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Carlo Gozzi L'Augellino belverde IntraText CT - Lettura del testo |
Barbarina, e Smeraldina.
Credo quest'aura sí felice, o amica,
che ratte ci condusse, sia un prodigio
Oh, senza fallo.
E fu un prodigio ancora il non cadere,
e il non rompersi il collo.
Io qui non veggio
però il fratello. È questo il noto colle;
quello è l'Augel belverde. Ah, non vorrei,
Smeraldina, che Renzo per mia causa
fosse perito; il cor mi batte in seno.
Eh, non vi spaventate. Noi siam giunte
veloci assai. Forse il fratello vostro
non avrà avuto sí buon vento in poppa.
No, Smeraldina, io sento nell'interno
movimenti crudeli, un pentimento,
un barbaro rimorso. Oh Dio, vorrei
trarre il pugnal, veder, se ancor risplende;
o se appar sanguinoso, e sí mi trema
la man, presaga dell'atroce vista,
ch'io nol so far.
Poco fa tanto ardire, ed or sí vile?
Ah, coscienza maculata, amica...
Ma ben ragioni. Io coraggiosa in traccia
deggio andar d'un dolor, che mi dia morte,
(trae il pugnale, che gronda sangue).
Morto è il fratello, ed io fui, che l'uccisi
O poveretta me! Povero figlio!
Povera figlia! Povero marito! (la sostiene).
Lasciami, Smeraldina; io piú non merto
soccorso da nessun. Piú, che degli altri,
merito l'odio tuo. Povera donna!
Tu pietosa alla morte mi togliesti,
tu m'allevasti, e in semplici parole
mi dipignesti amor, timor, dovere
d'una vita mortale; io t'ho derisa,
e negli studi miei stolti, e fallaci,
quella ragion, dal ciel, moderatrice
d'umane passion, posta in noi tutti,
m'assuefeci a disprezzare, ed empia,
impossente ridussi, onde in tumulto
posi le brame, insaziabil torma;
schiava d'esse divenni. Io ben conosco,
ma tardi, gli error miei. Ragione, amica,
non è in me spenta, e nel funesto caso,
come suol avvenire a tutti gli empi,
m'apre lo sguardo al vero. In me contemplo
un schifo oggetto. Vanità mi rese
favola al mondo; agli occhi delle stelle
tizzon d'inferno. In me tormento è solo
quella ragion, che ne' piú saggi è calma (piange).
Barbarina mia cara... mi rincresce.
Sento il cor, che si spezza... mi dispiace,
che il dolor sí m'opprima... il cor mi duole
d'esser un'ignorante... e non potere
con qualche bel discorso consolarvi.
Tutto è amor proprio, figlia; voi piangete
la morte del fratel per amor proprio.
A ragion mi deridi; io tutto soffro (prendendola per mano).
Quanto, innocente amica, a me sarebbe
cara la povertà di quella vita,
che presso a te condussi, e quanto cara
quella lacera veste mi sarebbe,
e il piede scalzo, e il crine incolto, e il bere
teco a un ruscello, e di poc'erba il pasto!
E non aver fra le ricchezze e gli agi
tal di me abborrimento, e tai rimorsi
d'aver morto il fratello. Ahi, non avranno
di questa scellerata, iniqua donna
pietade i numi: io disperata son (piange).