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Carlo Gozzi L'Augellino belverde IntraText CT - Lettura del testo |
Prefazione
La fiaba dell'Augellino belverde è un'azione scenica, la piú audace, che sia uscita dal mio calamaio.
Io m'era determinato a tentar con uno sforzo di fantasia uno strepito grande teatrale popolare, e a troncare il corso delle composizioni sceniche, dalle quali non voleva utilità nessuna, ma né meno quel peso disturbatore, che incominciavano a darmi; massime sembrandomi già di aver abbastanza ottenuto quell'intento, che m'era proposto per un purissimo, capriccioso, poetico puntiglio.
Appiccai il filo di questa fiaba agli spropositati avvenimenti dell'Amore delle tre melarance; ma nel midollo di questa la sostanza era ben differente.
Sotto un titolo fanciullesco, e in mezzo ad un caricatissimo ridicolo, non credo, che nessun uomo bizzarro abbia trattato con piú insidiosa facezia morale le cose serie, ch'io trattai in questa fola.
I due moderni filosofi, Renzo, e Barbarina, principali personaggi in quest'azione, imbevuti delle massime de' perniziosi signori Elvezio, Russò, e Voltere; che sprezzano, e deridono l'umanità col sistema dell'amor proprio, con somma ingratitudine, che affamati desiderano, e lodano i benefizi degli uomini caritatevoli, che, fatti ricchi, folleggiano, e vogliono a forza gl'impossibili; Truffaldino macchiavellista; Calmone, antica statua morale, parlante; Smeraldina, evangelica pietosa, che derisa nelle sue buone azioni colle massime filosofiche moderne da' due novelli filosofi, si crede in necessità di non dover piú. usare le sante opere della misericordia col prossimo, come si legge espressamente nella scena quarta dell'atto primo; Tartagliona, vecchia vana, e maligna; Brighella, poeta, e indovino, che coltiva in una cattiva vecchia un benefico testamento; Tartaglia, re buffonesco, ma specchio di critica ad alcuni grandi sciocchi, e mal educati, nel suo faceto carattere; e infine gl'ingredienti posti in questa fola, ordinata proporzionatamente all'indole sua, fecero quell'effetto, ch'io aveva desiderato in ogni genere di persone, tratti i 'miei critici a' quali io non fo il dispiacere di porli nell'infinito numero di coloro, ch'ebbero la condiscendenza di applaudire, e di concorrere a questa inezia.
I punti gravi, moralmente trattati in questo audace teatrale trattenimento, cagionarono per la città tante dispute, e d'una spezie tanto particolare, che infiniti religiosi regolari degli ordini piú austeri si trassero le lor tonache, e postisi in maschera, andarono ad ascoltare l'Augellino belverde con somma attenzione.
Un tale avvenimento non deve confondere coloro, che chiamano le mie rappresentazioni ingiuriosi trattenimenti, e che introducono ne' nostri teatri per educare i popoli i Jeneval dalle nobili passioni.
Paleserò, che oltre a' dati di serietà, ch'io posi in questa rappresentazione, nulla ho risparmiato per farla faceta, e popolare. Per dar movimento a tutta la città, mi sono insino immaginato di porre in iscena delle mostruose statue notissime, ch'esistono ne' luoghi piú lontani, e popolati di questa metropoli, col solo fine di attraere, e d'invogliare il minuto popolo di quelle contrade a venir a vedere, se le statue, rese ambulanti, e favellatrici, somigliavano a' loro simulacri; e, trovandole somigliantissime, ritornavano furiosamente al teatro, per veder i loro vicini di marmo animati, e parlanti.
Questo mostro scenico comparve nel teatro di Sant'Angelo a Venezia colla solita truppa Sacchi ai 19 di gennaio l'anno 1765. Se ne fecero diciannove recite, e si terminò quel carnovale col teatro ogni sera affollatissimo, e molte sere non sufficiente alle persone, che concorrevano.
Se una tale rappresentazione è ignuda di meriti, non se le potrà certamente per lo meno levare il merito dell'effetto utilissimo alla truppa, che la sostenne, entrando tuttavia ancora annualmente tra i pubblici divertimenti teatrali.