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Giacomo Leopardi
Operette morali

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IV PROPOSTA DI PREMI FATTA DALL’ACCADEMIA DEI SILLOGRAFI

L’Accademia dei Sillografi attendendo di continuo, secondo il suo principale instituto,

a procurare con ogni suo sforzo l’utilità comune, e stimando niuna cosa essere più

conforme a questo proposito che aiutare e promuovere gli andamenti e le inclinazioni

Del fortunato secolo in cui siamo,

come dice un poeta illustre; ha tolto a considerare diligentemente le qualità e l’indole

del nostro tempo, e dopo lungo e maturo esame si è risolta di poterlo chiamare l’età

delle macchine, non solo perché gli uomini di oggidì procedono e vivono forse più

meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo numero

delle macchine inventate di fresco ed accomodate o che si vanno tutto giorno trovando

ed accomodando a tanti e così vari esercizi, che oramai non gli uomini ma le

macchine, si può dire, trattano le cose umane e fanno le opere della vita. Del che la

detta Accademia prende sommo piacere, non tanto per le comodità manifeste che ne

risultano, quanto per due considerazioni che ella giudica essere importantissime,

quantunque comunemente non avvertite. L’una si è che ella confida dovere in successo

di tempo gli uffici e gli usi delle macchine venire a comprendere oltre che le

cose materiali, anche le spirituali; onde nella guisa che per virtù di esse macchine

siamo già liberi e sicuri dalle offese dei fulmini e delle grandini, e da molti simili mali

e spaventi, così di mano in mano si abbiano a ritrovare, per modo di esempio (e

facciasi grazia alla novità dei nomi), qualche parainvidia, qualche paracalunnie o

paraperfidia o parafrodi, qualche filo di salute o altro ingegno che ci scampi dall’egoismo,

dal predominio della mediocrità, dalla prospera fortuna degl’insensati, de’ ribaldi

e de’ vili, dall’universale noncuranza e dalla miseria de’ saggi, de’ costumati e de’

magnanimi, e dagli altri sì fatti incomodi, i quali da parecchi secoli in qua sono

meno possibili a distornare che già non furono gli effetti dei fulmini e delle grandini.

L’altra cagione e la principale si è che disperando la miglior parte dei filosofi di

potersi mai curare i difetti del genere umano, i quali, come si crede, sono assai maggiori

e in più numero che le virtù; e tenendosi per certo che sia piuttosto possibile di

rifarlo del tutto in una nuova stampa, o di sostituire in suo luogo un altro, che di

emendarlo; perciò l’Accademia dei Sillografi reputa essere espedientissimo che gli

uomini si rimuovano dai negozi della vita il più che si possa, e che a poco a poco

dieno luogo, sottentrando le macchine in loro scambio. E deliberata di concorrere

con ogni suo potere al progresso di questo nuovo ordine delle cose, propone per ora

tre premi a quelli che troveranno le tre macchine infrascritte.

L’intento della prima sarà di fare le parti e la persona di un amico, il quale non

biasimi e non motteggi l’amico assente; non lasci di sostenerlo quando l’oda riprendere

o porre in giuoco; non anteponga la fama di acuto e di mordace, e l’ottenere il

riso degli uomini, al debito dell’amicizia; non divulghi, o per altro effetto o per aver

materia da favellare o da ostentarsi, il segreto commessogli; non si prevalga della

familiarità e della confidenza dell’amico a soppiantarlo e soprammontarlo più facilmente;

non porti invidia ai vantaggi di quello; abbia cura del suo bene e di ovviare o

di riparare a’ suoi danni, e sia pronto alle sue domande e a’ suoi bisogni, altrimenti

che in parole. Circa le altre cose nel comporre questo automato si avrà l’occhio ai

trattati di Cicerone e della Marchesa di Lambert sopra l’amicizia. L’Accademia pensa

che l’invenzione di questa così fatta macchina non debba essere giudicataimpossibile,

né anche oltre modo difficile, atteso che, lasciando da parte gli automati del

Regiomontano, del Vaucanson e di altri, e quello che in Londra disegnava figure e

ritratti, e scriveva quanto gli era dettato da chiunque si fosse; più d’una macchina si

e veduta che giocava agli scacchi per sé medesima. Ora a giudizio di molti savi, la vita

umana è un giuoco, ed alcuni affermano che ella è cosa ancora più lieve, e che tra le

altre, la forma del giuoco degli scacchi è più secondo ragione, e i casi più

prudentemente ordinati che non sono quelli di essa vita. La quale oltre a ciò, per

detto di Pindaro, non essendo cosa di più sostanza che un sogno di un’ombra, ben

debbe esserne capace la veglia di un automato. Quanto alla favella, pare che non si

possa volgere in dubbio che gli uomini abbiano facoltà di comunicarla alle macchine

che essi formano, conoscendosi questa cosa da vari esempi, e in particolare da ciò che

si legge della statua di Mennone e della testa fabbricata da Alberto magno, la quale

eraloquace, che perciò san Tommaso di Aquino, venutagli in odio, la ruppe. E se

il pappagallo di Nevers, con tutto che fosse una bestiolina, sapeva rispondere e favellare

a proposito, quanto maggiormente è da credere che possa fare questi medesimi effetti

una macchina immaginata dalla mente dell’uomo e construtta dalle sue mani; la

quale già non debbe essere così linguacciuta come il pappagallo di Nevers ed altri

simili che si veggono e odono tutto giorno, né come la testa fatta da Alberto magno,

non le convenendo infastidire l’amico e muoverlo a fracassarla. L’inventore di questa

macchina riporterà in premio una medaglia d’oro di quattrocento zecchini di peso,

la quale da una banda rappresenterà le immagini di Pilade e di Oreste, dall’altra il

nome del premiato col titolo: PRIMO VERIFICATORE DELLE FAVOLE ANTICHE.

La seconda macchina vuol essere un uomo artificiale a vapore, atto e ordinato a fare

opere virtuose e magnanime. L’Accademia reputa che i vapori, poiché altro mezzo

non pare che vi si trovi, debbano essere di profitto a infervorare un semovente e

indirizzarlo agli esercizi della virtù e della gloria. Quegli che intraprenderà di fare

questa macchina, vegga i poemi e i romanzi, secondo i quali si dovrà governare circa

le qualità e le operazioni che si richieggono a questo automato. Il premio sarà una

medaglia d’oro di quattrocento cinquanta zecchini di peso, stampatavi in sul ritto

qualche immaginazione significativa della età d’oro e in sul rovescio il nome dell’inventore

della macchina con questo titolo ricavato dalla quarta egloga di Virgilio,

QVO FERREA PRIMVM DESINET AC TOTO SVRGET GENS AVREA MVNDO.

La terza macchina debbe essere disposta a fare gli uffici di una donna conforme a

quella immaginata, parte dal conte Baldassar Castiglione, il quale descrisse il suo

concetto nel libro del Cortegiano, parte da altri, i quali ne ragionarono in vari scritti

che si troveranno senza fatica, e si avranno a consultare e seguire, come eziandio

quello del Conte. Né anche l’invenzione di questa macchina dovrà parere impossibile

agli uomini dei nostri tempi, quando pensino che Pigmalione in tempi antichissimi

ed alieni dalle scienze si poté fabbricare la sposa colle proprie mani, la quale si

tiene che fosse la miglior donna che sia stata insino al presente. Assegnasi all’autore

di questa macchina una medaglia d’oro in peso di cinquecento zecchini, in sulla

quale sarà figurata da una faccia l’araba fenice del Metastasio posata sopra una pianta

di specie europea, dall’altra parte sarà scritto il nome del premiato col titolo: INVENTORE

DELLE DONNE FEDELI E DELLA FELICITÁ CONIUGALE.

L’Accademia ha decretato che alle spese che occorreranno per questi premi, suppliscasi

con quanto fu ritrovato nella sacchetta di Diogene, stato segretario di essa Accademia,

o con uno dei tre asini d’oro che furono di tre Accademici sillografi, cioè a dire

di Apuleio, del Firenzuola e del Macchiavelli; tutte le quali robe pervennero ai Sillografi

per testamento dei suddetti, come si legge nella storia dell’Accademia.




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