gòder la mia libertà, no vôi visite, no vôi complimenti, no vôi nissun.
ARG. Mi avete pur promesso di riceverlo.
PANT. Ho dito de sì, perché colle to smorfie ti m'ha fatto dir de sì per forza. Ma te digo che no voggio nissun.
PANT. O sofistico, o altro, la voggio cussì.
ARG. Siete peggio d'un satiro.
PANT. Son chi son, e no me stè a seccar.
ARG. Più che andate in là, più diventate rabbioso.
PANT. Vustu taser, frasconazza?
ARG. Siete insoffribile.
PANT. A mi, desgraziada?
ARG. Ma sono la vostra cara Argentina. (ridendo con grazia)
PANT. (Siestu maledetta! co son per andar in collera, la me fa zo). (da sé)
ARG. Ma sono la vostra cara Argentina.
PANT. Sì, baronazza, sì, te voggio ben... ma ti gh'ha una lengua...
ARG. E mi farete questo piacere. (con vezzo)
ARG. Di ricevere il signor Ottavio. (come sopra)
PANT. Ma cossa t'importa a ti?...
ARG. Sì,lo riceverà il mio caro papà. (gli fa dei vezzi)
ARG. Il papà vuol bene alla tatta.
ARG. Lo riceverà il nonno; lo riceverà.
PANT. Vustu fenirla co sto dirme nonno?
ARG. Il nonnino bello, il papà bello, il padrone bello, che mi vuol tanto bene! Eccolo, eccolo. Venga, signor Ottavio. Signor sì, per la sua Argentina lo riceverà. Oh, guardate, chi dice che non mi vuol bene? Signor sì; mi vuol tanto bene, e per amor mio lo riceverà. Caro papà! lo riceverà. (parte)