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Giacomo Leopardi Operette morali IntraText CT - Lettura del testo |
XIX FRAMMENTO APOCRIFO DI STRATONE DA LAMPSACO
Questo Frammento, che io per passatempo ho recato dal greco in volgare, è tratto da
un codice a penna che trovavasi alcuni anni sono, e forse ancora si trova, nella libreria
dei monaci del monte Athos. Lo intitolo Frammento apocrifo perché, come ognuno
può vedere, le cose che si leggono nel capitolo della fine del mondo, non possono
essere state scritte se non poco tempo addietro; laddove Stratone da Lampsaco, filosofo
peripatetico, detto il fisico, visse da trecento anni avanti l’era cristiana. E’ ben
vero che il capitolo della origine del mondo concorda a un di presso con quel poco che
abbiamo delle opinioni di quel filosofo negli scrittori antichi. E però si potrebbe
credere che il primo capitolo, anzi forse ancora il principio dell’altro, sieno veramente
di Stratone; il resto vi sia stato aggiunto da qualche dotto Greco non prima del
secolo passato. Giudichino gli eruditi lettori.
Le cose materiali, siccome elle periscono tutte ed hanno fine, così tutte ebbero
incominciamento. Ma la materia stessa niuno incominciamento ebbe, cioè a dire che
ella è per sua propria forza ab eterno. Imperocché se dal vedere che le cose materiali
crescono e diminuiscono e all’ultimo si dissolvono, conchiudesi che elle non sono
per sé né ab eterno, ma incominciate e prodotte, per lo contrario quello che mai non
cresce né scema e mai non perisce, si dovrà giudicare che mai non cominciasse e che
non provenga da causa alcuna. E certamente in niun modo si potrebbe provare che
delle due argomentazioni, se questa fosse falsa, quella fosse pur vera. Ma poiché noi
siamo certi quella esser vera il medesimo abbiamo a concedere anco dell’altra. Ora
noi veggiamo che la materia non si accresce mai di una eziandio menoma quantità,
niuna anco menoma parte della materia si perde, in guisa che essa materia non è
sottoposta a perire. Per tanto i diversi modi di essere della materia, i quali si veggono
in quelle che noi chiamiamo creature materiali, sono caduchi e passeggeri; ma niun
segno di caducità né di mortalità si scuopre nella materia universalmente, e però
niun segno che ella sia cominciata, né che ad essere le bisognasse o pur le bisogni
alcuna causa o forza fuori di sé. Il mondo, cioè l’essere della materia in un cotal
modo, è cosa incominciata e caduca. Ora diremo della origine del mondo.
La materia in universale, siccome in particolare le piante e le creature animate, ha in
sé per natura una o più forze sue proprie, che l’agitano e muovono in diversissime
guise continuamente. Le quali forze noi possiamo congetturare ed anco denominare
dai loro effetti, ma non conoscere in sé, né scoprir la natura loro. Né anche possiamo
sapere se quegli effetti che da noi si riferiscono a una stessa forza, procedano veramente
da una o da più, e se per contrario quelle forze che noi significhiamo con
diversi nomi, sieno veramente diverse forze, o pure una stessa. Siccome tutto dì
nell’uomo con diversi vocaboli si dinota una sola passione o forza: per modo di
esempio, l’ambizione, l’amor del piacere e simili, da ciascuna delle quali fonti derivano
effetti talora semplicemente diversi, talora eziandio contrari a quei delle altre,
sono in fatti una medesima passione, cioè l’amor di se stesso, il quale opera in diversi
casi diversamente. Queste forze adunque o si debba dire questa forza della materia,
movendola, come abbiamo detto, ed agitandola di continuo, forma di essa materia
innumerabili creature, cioè la modifica in variatissime guise. Le quali creature, comprendendole
tutte insieme, e considerandole siccome distribuite in certi generi e
certe specie, e congiunte tra sé con certi tali ordini e certe tali relazioni che provengono
dalla loro natura, si chiamano mondo. Ma imperciocché la detta forza non resta
mai di operare e di modificar la materia, però quelle creature che essa continuamente
forma, essa altresì le distrugge, formando della materia loro nuove creature. Insino a
tanto che distruggendosi le creature individue, i generi nondimeno e le specie delle
medesime si mantengono, o tutte o le più, e che gli ordini e le relazioni naturali delle
cose non si cangiano o in tutto o nella più parte, si dice durare ancora quel cotal
mondo. Ma infiniti mondi nello spazio infinito della eternità, essendo durati più o
men tempo, finalmente sono venuti meno, perdutisi per li continui rivolgimenti
della materia, cagionati dalla predetta forza, quei generi e quelle specie onde essi
mondi si componevano, e mancate quelle relazioni e quegli ordini che li governavano.
Né perciò la materia è venuta meno in qual si sia particella, ma solo sono mancati
que’ suoi tali modi di essere, succedendo immantinente a ciascuno di loro un altro
modo, cioè un altro mondo, di mano in mano.
Questo mondo presente del quale gli uomini sono parte, cioè a dir l’una delle specie
delle quali esso è composto, quanto tempo sia durato fin qui, non si può facilmente
dire, come né anche si può conoscere quanto tempo esso sia per durare da questo
innanzi. Gli ordini che lo reggono paiono immutabili, e tali sono creduti, perciocché
essi non si mutano se non che a poco a poco e con lunghezza incomprensibile di
tempo, per modo che le mutazioni loro non cadono appena sotto il conoscimento,
non che sotto i sensi dell’uomo. La quale lunghezza di tempo, quanta che ella si sia,
è ciò non ostante menoma per rispetto alla durazione eterna della materia. Vedesi in
questo presente mondo un continuo perire degl’individui ed un continuo trasformarsi
delle cose da una in altra; ma perciocché la distruzione è compensata continuamente
dalla produzione, e i generi si conservano, stimasi che esso mondo non
abbia né sia per avere in sé alcuna causa per la quale debba né possa perire, e che non
dimostri alcun segno di caducità. Nondimeno si può pur conoscere il contrario, e ciò
da più d’uno indizio, ma tra gli altri da questo.
Sappiamo che la terra, a cagione del suo perpetuo rivolgersi intorno al proprio asse,
fuggendo dal centro le parti dintorno all’equatore, e però spingendosi verso il centro
quelle dintorno ai poli, è cangiata di figura e continuamente cangiasi, divenendo
intorno all’equatore ogni dì più ricolma, e per lo contrario intorno ai poli sempre più
deprimendosi. Or dunque da ciò debbe avvenire che in capo di certo tempo, la
quantità del quale, avvengaché sia misurabile in sé, non può essere conosciuta dagli
uomini, la terra si appiani di qua e di là dall’equatore per modo, che perduta al tutto
la figura globosa, si riduca in forma di una tavola sottile ritonda. Questa ruota aggirandosi
pur di continuo dattorno al suo centro, attenuata tuttavia più e dilatata, a
lungo andare, fuggendo dal centro tutte le sue parti, riuscirà traforata nel mezzo. Il
qual foro ampliandosi a cerchio di giorno in giorno, la terra ridotta per cotal modo a
figura di uno anello, ultimamente andrà in pezzi; i quali usciti della presente orbita
della terra, e perduto il movimento circolare, precipiteranno nel sole o forse in qualche
Potrebbesi per avventura in confermazione di questo discorso addurre un esempio,
io voglio dire dell’anello di Saturno, della natura del quale non si accordano tra loro
i fisici. E quantunque nuova e inaudita, forse non sarebbe perciò inverisimile congettura
il presumere che il detto anello fosse da principio uno dei pianeti minori destinati
alla sequela di Saturno; indi appianato e poscia traforato nel mezzo per cagioni
conformi a quelle che abbiamo dette della terra, ma più presto assai, per essere di
materia forse più rara e più molle, cadesse dalla sua orbita nel pianeta di Saturno, dal
quale colla virtù attrattiva della sua massa e del suo centro, sia ritenuto, siccome lo
veggiamo essere veramente, dintorno a esso centro. E si potrebbe credere che questo
anello, continuando ancora a rivolgersi, come pur fa, intorno al suo mezzo, che è
medesimamente quello del globo di Saturno, sempre più si assottigli e dilati, e sempre
si accresca quello intervallo che è tra esso e il predetto globo, quantunque ciò
accada troppo più lentamente di quello che si richiederebbe a voler che tali mutazioni
fossero potute notare e conoscere dagli uomini, massime così distanti. Queste
cose, o seriamente o da scherzo, sieno dette circa all’anello di Saturno.
Ora quel cangiamento che noi sappiamo essere intervenuto e intervenire ogni giorno
alla figura della terra, non è dubbio alcuno che per le medesime cause non intervenga
somigliantemente a quella di ciascun pianeta, comeché negli altri pianeti esso non
ci sia così manifesto agli occhi come egli ci è pure in quello di Giove. Né solo a quelli
che a similitudine della terra si aggirano intorno al sole, ma il medesimo senza alcun
fallo interviene ancora a quei pianeti che ogni ragion vuole che si credano essere
intorno a ciascuna stella. Per tanto in quel modo che si è divisato della terra, tutti i
pianeti in capo di certo tempo, ridotti per se medesimi in pezzi, hanno a precipitare
gli uni nel sole, gli altri nelle stelle loro. Nelle quali fiamme manifesto è che non pure
alquanti o molti individui, ma universalmente quei generi e quelle specie che ora si
contengono nella terra e nei pianeti, saranno distrutte insino, per dir così, dalla stirpe.
E questo per avventura, o alcuna cosa a ciò somigliante, ebbero nell’animo quei
filosofi, così greci come barbari, i quali affermarono dovere alla fine questo presente
mondo perire di fuoco. Ma perciocché noi veggiamo che anco il sole si ruota dintorno
al proprio asse, e quindi il medesimo si dee credere delle stelle, segue che l’uno e
le altre in corso di tempo debbano non meno che i pianeti venire in dissoluzione, e le
loro fiamme dispergersi nello spazio. In tal guisa adunque il moto circolare delle
sfere mondane, il quale è principalissima parte dei presenti ordini naturali, e quasi
principio e fonte della conservazione di questo universo, sarà causa altresì della distruzione
di esso universo e dei detti ordini.
Venuti meno i pianeti, la terra, il sole e le stelle, ma non la materia loro, si formeranno
di questa nuove creature, distinte in nuovi generi e nuove specie, e nasceranno per
le forze eterne della materia nuovi ordini delle cose ed un nuovo mondo. Ma le
qualità di questo e di quelli, siccome eziandio degl’innumerabili che già furono e
degli altri infiniti che poi saranno, non possiamo noi né pur solamente congetturare.