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Carlo Goldoni
Il geloso avaro

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

Traccagnino e detti.

 

TRACC. Sior.

PANT. (Resta qua, fin che torno: varda che sto sior no portasse via qualcossa). (parte)

LUI. Traccagnino, che ha la tua padrona?

TRACC. La sta ben, per servirla.

LUI. (Pantalone bugiardo!) (da sé) Sai che le dolga il capo?

TRACC. Mi credo de no.

LUI. (Se continua a burlarsi di me, voglio che se ne penta). (da sé)

TRACC. No so se vossignoria sia informada de un certo ducato.

LUI. So che Brighella ti ha donato un ducato.

TRACC. No so se la sappia, che quel ducato no l'era mio.

LUI. E di chi era dunque?

TRACC. I dise cussì che l'era de Arzentina, cameriera della patrona; e mi poveromo son restà senza.

LUI. Chi ha detto che quel ducato non fosse tuo, ma si dovesse alla cameriera?

TRACC. L'ha dit la patrona; l'è stada li che ha fatto sta giustizia.

LUI. (Dunque donna Eufemia sa le mance ch'io do, sa la premura che ho per lei, e l'approva; non occorr'altro, siamo a cavallo). (da sé)

TRACC. E cussì, sior, mi son restà senza el ducato.

LUI. Eccone un altro, e di più se vuoi.

TRACC. La fazza ella; mi no dirò mai basta. L'è qua el patron. Vago via, ghe son servitor. (parte)

LUI. Ecco Pantalone con donna Eufemia. Per quel ch'io vedo, il denaro può tutto. Quasi, quasi, questa troppa facilità mi raffredda. La credeva più sostenuta; e quei stolti dicevano: non farete niente.

 

 




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