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Carlo Gozzi
L'Augellino belverde

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Scena decima

 

Barbarina, e Smeraldina.

 

BARBARINA

Credo quest'aura sí felice, o amica,

che ratte ci condusse, sia un prodigio

in favor del fratello.

SMERALDINA

Oh, senza fallo.

E fu un prodigio ancora il non cadere,

e il non rompersi il collo.

BARBARINA

Io qui non veggio

però il fratello. È questo il noto colle;

quello è l'Augel belverde. Ah, non vorrei,

Smeraldina, che Renzo per mia causa

fosse perito; il cor mi batte in seno.

SMERALDINA

Eh, non vi spaventate. Noi siam giunte

veloci assai. Forse il fratello vostro

non avrà avuto sí buon vento in poppa.

BARBARINA

No, Smeraldina, io sento nell'interno

movimenti crudeli, un pentimento,

un barbaro rimorso. Oh Dio, vorrei

trarre il pugnal, veder, se ancor risplende;

o se appar sanguinoso, e sí mi trema

la man, presaga dell'atroce vista,

ch'io nol so far.

SMERALDINA

Eh, fatevi coraggio.

Poco fa tanto ardire, ed or sí vile?

BARBARINA

Ah, coscienza maculata, amica...

Ma ben ragioni. Io coraggiosa in traccia

deggio andar d'un dolor, che mi dia morte,

se del mal fui cagione

(trae il pugnale, che gronda sangue).

O cielo... madre!

Morto è il fratello, ed io fui, che l'uccisi

(le cade il pugnale, sviene).

SMERALDINA

O poveretta me! Povero figlio!

Povera figlia! Povero marito! (la sostiene).

BARBARINA

Lasciami, Smeraldina; io piú non merto

soccorso da nessun. Piú, che degli altri,

merito l'odio tuo. Povera donna!

Tu pietosa alla morte mi togliesti,

tu m'allevasti, e in semplici parole

mi dipignesti amor, timor, dovere

d'una vita mortale; io t'ho derisa,

e negli studi miei stolti, e fallaci,

quella ragion, dal ciel, moderatrice

d'umane passion, posta in noi tutti,

m'assuefeci a disprezzare, ed empia,

impossente ridussi, onde in tumulto

posi le brame, insaziabil torma;

schiava d'esse divenni. Io ben conosco,

ma tardi, gli error miei. Ragione, amica,

non è in me spenta, e nel funesto caso,

come suol avvenire a tutti gli empi,

m'apre lo sguardo al vero. In me contemplo

un schifo oggetto. Vanità mi rese

favola al mondo; agli occhi delle stelle

tizzon d'inferno. In me tormento è solo

quella ragion, che ne' piú saggi è calma (piange).

SMERALDINA (piangendo)

Barbarina mia cara... mi rincresce.

Sento il cor, che si spezza... mi dispiace,

che il dolor sí m'opprima... il cor mi duole

d'esser un'ignorante... e non potere

con qualche bel discorso consolarvi.

Tutto è amor proprio, figlia; voi piangete

la morte del fratel per amor proprio.

BARBARINA

A ragion mi deridi; io tutto soffro (prendendola per mano).

Quanto, innocente amica, a me sarebbe

cara la povertà di quella vita,

che presso a te condussi, e quanto cara

quella lacera veste mi sarebbe,

e il piede scalzo, e il crine incolto, e il bere

teco a un ruscello, e di poc'erba il pasto!

E non aver fra le ricchezze e gli agi

tal di me abborrimento, e tai rimorsi

d'aver morto il fratello. Ahi, non avranno

di questa scellerata, iniqua donna

pietade i numi: io disperata son (piange).

 

 

 




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