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Carlo Goldoni
La cameriera brillante

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SCENA TREDICESIMA

 

Argentina e detti.

 

ARG. Che fa il signor Florindo, che non viene a tavola?

FLOR. Non vengo certo.

ARG. Ma perché, signore?

TRACC. L'è impegnà, védela.

ARG. Con chi?

TRACC. Con mi, padrona.

ARG. Eh via...

FLOR. Sì, cara Argentina. Mi faranno più piacere, se mi manderanno qualche cosa da mangiare con questo galantuomo.

TRACC. La s'arrecorda che semo in do. (a Florindo)

ARG. Signor Florindo, sentite una parola, che nessuno senta.

FLOR. Dite, dite.

ARG. No, nell'orecchio, che nessuno senta.

FLOR. Via, dite. (s'accosta all'orecchio)

ARG. Siete un bel porco. (forte)

TRACC. Mi non ho sentido.

FLOR. Non me n'ho a male di niente, io. Da Argentina ricevo tutto.

ARG. Via, dico, andate a tavola.

FLOR. Ma non sarebbe meglio che veniste voi da me con questo galantuomo...

ARG. Siete aspettato dal signor Pantalone.

FLOR. Avete pur detto che ci sareste venuta.

ARG. Se non andate, vi mando.

FLOR. Davvero. Ci ho del genio con voi.

TRACC. Anca mi gh'ho della simpatia co sta zovene.

ARG. Se avete genio per me, andate subito dal signor Pantalone; andate, vi dico, non me lo fate dire un'altra volta, che mi farete montar in bestia.

FLOR. Vado, vado; per amor vostro ci vado. Fo più stima di voi, che di quante cuffie ci sono. (parte)

 

 




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