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Giacomo Leopardi Operette morali IntraText CT - Lettura del testo |
XVI DIALOGO DI CRISTOFORO COLOMBO E DI PIETRO GUTIERREZ
Gutierrez. Bella in verità: e credo che a vederla da terra, sarebbe più bella.
Colombo. Benissimo: anche tu sei stanco del navigare.
Gutierrez. Non del navigare in ogni modo; ma questa navigazione mi riesce più
lunga che io non aveva creduto, e mi dà un poco di noia. Contuttociò non hai da
pensare che io mi dolga di te, come fanno gli altri. Anzi tieni per certo che qualunque
deliberazione tu sia per fare intorno a questo viaggio, sempre ti seconderò, come
per l’addietro, con ogni mio potere. Ma, così per via di discorso, vorrei che tu mi
dichiarassi precisamente, con tutta sincerità, se ancora hai così per sicuro come a
principio, di avere a trovar paese in questa parte del mondo; o se, dopo tanto tempo
e tanta esperienza in contrario, cominci niente a dubitare.
Colombo. Parlando schiettamente, e come si può con persona amica e segreta, confesso
che sono entrato un poco in forse: tanto più che nel viaggio parecchi segni che
mi avevano dato speranza grande, mi sono riusciti vani; come fu quel degli uccelli
che ci passarono sopra, venendo da ponente, pochi dì poi che fummo partiti da
Gomera, e che io stimai fossero indizio di terra poco lontana. Similmente, ho veduto
di giorno in giorno che l’effetto non ha corrisposto a più di una congettura e più di
un pronostico fatto da me innanzi che ci ponessimo in mare, circa a diverse cose che
ci sarebbero occorse, credeva io, nel viaggio. Però vengo discorrendo, che come questi
pronostici mi hanno ingannato, con tutto che mi paressero quasi certi; così potrebbe
essere che mi riuscisse anche vana la congettura principale, cioè dell’avere a
trovar terra di là dall’Oceano. Bene è vero che ella ha fondamenti tali, che se pure è
falsa, mi parrebbe da un canto che non si potesse aver fede a nessun giudizio umano,
eccetto che esso non consista del tutto in cose che si veggano presentemente e si
tocchino. Ma da altro canto, considero che la pratica si discorda spesso, anzi il più
delle volte, dalla speculazione: e anche dico fra me: che puoi tu sapere che ciascuna
parte del mondo si rassomigli alle altre in modo, che essendo l’emisfero d’oriente
occupato parte dalla terra e parte dall’acqua, seguiti che anche l’occidentale debba
essere diviso tra questa e quella? che puoi sapere che non sia tutto occupato da un
mare unico e immenso? o che in vece di terra, o anco di terra e d’acqua, non contenga
qualche altro elemento? Dato che abbia terre e mari come l’altro, non potrebbe
essere che fosse inabitato? anzi inabitabile? Facciamo che non sia meno abitato del
nostro: che certezza hai tu che vi abbia creature razionali, come in questo? e quando
pure ve ne abbia, come ti assicuri che sieno uomini, e non qualche altro genere di
animali intellettivi? ed essendo uomini; che non sieno differentissimi da quelli che tu
conosci? ponghiamo caso, molto maggiori di corpo, più gagliardi, più destri; dotati
naturalmente di molto maggiore ingegno e spirito; anche, assai meglio inciviliti, e
ricchi di molta più scienza ed arte? Queste cose vengo pensando fra me stesso. E per
verità, la natura si vede essere fornita di tanta potenza, e gli effetti di quella essere così
vari e moltiplici, che non solamente non si può fare giudizio certo di quel che ella
abbia operato ed operi in parti lontanissime e del tutto incognite al mondo nostro,
ma possiamo anche dubitare che uno s’inganni di gran lunga argomentando da questo
a quelle, e non sarebbe contrario alla verisimilitudine l’immaginare che le cose
del mondo ignoto, o tutte o in parte, fossero maravigliose e strane a rispetto nostro.
Ecco che noi veggiamo cogli occhi propri che l’ago in questi mari declina dalla stella
per non piccolo spazio verso ponente: cosa novissima, e insino adesso inaudita a tutti
i navigatori; della quale, per molto fantasticarne, io non so pensare una ragione che
mi contenti. Non dico per tutto questo, che si abbia a prestare orecchio alle favole
degli antichi circa alle maraviglie del mondo sconosciuto, e di questo Oceano; come,
per esempio, alla favola dei paesi narrati da Annone, che la notte erano pieni di
fiamme, e dei torrenti di fuoco che di là sboccavano nel mare: anzi veggiamo quanto
sieno stati vani fin qui tutti i timori di miracoli e di novità spaventevoli, avuti dalla
nostra gente in questo viaggio; come quando, al vedere quella quantità di alghe, che
pareva facessero della marina quasi un prato, e c’impedivano alquanto l’andare innanzi,
pensarono essere in sugli ultimi confini del mar navigabile. Ma voglio solamente
inferire, rispondendo alla tua richiesta, che quantunque la mia congettura sia
fondata in argomenti probabilissimi, non solo a giudizio mio, ma di molti geografi,
astronomi e navigatori eccellenti, coi quali ne ho conferito, come sai, nella Spagna,
nell’Italia e nel Portogallo; nondimeno potrebbe succedere che fallasse: perché, torno
a dire, veggiamo che molte conclusioni cavate con ottimi discorsi, non reggono all’esperienza;
e questo interviene più che mai, quando elle appartengono a cose intorno
alle quali si ha pochissimo lume.
Gutierrez. Di modo che tu, in sostanza, hai posto la tua vita, e quella de’ tuoi compagni,
in sul fondamento di una semplice opinione speculativa.
Colombo. Così è: non posso negare. Ma, lasciando da parte che gli uomini tutto
giorno si mettono a pericolo della vita con fondamenti più deboli di gran lunga, e
per cose di piccolissimo conto, o anche senza pensarlo; considera un poco. Se al
presente tu, ed io, e tutti i nostri compagni, non fossimo in su queste navi, in mezzo
di questo mare, in questa solitudine incognita, in istato incerto e rischioso quanto si
voglia; in quale altra condizione di vita ci troveremmo essere? in che saremmo occupati?
in che modo passeremmo questi giorni? Forse più lietamente? o non saremmo
anzi in qualche maggior travaglio o sollecitudine, ovvero pieni di noia? Che vuol dire
uno stato libero da incertezza e pericolo? se contento e felice, quello è da preferire a
qualunque altro; se tedioso e misero, non veggo a quale altro stato non sia da posporre.
Io non voglio ricordare la gloria e l’utilità che riporteremo, succedendo l’impresa
in modo conforme alla speranza. Quando altro frutto non ci venga da questa navigazione,
a me pare che ella ci sia profittevolissima in quanto che per un tempo essa ci
tiene liberi dalla noia, ci fa cara la vita, ci fa pregevoli molte cose che altrimenti non
avremmo in considerazione. Scrivono gli antichi, come avrai letto o udito, che gli
amanti infelici, gittandosi dal sasso di Santa Maura (che allora si diceva di Leucade)
giù nella marina, e scampandone; restavano, per grazia di Apollo, liberi dalla passione
amorosa. Io non so se egli si debba credere che ottenessero questo effetto; ma so
bene che, usciti di quel pericolo, avranno per un poco di tempo, anco senza il favore
di Apollo, avuta cara la vita che prima avevano in odio; o pure avuta più cara e più
pregiata che innanzi. Ciascuna navigazione è, per giudizio mio, quasi un salto dalla
rupe di Leucade; producendo le medesime utilità, ma più durevoli che quello non
produrrebbe; al quale, per questo conto, ella è superiore assai. Credesi comunemente
che gli uomini di mare e di guerra, essendo a ogni poco in pericolo di morire, facciano
meno stima della vita propria, che non fanno gli altri della loro. Io per lo stesso
rispetto giudico che la vita si abbia da molto poche persone in tanto amore e pregio
come da’ navigatori e soldati. Quanti beni che, avendoli, non si curano, anzi quante
cose che non hanno pur nome di beni, paiono carissime e preziosissime ai naviganti,
solo per esserne privi! Chi pose mai nel numero dei beni umani l’avere un poco di
terra che ti sostenga? Niuno, eccetto i navigatori, e massimamente noi, che per la
molta incertezza del successo di questo viaggio, non abbiamo maggior desiderio che
della vista di un cantuccio di terra; questo è il primo pensiero che ci si fa innanzi allo
svegliarci, con questo ci addormentiamo; e se pure una volta ci verrà scoperta da
lontano la cima di un monte o di una foresta, o cosa tale, non capiremo in noi stessi
dalla contentezza; e presa terra, solamente a pensare di ritrovarci in sullo stabile, e di
potere andare qua e là camminando a nostro talento, ci parrà per più giorni essere
Gutierrez. Tutto cotesto è verissimo: tanto che se quella tua congettura speculativa
riuscirà così vera come è la giustificazione dell’averla seguita, non potremo mancar di
godere questa beatitudine in un giorno o l’altro.
Colombo. Io per me, se bene non mi ardisco più di promettermelo sicuramente,
contuttociò spererei che fossimo per goderla presto. Da certi giorni in qua, lo scandaglio,
come sai, tocca fondo; e la qualità di quella materia che gli vien dietro, mi
pare indizio buono. Verso sera, le nuvole intorno al sole, mi si dimostrano d’altra
forma e di altro colore da quelle dei giorni innanzi. L’aria, come puoi sentire, è fatta
un poco più dolce e più tepida di prima. Il vento non corre più, come per l’addietro,
così pieno, né così diritto, né costante; ma piuttosto incerto, e vario, e come fosse
interrotto da qualche intoppo. Aggiungi quella canna che andava in sul mare a galla,
e mostra essere tagliata di poco; e quel ramicello di albero con quelle coccole rosse e
fresche. Anche gli stormi degli uccelli, benché mi hanno ingannato altra volta, nondimeno
ora sono tanti che passano, e così grandi; e moltiplicano talmente di giorno
in giorno; che penso vi si possa fare qualche fondamento; massime che vi si veggono
intramischiati alcuni uccelli che, alla forma, non mi paiono dei marittimi. In somma
tutti questi segni raccolti insieme, per molto che io voglia essere diffidente, mi tengono
pure in aspettativa grande e buona.
Gutierrez. Voglia Dio questa volta, ch’ella si verifichi.