II
Se Amorevoli avesse dovuto partire da Milano, lasciandovi
quella per cui, avendo sopportato un malanno non indifferente, gli era
cresciuto in cuore l'affetto; certo che il contento di trovarsi finalmente
libero e in piena balia di sè stesso, gli sarebbe stato amareggiato dal
pensiero che forse non avrebbe veduta mai più colei che abbandonava; ma invece,
alla gioja della libertà, a quella che gli veniva dalle attestazioni di stima
di un pubblico intero, da una salute perfetta, dalla gloria presente e dalla futura
(tutte le professioni dall'astronomo al ciabattino hanno la loro gloria), e
dalla ricchezza già in parte accumulata e che prometteva di crescere, e per sè
stessa e pel frutto de' capitali, si aggiungevano le speranze agilissime e
l'esaltazione cerebrale di chi move, per un felice concorso di circostanze, là
precisamente dove si trova la persona che in quel momento è, fra tutte, la più
desiderata; e per la quale, tanto si è prodighi quando l'affetto è in tumulto,
si darebbero in compenso alcuni anni della vita onde toglier gli ostacoli che
si frappongono al completo suo possesso. Ma per questa gioja, per queste
speranze appunto, il viaggio di cent'ottanta miglia gli riuscì nojosissimo, e
s'impazientò più volte col lento postiglione e colle ardue e tortuose e fangose
e ciottolose strade che facevan bestemmiare alla sua volta anche il
postiglione, e che invocavano quel sistema a cui, siccome vedremo, fu
provveduto finalmente molti anni dopo, per opera di que' nostri concittadini
sapienti, che misero coraggiosamente la mano ad estirpare tutti gli avanzi
della vetusta barbarie. Ma egli giunse finalmente al Dolo e toccò Mestre, e là,
coll'ansia che gli cresceva in petto in ragione che si avvicinava all'isola
incantata, noleggiò una gondola non avendo voluto entrare nel barcone del
procaccio; e sentì finalmente sotto di sè il gorgoglìo dell'onde di quella
tanto decantata e tanto da lui vagheggiata laguna; chè delle molte città
d'Europa che avevano un teatro celebre, soltanto Venezia gli rimaneva a
conoscere, la città musicale per eccellenza, quella i cui giudizj in fatto di
musica e di canto, avevano meritamente allora la preferenza su tutti quelli
delle altre città. Però, egli era sollecitato da un'altra ansia, che gli
derivava dall'amore dell'arte e dal desiderio che anche Venezia suggellasse la
di lui celebrità col suo voto autorevole e co' suoi applausi. Chi professa
un'arte qualunque per vocazione e con entusiasmo, non può mai scompagnare il
pensiero di essa da qualunque altro pensiero. Del rimanente, il gondoliere,
giacchè trattavasi di un viaggiatore, e d'un ricco viaggiatore, per quel che
gli pareva, non prese nessuna scorciatoia quando fu presso Venezia, e volle
fargli gustare lo spettacolo innanzi al quale avea veduti tutti quanti i
foresti, com'essi dicono, ad inarcare le ciglia. È commovente e poetico
quell'amore veramente figliale che hanno per la loro bella patria anche gli
uomini più incolti e più rozzi di Venezia. Il gondoliere gode e si compiace
della meraviglia che vede dipinta sul volto del forastiero che per la prima
volta, entrando nel Canal grande, non sa farsi capace di una così interminabile
schiera di palazzi insigni, tre o quattro de' quali basterebbero a far onore a
qualunque città; del forastiero che s'imagina di trovarsi al cospetto di una
scena incantata quando la gondola si ferma al molo, ed egli uscendone si trova
in faccia la piazzetta.
- Ghe piasela sior? disse il gondoliere quando vide il
nostro Amorevoli fermarsi estatico sulla scalea. No la xe mai stada a Venezia,
ela?
- No, caro mio.
- E ben, la fazza conto che no i xe qua tuti i so tesori,
come se vorave da qualche foresto invidioso... Me credela, sior?
- Perchè non ho da crederti?
- Se vostra zelenza me permetese, gh'avarave vogia de
compagnarla mi a veder le maravege de la zittà.
- E vieni, alla buon'ora... ma prima accompagnami
all'albergo... al migliore... capisci tu?...
Il gondoliere invitò il suo viaggiatore a rientrare in
gondola, e lo condusse allo Scudo di Francia.
- Vieni a pigliarmi colla gondola fra un pajo d'ore, che intanto
debbo dar sesto alle mie robe. Tu mi hai faccia da galantuomo, e avrò bisogno
dei tuoi buoni servigj... e così dicendo diede al gondoliere una mancia oltre
al convenuto.
Il gondoliere vi gettò un occhio di traverso; fu
contentissimo e partì.
E tosto Amorevoli, da un cameriere che non era di Venezia,
ma parlava l'italiano coll'accento di chi è nato in Francia, fu condotto in una
bella camera al primo piano che rispondea sul rio...
- Le piace quest'alloggio?
- Va bene sì... ma...
- Che?
- C'è qualcosa qui presso che non manda buon odore... Io ho
le nari, caro mio, assai delicate e permalose... e vorrei...
- Signore, mi permetta di dirle una cosa... A Venezia c'è
tutto di grande, di bello, di buono, ma bisogna avvezzarsi all'odore della
laguna. Tutte le città hanno il loro difetto... vorrebb'ella che Venezia ne
fosse senza?... A Roma vien la terzana a chi va fuori sulle ventiquattro... A
Milano c'è l'aria grossa... A Parigi c'è il fango che imbratta le vesti... A
Cadice, di notte, vola nell'aria un verme assassino che intacca il polmone. Io
ho servito in più città di Europa... e non v'è luogo che non abbia il suo
malanno. Però mi permetta, signore, ch'io le dia un consiglio.
- Che consiglio?
- Non tocchi un tal tasto ai Veneziani, perchè c'è pericolo
di perdere la loro amicizia. Ella può lasciarsi andare a criticare il loro
teatro, la piazza, il ponte di Rialto, il corno del Doge... tutto... ma non
tocchi il cattivo odore de' suoi rii... Per questo lato è convenuto che debbano
esalare essenza di rose.
Noi non sappiamo se quel cameriere, che non era di Venezia,
dicesse la verità, ma in ogni modo si vede che le città son come gli uomini.
Canova s'indispettiva se altri non dava alcuna importanza alle sue povere tele;
e non teneva gran conto dell'ammirazione che tutta Italia prodigava alle sue
grandi opere statuarie.
In quanto ad Amorevoli, egli non trovò da replicar nulla col
cameriere, e dato sesto alle sue robe e rimbionditosi con ogni cura, discese a
mangiare; dopo di che aspettò che venisse l'uomo della gondola, il quale venne
in fatto sull'imbrunire.
- Ormai si fa tardi, caro mio, e ci resta ben poco a
vedere...
- Ma no sala, zelenza, che Venezia la xe megio de notte che
de zorno... La se contenta de lassarse guidar da mi, e la vederà che cosse
grandi, sior!
Dopo pochi minuti erano al largo verso la Zueca. Il felze
era stato levato, e Amorevoli appiccò conversazione col gondoliere, da cui
sperava di raccogliere tutto quello che gli abbisognava.
Lasciamoli dunque andare. E noi vediam d'abbandonarci a
qualche digressioncina, secondo il solito.
Noi siamo dunque ammiratori entusiasti della città di
Venezia. Basta il dire che la nostra fortuna è che Venezia non sia una donna;
diversamente chi sa che tremende pazzie avremmo commesso per amor suo. A dare
una prova di codesto amore sviscerato, chi, per esempio,
a voce e in scritto ha lodato più di noi il suo mese di maggio? Dappertutto
questo mese è tenuto in grande riputazione, e i devoti lo chiamano perfino il
mese di Maria, tanto è soave e benefico. Con tutto ciò a Milano il mese di
maggio, nel suo carattere verace e completo, non lo si conosce che per
relazione e in teoria, e per quelle nozioni che si attingono dai poeti classici
greci e latini, i quali, imbalsamati come erano dal vento che soffiava dal mare
Argolico o dal porto di Ostia, poteron gustare il maggio in tutto il suo
splendore; ma in pratica, almeno per quanto ci consta, Milano non sa che cosa
sia un tal mese, e non trova in esso che la più completa contraddizione alle
descrizioni dei poeti. Invece a Venezia è tutt'altro. Venezia è la madre
adottiva non solo del chiaro di luna, ma sì anche del maggio; e noi possiam
dire d'aver fatto la conoscenza di lui soltanto sotto il suo cielo! Almeno, nei
due anni che vi passammo, quel mese fu d'una eleganza così greca, d'una
mollezza così orientale, che non potremo dimenticarlo così facilmente. Se non
che, mescendosi all'eleganza, come dicemmo, la mollezza, il maggio di Venezia è
un mese pericoloso. Lord Byron, che faceva i suoi computi a seconda del
meridiano di Londra, trovò essere il giugno il men puritano dei mesi; ma noi,
cresciuti in plaga più mite, siamo stati obbligati a fare il trasporto di
trenta giorni. È a Venezia, pur troppo, almeno secondo la nostra esperienza, è
nel mese di maggio che l'uomo, riscaldato dal sole di una primavera orientale,
e circonfuso dalle molli aspergini marine, prende somiglianza del baco, il
quale pasciuto e sazio di foglia, s'irretisce lieve lieve nel serico filo,
aspettando di eromperne farfalla. In quanto poi all'anno 1750, il mese di
maggio veneziano cominciò appunto co' più lieti pronostici del suo limpido
sole, del suo cielo trasparente e dell'aure sue mitissime, attraversate di
quando in quando dall'afrodisiaco scirocco.
Però anche alla contessa Clelia, non avvezza al clima veneziano,
più che mai parve balsamica in quell'anno la stagione primaverile; e
confrontandola alla consueta di Milano, le sembrò
tutt'altra cosa; di modo che parlandone ai signori che la ospitavano:
- A Milano, ella diceva, la primavera è la stagione in cui s'accumulano
tutti i disastri delle altre, e sebbene anche laggiù la si debba chiamare la
gioventù dell'anno, è una gioventù infelice, travagliata e disperata. Quasi
quasi, se non fosse per le buone speranze che dà, sarebbe da posporsi alla
vecchiaja.
Da queste parole si vede che, anche prima del taglio delle
foreste, le primavere milanesi non eran le più accreditate neppure nel secolo
passato; tale almeno era l'opinione e l'esperienza della contessa Clelia. Ma
ella, siccome spirava il vento più molle, più carezzoso e più tepido
sull'espansa laguna, sentiva così a circolare in sè più rapido il sangue e più
caldo, il che le comunicava all'intelletto, e più alla fantasia, che è una
sezione di quello, una indefinibile esaltazione e un tumulto di desiderj vaghi,
che le impedivano persino di dar tutto il peso all'infelice situazione in cui
versava. Per molti e molti giorni. avea saputo essere costante a non uscir mai
dal proprio appartamento, e ad imporsi tutti gli obblighi di una volontaria
prigione; ma un dì cominciò a creder ragionevole di poter far parte della
serale conversazione che tenevasi in casa Salomon; e siccome eravi stata
accolta con que' segni di stima e di amorevolezza che troppo rare volte avea
trovato a Milano, così non fu per nulla restìa a passare da quella
conversazione ristretta, tranquilla e casalinga, alle altre di case più
cospicue ed affollate del bel mondo. E là, fra tanti giovani che le fecero
cerchio intorno, trovò persino entusiasmo. I romanzi dell'abate Chiari eran
letti avidamente allora, e avean messo in tutti gli animi giovanili il
desiderio del maraviglioso e dello strano; onde la contessa V... di Milano,
giovane, bella, dotta, avvezza a trattare con dimestichezza i corpi celesti
(chè di ciò era corsa la voce anche là...), infedele al marito, la qual cosa,
in un secolo corrotto, facea stupendo giuoco più ancora dell'astronomia; per di
più, innamorata del più bravo e del più bel tenore del secolo, personaggio che
in una città musicale dovea produrre l'effetto di un giovane e prode capitano
dei dragoni, in tempo d'esaltazione guerriera; e, per il non plus ultra del
romanzesco, autrice di una fuga disperata (le fughe hanno sempre
trovato entusiasti in tutti i tempi, ad eccezione di quelle in musica); tutte
queste cose avean dunque fatto sorgere intorno a lei un'atmosfera di splendori
così abbaglianti, che l'ammirazione per lei, in un periodo in cui le pesanti
parrucche ajutavano a riscaldare i cervelli, diventò, come dicemmo, entusiasmo,
diventò delirio. Se poi la contessa Clelia si compiacesse di ciò, non tocca a
noi a dirlo. Era la prima volta che provava quel genere nuovo di soddisfazioni;
laonde del non aver essa voluto o saputo ritrarsi da quel vortice, noi non ci
sentiamo il coraggio di condannarla. Per giunta aveva trovata accoglienza e
cortesia straordinaria persin nelle donne, fatto piuttosto unico che raro; ma
bisogna considerare che, in virtù di tanto intreccio di cose, ell'era salita a
quel fastigio che toglie perfino il sentimento dell'invidia. Ell'era insomma
una specie di lord Byron vestito da donna e in guardinfante. Però se le altre
patrizie bellissime e argutissime, chè di tali Venezia ebbe a tutte l'epoche
forse la più eletta schiera, esercitavano tra di loro, e come a dire in
famiglia, le loro gare, le loro invidie, le loro guerre più o meno astute, più
o meno perfide, tutte si trovavan poi d'accordo nel festeggiare l'ammirabile
lombarda.
Ma, come sappiamo, il sole era entrato in gemelli, e verso
notte le gondole avevan cominciato a vogare a diporto. Però anche donna Clelia,
ch'era stata chiusa tanto tempo, ebbe volontà di uscire all'aperto; e per non
incomodare la famiglia dov'era ospitata, e anche perchè amava di figurare sola
(non c'è nè donna nè uomo, compromessi da qualche po' di fama, i quali sappiano
resister sempre all'assalto della vanità), si
fece noleggiare per qualche tempo gondola e gondoliere. I signori della casa
credettero farle una grata sorpresa mettendo a' suoi servigj il più celebre
allora dei gondolieri di Venezia. Ed era quel Bianchi Antonio ammirato pel suo
raro talento poetico, di cui lasciò prova in due poemi, nei quali tra molti
errori di scienza e di lingua, v'è imaginazione straordinaria ed estro
vivacissimo.
Il titolo di essi, nelle edizioni da noi vedute, è: Davide
re d'Israele, poema eroico sagro di Antonio Bianchi, servitor di gondola,
veneziano (Canti XII, Venezia 1751 in fol.); Il tempio, ovvero Salomone (Canti
X, Venezia 1753 in 4.). Vi sono poi altri poemetti comici, quali La cuccagna
distrutta, La formica contro il leone, oltre l'oratorio drammatico Elia sul
Carmelo. Quando al Bianchi che ad onta della sua condizione di poeta, non cessò
mai in tutta la sua vita di far il gondoliere, fu proposto quel servigio e gli
fu nominata la gentil donna lombarda, non istette in sulle pretese, e fu tosto
a comandi della contessa Clelia. Così, quando Amorevoli capitò in Venezia, era
già da tre giorni che la contessa usciva a diporto in gondola tutta sola col
suo gondoliere-poeta; e nella sera, quasi nel punto stesso che Amorevoli lasciò
lo Scudo di Francia, essa discendeva la scalea di casa Salomon ed entrava in
gondola. Antonio Bianchi era un giovane di trent'anni appena, veneziano di
sangue puro, tra' più valenti al remo, e onorato di più bandiere nelle celebri
regate veneziane; natura schietta di poeta, esso era entusiasta e fantastico,
di modo che, avendo saputo anch'esso le avventure della contessa, ed essendogli
stato detto come fosse una gran dotta, si compiaceva che gli fosse toccato in
sorte di poterle presentare i proprj servigj. Siccome poi in quel periodo di
tempo egli stava dando l'ultima mano al poema Davide, così aveva pensato di
pregarla a legger que' canti, e di consultarla in quelle parti del poema in cui
egli sentiva che l'ignoranza faceva impaccio all'ardua fantasia.
Appena lasciata la casa, donna Clelia amava recarsi a
diporto in sul Canal grande, scorrendo sola tra l'altre gondole patrizie che le
si avvicinavano a gara, e dalle quali cadevano su di lei sguardi curiosi e
ammiratori: e per dir la verità, ella era tale che per forza doveva fermar
l'attenzione. Abbiamo più volte espressa la nostra predilezione per la bellezza
delle donne veneziane, ma nel tempo stesso dobbiamo far luogo ad una nostra
opinione che parrà strana, ma forse traduce il vero, ed è: che il fondo della
città stessa di Venezia, così pittoresco e così colorito, è il più opportuno a
far spiccare una beltà. - Non per nulla i pittori vanno in cerca di quella tal
luce, di quel tal raggio azzurro, persino di quella tal cornice per dare il
miglior risalto all'opera del loro pennello; può darsi pertanto che la
specialità della parte materiale di Venezia giovi alle figure che staccano su
di essa.
Molte donne che altrove non ci avevan fatto nè freddo nè
caldo, vedute a Venezia ci parvero ammirabili. Quale ne possa essere la vera cagione
non è provato a rigore, ma certo che una ragione ci dev'essere. Intanto anche
la contessa Clelia è un altro argomento in nostro favore. Oh qual mirabile
effetto faceva quel suo corpo maestoso, gettato a sdraio sui cuscini della
gondola, e avvolto in una veste di broccato di stoffa turchina a liste
d'argento, che, pel lavoro interno del guardinfante, usciva e galleggiava quasi
sugli orli della gondola stessa! come incorniciava bene quella sua testa di
Minerva l'indispensabile puff di sentimento, foggiato a cimiero, ch'era una
delle cento forme allora in voga!... come, di sotto alla polvere bianca onde
quel puff era cosparso e quasi inargentato, spiccava il nerissimo arco del
sopracciglio e i grandi occhi lucenti! Già il vero non si può nascondere, noi abbiamo
qualche debolezza per donna Clelia; e se in teoria e coi trattati d'estetica
alla mano combattiamo e combatteremo sempre
per gli occhi azzurri, in pratica abbiam sempre
usato i dovuti riguardi agli occhi neri, e quelli di donna Clelia poi sono la
nostra morte... Ma in prova che non siamo di cattivo gusto, si è che piacevano
fieramente a tutti i giovinotti veneziani; che piacevano persino al nostro
gondoliere-poeta, pieno di fantasia qual era, e di fervori sentimentali, e di
passione caldissima per la bellezza, che è la febbre terzana dei poeti.
Spinto dal naturale desiderio di parlare di sè stesso e
delle proprie opere, difetto che rende qualche volta importuni gli uomini
dell'arte, il nostro Bianchi gondoliere, dopo aver lentamente condotta come in
trionfo lungo il canal Grande la contessa padrona, venuto a santa Chiara,
svoltato nell'aperta laguna, e là fermando talora il remo, compiacevasi a
intrattenere de' propositi proprj la contessa, che affabilmente l'ascoltava e
rispondeva alle sue interrogazioni; al punto che, in que' tre giorni, poteva
dire d'aver dato tre lunghe lezioni d'astronomia elementare all'autore del Re
Davide. Se non che la contessa lasciava poi cadere il dialogo, per
riconcentrarsi ne' proprj pensieri. Ella sapeva che il tenore Amorevoli doveva
venire a cantare a Venezia. Il residente veneto di Milano aveva scritto che il
processo di lui era compiuto, ch'ei sarebbe uscito presto per venire a tenere
il patto ai signori ispettori dell'opera. L'effetto che fece la prima volta una
tale notizia sull'animo di donna Clelia, che non aveva saputo mai nulla di
quelle sei sere di recite straordinarie, ognuno se lo può imaginare. I fervori
erotici le salirono al viso, e mentre la ragione le facea vedere tutti i
pericoli che poteano conseguire da quel fatto, sentiva certi soprassalti di
gioja insolita, di gioja non voluta; e mentre vedeva che il destino stava forse
per tenderle una mala insidia, si fermava con delizia nell'idea che la fortuna
avesse voluto espressamente avvolgerle intorno le inestricabili sue reti. Se
non che ricordavasi di donna Paola e delle sue ammonizioni; e al vedere
coll'occhio della mente quasi impaurita quella santa figura, si vergognava di
que' pensieri, di que' desiderj, di quella gioja... Amorevoli era atteso di
giorno in giorno... ella ne aveva sentito a parlare di volo ad una
conversazione serale, da un gruppo di giovinotti spensierati che, speranzosi di
far breccia nel cuore della mirabile lombarda, aveano dimenticato quel ch'era
passato tra essa e il tenore.
Intanto la notte stava per calare affatto... smoriva sempre
più all'orizzonte la luce crepuscolare... i colli Euganei, ch'ella vedeva, si
erano scolorati e come confusi col cielo.
Erano uscite le stelle rare e sparse... era uscito un quarto
di luna... suonava l'avemmaria a tutte le chiese; il campanone grave e profondo
di san Marco parea facesse sentir la voce storica e veneranda della vetusta
Vinegia. Taceva il gondoliere-poeta, intento a poter ritrarre quel poetico
vero. Tacea donna Clelia, assorta e mesta, e coll'animo sollevato da una
commozione ineffabile. Il gondoliere, avvisato dell'ora tarda, girò la gondola
per tornare in canale. Poco prima era passata per di là anche la gondola ove, e
fu un punto se non vi si scontrò, trovavasi Amorevoli... di modo che donna
Clelia potè vederla materialmente, ma senza provare veruno dei soliti sospetti
presaghi e dei soliti palpiti arcani; nel punto medesimo poi ella vide alla
sfuggita il lume di un fanaletto che probabilmente doveva essere di una gondola
che s'era spiccata allora allora da Mestre, e soltanto il notò pel giuoco che
faceva col suo luccicore tremulo e intermittente; ned ella da nessun genio
dell'aria, segretario delle belle donne, venne avvisata che se innanzi le
correva in gondola la vita, di dietro potea forse venire in gondola la morte.
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