Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giacomo Leopardi
Operette morali

IntraText CT - Lettura del testo

Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

VII DIALOGO DELLA NATURA E DI UN’ANIMA

Natura. Va, figliuola mia prediletta, che tale sarai tenuta e chiamata per lungo ordine

di secoli. Vivi, e sii grande e infelice.

ima. Che male ho io commesso prima di vivere, che tu mi condanni a cotesta pena?

Natura. Che pena, figliuola mia?

Anima. Non mi prescrivi tu di essere infelice?

Natura. Ma in quanto che io voglio che tu sii grande, e non si può questo senza

quello. Oltre che tu sei destinata a vivificare un corpo umano; e tutti gli uomini per

necessità nascono e vivono infelici.

Anima. Ma in contrario saria di ragione che tu provvedessi in modo, che eglino

fossero felici per necessità; o non potendo far questo, ti si converrebbe astenere da

porli al mondo.

Natura. Né l’una né l’altra cosa è in potestà mia, che sono sottoposta al fato; il quale

ordina altrimenti, qualunque se ne sia la cagione; che né tu né io non la possiamo

intendere. Ora, come tu sei stata creata e disposta a informare una persona umana,

già qualsivoglia forza, né mia né d’altri, non è potente a scamparti dall’infelicità

comune degli uomini. Ma oltre di questa, te ne bisognerà sostenere una propria, e

maggiore assai, per l’eccellenza della quale io t’ho fornita.

Anima. Io non ho ancora appreso nulla; cominciando a vivere in questo punto: e da

ciò dee provenire ch’io non t’intendo. Ma dimmi, eccellenza e infelicità straordinaria

sono sostanzialmente una cosa stessa? o quando sieno due cose, non le potresti tu

scompagnare l’una dall’altra?

Natura. Nelle anime degli uomini, e proporzionatamente in quelle di tutti i generi di

animali, si può dire che l’una e l’altra cosa sieno quasi il medesimo: perché l’eccellenza

delle anime importa maggiore intensione della loro vita; la qual cosa importa

maggior sentimento dell’infelicità propria; che e come se io dicessi maggiore infelicità.

Similmente la maggior vita degli animi inchiude maggiore efficacia di amor proprio,

dovunque esso s’inclini, e sotto qualunque volto si manifesti: la qual maggioranza

di amor proprio importa maggior desiderio di beatitudine, e però maggiore

scontento e affanno di esserne privi, e maggior dolore delle avversità che sopravvengono.

Tutto questo è contenuto nell’ordine primigenio e perpetuo delle cose create,

il quale io non posso alterare. Oltre di ciò, la finezza del tuo proprio intelletto, e la

vivacità dell’immaginazione, ti escluderanno da una grandissima parte della signoria

di te stessa. Gli animali bruti usano agevolmente ai fini che eglino si propongono,

ogni loro facoltà e forza. Ma gli uomini rarissime volte fanno ogni loro potere; impediti

ordinariamente dalla ragione e dall’immaginativa; le quali creano mille dubbietà

nel deliberare, e mille ritegni nell’eseguire. I meno atti o meno usati a ponderare e

considerare seco medesimi, sono i più pronti al risolversi, e nell’operare i più efficaci.

Ma le tue pari, implicate continuamente in loro stesse, e come soverchiate dalla

grandezza delle proprie facoltà, e quindi impotenti di se medesime, soggiacciono il

più del tempo all’irresoluzione, così deliberando come operando: la quale è l’uno dei

maggiori travagli che affliggano la vita umana. Aggiungi che mentre per l’eccellenza

delle tue disposizioni trapasserai facilmente e in poco tempo, quasi tutte le altre della

tua specie nelle conoscenze più gravi, e nelle discipline anco difficilissime, nondimeno

ti riuscirà sempre o impossibile o sommamente malagevole di apprendere o di

porre in pratica moltissime cose menome in sé, ma necessarissime al conversare cogli

altri uomini; le quali vedrai nello stesso tempo esercitare perfettamente ed apprendere

senza fatica da mille ingegni, non solo inferiori a te, ma spregevoli in ogni modo.

Queste ed altre infinite difficoltà e miserie occupano e circondano gli animi grandi.

Ma elle sono ricompensate abbondantemente dalla fama, dalle lodi e dagli onori che

frutta a questi egregi spiriti la loro grandezza, e dalla durabilità della ricordanza che

essi lasciano di sé ai loro posteri.

Anima. Ma coteste lodi e cotesti onori che tu dici, gli avrò io dal cielo, o da te, o da

chi altro?

Natura. Dagli uomini: perché altri che essi non li può dare.

Anima. Ora vedi, io mi pensava che non sapendo fare quello che è necessarissimo,

come tu dici, al commercio cogli altri uomini, e che riesce anche facile insino ai più

poveri ingegni; io fossi per essere vilipesa e fuggita, non che lodata, dai medesimi

uomini; o certo fossi per vivere sconosciuta a quasi tutti loro, come inetta al consorzio

umano.

Natura. A me non è dato prevedere il futuro, né quindi anche prenunziarti infallibilmente

quello che gli uomini sieno per fare e pensare verso di te mentre sarai sulla

terra. Ben è vero che dall’esperienza del passato io ritraggo per lo più verisimile, che

essi ti debbano perseguitare coll’invidia; la quale è un’altra calamità solita di farsi

incontro alle anime eccelse; ovvero ti sieno per opprimere col dispregio e la noncuranza.

Oltre che la stessa fortuna, e il caso medesimo, sogliono essere inimici delle

tue simili. Ma subito dopo la morte, come avvenne ad uno chiamato Camoens, o al

più di quivi ad alcuni anni, come accadde a un altro chiamato Milton, tu sarai celebrata

e levata al cielo, non dirò da tutti, ma, se non altro, dal piccolo numero degli

uomini di buon giudizio. E forse le ceneri della persona nella quale tu sarai dimorata,

riposeranno in sepoltura magnifica; e le sue fattezze, imitate in diverse guise, andranno

per le mani degli uomini; e saranno descritti da molti, e da altri mandati a memoria

con grande studio, gli accidenti della sua vita; e in ultimo tutto il mondo civile

sarà pieno del nome suo. Eccetto se dalla malignità della fortuna, o dalla

soprabbondanza medesima delle tue facoltà, non sarai stata perpetuamente impedita

di mostrare agli uomini alcun proporzionato segno del tuo valore: di che non sono

mancati per verità molti esempi, noti a me sola ed al fato.

Anima. Madre mia, non ostante l’essere ancora priva delle altre cognizioni, io sento

tuttavia che il maggiore, anzi il solo desiderio che tu mi hai dato, è quello della

felicità. E posto che io sia capace di quel della gloria, certo non altrimenti posso

appetire questo, non so se io mi dica bene o male, se non solamente come felicità, o

come utile ad acquistarla. Ora, secondo le tue parole, l’eccellenza della quale tu m’hai

dotata, ben potrà essere o di bisogno o di profitto al conseguimento della gloria; ma

non però mena alla beatitudine, anzi tira violentemente all’infelicità. Né pure alla

stessa gloria è credibile che mi conduca innanzi alla morte: sopraggiunta la quale,

che utile o che diletto mi potrà pervenire dai maggiori beni del mondo? E per ultimo,

può facilmente accadere, come tu dici, che questa sì ritrosa gloria, prezzo di

tanta infelicità, non mi venga ottenuta in maniera alcuna, eziandio dopo la morte.

Di modo che dalle tue stesse parole io conchiudo che tu, in luogo di amarmi singolarmente,

come affermavi a principio, mi abbi piuttosto in ira e malevolenza maggiore

che non mi avranno gli uomini e la fortuna mentre sarò nel mondo; poiché

non hai dubitato di farmi così calamitoso dono come è cotesta eccellenza che tu mi

vanti. La quale Sarà l’uno dei principali ostacoli che mi vieteranno di giungere al mio

solo intento, cioè alla beatitudine.

Natura. Figliuola mia; tutte le anime degli uomini, come io ti diceva, sono assegnate

in preda all’infelicità, senza mia colpa. Ma nell’universale miseria della condizione

umana, e nell’infinita vanità di ogni suo diletto e vantaggio, la gloria è giudicata dalla

miglior parte degli uomini il maggior bene che sia concesso ai mortali, e il più degno

oggetto che questi possano proporre alle cure e alle azioni loro. Onde, non per odio,

ma per vera e speciale benevolenza che ti avea posta, io deliberai di prestarti al conseguimento

di questo fine tutti i sussidi che erano in mio potere.

Anima. Dimmi: degli animali bruti, che tu menzionavi, è per avventura alcuno fornito

di minore vitalità e sentimento che gli uomini?

Natura. Cominciando da quelli che tengono della pianta, tutti sono in cotesto, gli

uni più, gli altri meno, inferiori all’uomo; il quale ha maggior copia di vita, e maggior

sentimento, che niun altro animale; per essere di tutti i viventi il più perfetto.

Anima. Dunque alluogami, se tu m’ami, nel più imperfetto: o se questo non puoi,

spogliata delle funeste doti che mi nobilitano, fammi conforme al più stupido e

insensato spirito umano che tu producessi in alcun tempo.

Natura. Di cotesta ultima cosa io ti posso compiacere; e sono per farlo; poiché tu

rifiuti l’immortalità, verso la quale io t’aveva indirizzata.

Anima. E in cambio dell’immortalità, pregoti di accelerarmi la morte il più che si

possa.

Natura. Di cotesto conferirò col destino.




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License