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Giacomo Leopardi Operette morali IntraText CT - Lettura del testo |
III DIALOGO DELLA MODA E DELLA MORTE
Moda. Madama Morte, madama Morte.
Morte. Aspetta che sia l’ora, e verrò senza che tu mi chiami.
Moda. Madama Morte.
Morte. Vattene col diavolo. Verrò quando tu non vorrai.
Moda. Come se io non fossi immortale.
Morte. Immortale? Passato è già più che ‘lmillesim’anno che sono finiti i tempi degl’immortali.
Moda. Anche Madama petrarcheggia come fosse un lirico italiano del cinque o dell’ottocento?
Morte. Ho care le rime del Petrarca, perché vi trovo il mio Trionfo, e perché parlano
di me quasi da per tutto. Ma in somma levamiti d’attorno.
Moda. Via, per l’amore che tu porti ai sette vizi capitali, fermati tanto o quanto, e
guardami.
Morte. Ti guardo.
Moda. Non mi conosci?
Morte. Dovresti sapere che ho mala vista, e che non posso usare occhiali, perché
gl’Inglesi non ne fanno che mi valgano, e quando ne facessero, io non avrei dove me
gl’incavalcassi.
Moda. Io sono la Moda, tua sorella.
Morte. Mia sorella?
Moda. Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducità?
Morte. Che m’ho a ricordare io che sono nemica capitale della memoria.
Moda. Ma io me ne ricordo bene; e so che l’una e l’altra tiriamo parimente a disfare
e a rimutare di continuo le cose di quaggiù, benché tu vadi a questo effetto per una
strada e io per un’altra.
Morte. In caso che tu non parli col tuo pensiero o con persona che tu abbi dentro alla
strozza, alza più la voce e scolpisci meglio le parole; che se mi vai borbottando tra’
denti con quella vocina da ragnatelo, io t’intenderò domani, perché l’udito, se non
sai, non mi serve meglio che la vista.
Moda. Benché sia contrario alla costumatezza, e in Francia non si usi di parlare per
essere uditi, pure perché siamo sorelle, e tra noi possiamo fare senza troppi rispetti,
parlerò come tu vuoi. Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare
continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue;
io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei
palazzi e di cose tali. Ben è vero che io non sono però mancata e non manco di fare
parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi,
quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io v’appicco per li fori;
abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi che io fo che essi
v’improntino per bellezza; sformare le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni,
mettendo per costume che tutti gli uomini del paese abbiano a portare il capo di
una figura, come ho fatto in America e in Asia; storpiare la gente colle calzature
snelle; chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla strettura dei bustini; e
cento altre cose di questo andare. Anzi generalmente parlando, io persuado e costringo
tutti gli uomini gentili a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e
spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente, per l’amore che mi portano.
Io non vo’ dire nulla dei mali di capo, delle infreddature, delle flussioni di ogni
sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, che gli uomini si guadagnano per
ubbidirmi, consentendo di tremare dal freddo o affogare dal caldo secondo che io
voglio, difendersi le spalle coi panni lani e il petto con quei di tela, e fare di ogni cosa
a mio modo ancorché sia con loro danno.
Morte. In conclusione io ti credo che mi sii sorella e, se tu vuoi, l’ho per più certo
della morte, senza che tu me ne cavi la fede del parrocchiano. Ma stando così ferma,
io svengo; e però, se ti dà l’animo di corrermi allato, fa di non vi crepare, perch’io
fuggo assai, e correndo mi potrai dire il tuo bisogno; se no, a contemplazione della
parentela, ti prometto, quando io muoia, di lasciarti tutta la mia roba, e rimanti col
buon anno.
Moda. Se noi avessimo a correre insieme il palio, non so chi delle due si vincesse la
prova, perché se tu corri, io vo meglio che di galoppo; e a stare in un luogo, se tu ne
svieni, io me ne struggo. Sicché ripigliamo a correre, e correndo, come tu dici, parleremo
dei casi nostri.
Morte. Sia con buon’ora. Dunque poiché tu sei nata dal corpo di mia madre, saria
conveniente che tu mi giovassi in qualche modo a fare le mie faccende.
Moda. Io l’ho fatto già per l’addietro più che non pensi. Primieramente io che annullo
o stravolgo per lo continuo tutte le altre usanze, non ho mai lasciato smettere in
nessun luogo la pratica di morire, e per questo vedi che ella dura universalmente
insino a oggi dal principio del mondo.
Morte. Gran miracolo, che tu non abbi fatto quello che non hai potuto!
Moda. Come non ho potuto? Tu mostri di non conoscere la potenza della moda.
Morte. Ben bene: di cotesto saremo a tempo a discorrere quando sarà venuta l’usanza
che non si muoia. Ma in questo mezzo io vorrei che tu da buona sorella, m’aiutassi a
ottenere il contrario più facilmente e più presto che non ho fatto finora.
Moda. Già ti ho raccontate alcune delle opere mie che ti fanno molto profitto. Ma
elle sono baie per comparazione a queste che io ti vo’ dire. A poco per volta, ma il più
in questi ultimi tempi, io per favorirti ho mandato in disuso e in dimenticanza le
fatiche e gli esercizi che giovano al ben essere corporale, e introdottone o recato in
pregio innumerabili che abbattono il corpo in mille modi e scorciano la vita. Oltre di
questo ho messo nel mondo tali ordini e tali costumi, che la vita stessa, così per
rispetto del corpo come dell’animo, è più morta che viva; tanto che questo secolo si
può dire con verità che sia proprio il secolo della morte. E quando che anticamente
tu non avevi altri poderi che fosse e caverne, dove tu seminavi ossami e polverumi al
buio, che sono semenze che non fruttano; adesso hai terreni al sole; e genti che si
muovono e che vanno attorno co’ loro piedi, sono roba, si può dire, di tua ragione
libera, ancorché tu non le abbi mietute, anzi subito che elle nascono. Di più, dove
per l’addietro solevi essere odiata e vituperata, oggi per opera mia le cose sono ridotte
in termine che chiunque ha intelletto ti pregia e loda, anteponendoti alla vita, e ti
vuol tanto bene che sempre ti chiama e ti volge gli occhi come alla sua maggiore
speranza. Finalmente perch’io vedeva che molti si erano vantati di volersi fare immortali,
cioè non morire interi, perché una buona parte di sé non ti sarebbe capitata
sotto le mani, io quantunque sapessi che queste erano ciance, e che quando costoro
o altri vivessero nella memoria degli uomini, vivevano, come dire, da burla, e non
godevano della loro fama più che si patissero dell’umidità della sepoltura; a ogni
modo intendendo che questo negozio degl’immortali ti scottava, perché parea che ti
scemasse l’onore e la riputazione, ho levata via quest’usanza di cercare l’immortalità,
ed anche di concederla in caso che pure alcuno la meritasse. Di modo che al presente,
chiunque si muoia, sta sicura che non ne resta un briciolo che non sia morto, e
che gli conviene andare subito sotterra tutto quanto, come un pesciolino che sia
trangugiato in un boccone con tutta la testa e le lische. Queste cose, che non sono
poche né piccole, io mi trovo aver fatte finora per amor tuo, volendo accrescere il tuo
stato nella terra, com’é seguito. E per quest’effetto sono disposta a far ogni giorno
altrettanto e più; colla quale intenzione ti sono andata cercando; e mi pare a proposito
che noi per l’avanti non ci partiamo dal fianco l’una dell’altra, perché stando
sempre in compagnia, potremo consultare insieme secondo i casi, e prendere migliori
partiti che altrimenti, come anche mandarli meglio ad esecuzione.
Morte. Tu dici il vero, e così voglio che facciamo.