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Carlo Gozzi L'Augellino belverde IntraText CT - Lettura del testo |
Tartagliona, regina vecchia in caricatura, e Tartaglia.
Figlio, cosí mi tratti? Ove si vide,
che dopo diciott'anni, che sta lunge
dal sen materno un figlio, giunto alfine
si perda per la corte in bagattelle,
pria di correre ansante, senza trarsi
gli stivali di gamba, e dare un bacio
sulla destra real della sua madre?
Signora madre cara, vi scongiuro
a ritirarvi nelle vostre stanze,
ed a lasciar in pace un disperato.
O temerario figlio! Già ti leggo
nel profondo del cor. Di Tartagliona
figlio non sembri. Io so, che ti rincresce
di Ninetta la morte, e che piú care
avevi le tue corna, di tua madre.
Dimmi, che far dovea di quell'indegna,
se l'onor tuo tradia, se d'altra prole,
per la stirpe real, non era buona,
che di mufferli orrendi? Tu scrivesti,
che nell'arbitrio mio lasciavi intera
la tua vendetta; e poi cosí mi scacci?
Sovvengati chi son, da chi discendo,
che la regina de' Tarocchi io sono.
Signora madre, una vecchia decrepita
qual siete voi, doveva usar prudenza.
Io sono un giovinetto poco esperto,
ed il sangue mi bolle. Scrissi allora
con trasporto di caldo, suscitato
dalle lettere vostre. Forse... basta...
So, che odiavate quella poveretta...
Non vi dico di piú. Signora madre,
vi prego a ritirarvi, e non seccate
d'un re sdegnato le filiali natiche.
Che sento! Oh dei! Tu non sei piú mio figlio.
Vecchia a me! Sommi dei, che ingiuria è questa!
Dunque errai nell'oprar? Dunque sepolta
non dovea rimaner la tua vergogna?
La vergogna mio padre in voi sofferse
né vi fe' seppellir nei vostri errori.
Fors'è vergogna mia l'opera vostra.
Vergogna è il partorir figli tuoi pari.
Chi non può partorir, muore nel parto.
Dovevate lasciar di partorirmi.
Ingrato! Cosí parli a chi nel ventre
ti portò pel girar di nove lune?
Pagherò un asinello, che vi porti
per quante lune san girare in cielo.
Figlio disumanato! Ti ricorda,
ingratissimo figlio che, bambino,
non volli balie, e che i miei propri petti
ti diero il latte, ch'or cosí mi paghi.
Quando passan le femmine dal latte,
io ve ne pagherò venti mastelle.
Cosí posso pagar il benefizio;
ma voi non mi potete render viva
la mia Ninetta, di Concul figliuola.
Un povero monarca, affaticato
in guerra diciott'anní, giugne al trono,
crede di riposar nel caro seno
della consorte, e trova, ch'ella è morta,
sepolta sotto il buco della scaffa.
Non ho piú moglie, amici piú non trovo;
per me non v'è piú pace in questo mondo (piange).
Figlio, ti vo' scusar; ma da viltade
troppo sei preso. Il tuo dolor solleva.
Giuocheremo ogni giorno a gatta cieca,
tocca ferro, a romper la pignatta,
e ti divertirai. Verrà frattanto
forse a noi la Schiavona, o Saltarei1;
io troverò consorte di te degna.
Signora madre, burla troppo grande
fu il seppellir la mia Ninetta viva.
Giungano pur le ninfe della Bragola,
tutte le dee della calle de' Corli2;
insensibil sarò. Mi fate rabbia;
Scacciar la madre! O ciel, lo fulminate.
Voi non volete andar; dove voi siete,
non ho flemma di star. Vedo, che in seno
vi si muove il catarro. Il mio rispetto
vuol, ch'io vi lasci, e me ne vada a letto (entra).