III
Abbiamo accennato che, quasi contemporaneamente al tenore
Amorevoli, era partito da Milano il conte colonnello V... Esso infatti lasciò
la città all'alba del giorno successivo a quello nella cui sera Amorevoli erasi
messo in viaggio. Il conte V... avea detto di voler fare una gita nelle sue
terre; i servi però poterono accorgersi, pei preparativi che loro vennero
ingiunti, che trattavasi invece d'un viaggio di qualche importanza e non breve;
così quel che allora pensarono nel far le valigie lo avesser subito detto!...
ma, come avviene di consueto, parlarono quando non c'era più l'opportunità. E
il conte si mise davvero in viaggio per Venezia, ed essendo partito dodici ore
dopo il tenore, tanto martellò e pagò i postiglioni, ch'ei potè guadagnare su
chi lo precedeva più di mezza giornata. Ma che intenzioni aveva il conte? che
voleva? che pretendeva? In verità esso non ne sapea più di quello che ne sanno
in questo punto i nostri lettori.
Noi non abbiamo avuto mai il tempo di fare uno studio
fisiologico di questo personaggio, perchè ogni qualvolta ci capitò innanzi, si
aveva tanta carne a bollire, che appena appena lo abbiam guardato di traverso;
ma oggi convien pure che ne tiriamo il profilo, almen col carbone, se non colla
matita o col pennello. Quell'uomo, pigliato in natura, non era un cattiv'uomo;
e prima dell'invenzione degli stemmi e dei quarti di nobiltà e de' pregiudizj,
probabilmente non sarebbe stato nemmeno il più orgoglioso tra i membri
dell'umana razza; sebbene la sua testa fosse molto grossa, il che, stando coi
cranioscopi, è indizio di gran mente, pure convien che lo spessore della crosta
ossea avesse occupato una buona metà dello spazio che bisogna concedere al
cervello perchè adempia passabilmente alle sue funzioni. Non vogliamo dire con
ciò che esso mancasse al tutto d'intelligenza, no. La sua testa avea più d'uno
spiraglio per cui poteva penetrare, sebbene a stento, qualche raggio dal di
fuori. Ma le poche idee che erano entrate là dentro vi si fermarono con
tenacità pari allo stento onde vi si erano introdotte, generandovi una durezza
ed una ostinazione indomabile. Se fosse lecito imitare i caricaturisti
parigini, che cercano nella struttura delle bestie le forme più adatte a dar
idea di alcune varietà di tipi umani, a quel conte noi troveremmo il riscontro
piuttosto in un bisonte, in un ariete, in un merinos che in altro animale.
Apparteneva insomma alla razza delle bestie cozzanti, la meno intelligente e la
men domabile di tutte. Però, a lasciarlo tranquillo, era un buon diavolone
d'uomo; e soltanto ad aizzarlo, ad inquietarlo, lo si riduceva nella condizione
d'un toro, che punzecchiato, arrota gli occhi sanguigni, alza la coda, curva il
collo, abbassa la testa, e vibra cornate a tutti quelli che gli si fanno
incontro. Cresciuto in seno ad una famiglia il cui sangue, per parte di padre,
era un fiume reale che aveva avuto le sue prime scaturigini da un ramo del gran
ceppo dei re di Spagna; e per parte di madre, da colui che portò dalla terra
santa lo scudo colla biscia; l'idea del suo alto lignaggio fu introdotta e
ribadita per tal modo nella sua testa colle sue idee concomitanti e
conseguenti, che non per sè, ma per quello, si sarebbe fatto mettere in pezzi.
A codesta idea convenzionale dell'onor del sangue, veniva poi a confederarsi
l'altra idea pur convenzionale e parimente indomabile, e per la sua natura, più
pericolosa, dell'onore del soldato. Esso era stato, come sappiamo, colonnello
di cavalleria, e le sue fazioni di guerra le avea fatte con coraggio e con
fede; e perciò all'assisa, agli stivali, allo squadrone, in certi momenti, dava
assai più importanza che alle nove stelle della corona sormontante il suo
stemma. Però al suo cospetto e quando si parlava con lui, siccome era pieno di
sospetti e non sempre intendeva le cose nel
loro vero senso, bisognava comportarsi con mille riguardi e precauzioni, perchè
non pigliasse le parole in mala parte, e adombrasse al punto di chiamarsi
offeso colle formole dell'etichetta militare; chè allora non c'era più rimedio,
bisognava battersi con lui. Ben è vero che in molti di tali duelli provocati da
lui, egli aveva quasi sempre risparmiato
l'avversario, pago che fosse salvo il decoro cavalleresco. Ma intanto era un
incomodo a trattarlo; onde molti lo scansavano volontieri, e quando si
trovavano seco per necessità, discorrendo, giravan largo per istornare querele;
poichè, torniamo a ripeterlo, nel frantendere le questioni e nel prendere un
violino per un trave, quell'ex colonnello era un portento. Se dunque,
conservando però sempre nell'aspetto una
compostezza ed una severità castigliana, esso pigliavasi tanto caldo per una
mezza offesa, figuriamoci se l'offesa era evidente ed era grave; peggio ancora
se l'offesa era di quelle che stanno in prima lista fra i casi contemplati
anche dagli indifferenti e dai filosofi della pace; fra i casi per cui anche
l'uomo timido diventa feroce, com'era il suo caso precisamente! O fortuna
tutt'altro che cieca ma perfida, o fortuna con occhi di lince e piena di sagacia
omicida, che attendi a pigliar fuori della folla gli uomini fatti apposta e
lasci cader la scintilla dov'è la polveriera! Proprio tra le gambe del conte
V... doveva capitare quel fatal romano, fatale così per le prime donne del
libretto d'opera, come per tutte le belle donne che gli piacevano! Tuttavia
nemmeno il tenore, nato espressamente nel secolo più comodo per gli uomini
della sua professione e della sua tempra, poteva chiamarsi il beniamino della
fortuna per essersi incontrato in chi facea terrore a tutti, il quale non è a
dire che furore sentisse contro il tenore; un miscuglio di furore e insieme di
disprezzo che gli facean desiderare di avere dinanzi il rivale, non per
battersi con lui, chi mai poteva imaginarsi una simile ignominia! ma per pagarlo,
a misura, come suol dirsi, di carbone, a colpi di scudiscio, di frusta, di
bastone e di peggio, se di peggio ci fosse stato - perchè più che contro la
propria moglie infedele, l'ira sua soffiava tutta come una fornace animata da
un mantice contro il tenore; e se l'adagio vulgare che in tali frangenti
assegna maggior colpa alla donna che all'uomo, era sulla bocca di tutti anche
allora, egli tuttavia non voleva saper nulla di quel diritto per cui l'uomo può
fare impunemente il cacciatore; - non ne voleva sapere e strepitava. Del
rimanente un'altra ragione per cui era sì poco inclinato alla pietà verso di
Amorevoli stava in ciò, ch'ei non era filarmonico punto, e aveva un orecchio
così mal costrutto e anti-musicale, che per lui non c'era differenza tra una
cadenza di Caffariello e lo zufolo d'un merlo. A dir tutto, non è certissimo
che, pur andando pazzo per la musica, avesse potuto aprir le braccia al tenore
protervo; ma in ogni modo, quella sarebbe sempre
stata una ragione mitigante la collera. Infiammato continuamente da questa,
egli erasi messo in viaggio per Venezia, senza veramente un progetto
deliberato; ma con più propositi in mente, il più umano de' quali, aveva per
intercalare scudisciate e bastonate.
Ma lasciando il conte, dieci ore dopo la partenza di lui,
partì da Milano per Venezia la lettera di donna Paola Pietra, quella appunto
ch'essa accennò al Parini. - La contessa Clelia la ricevette la mattina del
giorno successivo a quello dell'arrivo d'Amorevoli, e fu spaventata quando
lesse quelle parole: Credo che il conte V... abbia intenzione di venire a
Venezia; e fu maravigliata, e nel tempo stesso consolata, quando pure vi lesse:
A quest'ora il signor Amorevoli dev'essere a Venezia. La sera prima ella non
aveva sentito a parlare di lui in nessun modo, talchè in quel momento ignorava
tuttora il suo arrivo.
Ed ora dobbiamo tornare a Milano, e dar conto di più cose.
La visita e le parole di Parini alla contessa Marliani aveano ottenuto il loro
effetto, quello cioè di determinare il fratello di donna Clelia a recarsi a
Venezia. - Il partito, il lettore se ne avvedrà facilmente, era stato preso un
po' tardi, se mai il destino avea fermato di far succedere qualche sventura, ma
la presenza di lui potea però tornar sempre di
vantaggio. In ogni modo, per l'onore della famiglia, quel viaggio del giovine
conte A... era un atto di dovere, e ciò bastava per far tacere il mondo e
perchè egli fosse creduto un uomo di cuore.
Ma intanto che il giovine conte A... si affretta verso
Venezia abbiam l'obbligo di recarci a prendere informazioni sullo stato delle
cose relative al fatto di Lorenzo Bruni.
Il governatore conte Palavicino, messo in cognizione
dell'indole genuina del fatto, mandò a chiamare il presidente del Senato;
questi espose al ministro che essendo messo ad arbitrio del Senato stesso la
misura della pena per la contravvenzione all'ordinanza sulle maschere-ritratti,
e una tale misura essendo tassativamente determinata nell'ordinanza stessa dai
sei mesi agli anni due, a seconda del caso; per quanto, disse il presidente,
tutte le circostanze depongano a favore del costituito, pure non si poteva
mandarlo assolto perchè la contravvenzione era stata compiuta; e solo era il
caso di applicare al costituito la minor pena di sei mesi, che, giusta la più
ragionevole interpretazione, era precisamente la misura voluta per la semplice
contravvenzione materiale della legge senza intenzione criminosa. Il conte
governatore parve soddisfatto di ciò, ma non già la Gaudenzi; la quale,
allorchè le fu annunciata una tale determinazione, diede in lagrime disperate e
si recò nuovamente da donna Paola, onde si degnasse accompagnarla di nuovo dal
governatore. Era il caso di domandare non già la scrupolosa giustizia, ma una
sentenza in via di grazia. Donna Paola parlò con eloquenza, la Gaudenzi sparse
lagrime abbondanti; il conte Palavicino si sentì commosso, e quantunque
veramente uscisse dalle sue attribuzioni, perchè l'autorità del Senato nelle
vertenze civili e criminali era superiore a tutti, pure, trattandosi che
l'ordinanza era sua, che forse aveva abbondato nella pena, mandò per un di più
a chiamar di nuovo il Presidente del Senato e lo interrogò, ma
affermativamente, se si potevano ridurre i sei mesi a due soli, e senza
aspettar risposta, gli mise tra mano il rescritto, e lo pregò a dargli corso
incontanente. Il presidente mostrò il rescritto in Senato, alcuni senatori
strepitarono; altri, e forse n'avevano la loro ragione, applaudirono; il conte
Gabriele Verri, che secondo l'indole sua avrebbe dovuto strepitare più di
tutti, perchè guai a toccargli l'onnipotenza dell'autorità senatoria, non disse
nè sì nè no, e finse d'aver tutt'altro per la testa; onde trionfò il partito
dell'indulgenza e, invece di protestare contro quel rescritto com'era stato il
pensiero di alcuni senatori, ne fu tosto spedito al Criminale la determinazione
in estratto, perchè il capitano provvedesse a darle esecuzione.
E giacchè abbiamo toccato del Capitano di giustizia, non
possiamo tralasciare di tener dietro ai preliminari del processo contro il
lacchè Andrea Suardi, detto il Galantino, e ciò innanzi di gettarci fra i
personaggi che da Milano passarono a Venezia; perchè abbiam bisogno di dar
prima qualche cenno intorno alla pratica criminale nel ducato di Milano e di
conoscere qualche accidente dell'interrogatorio fatto subire al lacchè, per
essere poi in grado di dare giusto valore a ciò che accadrà in seguito.
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