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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO QUARTO
    • VI
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VI

La condizione degli avvenimenti che abbiamo a raccontare è tale, che ci conviene viaggiare innanzi e indietro da Venezia a Milano e da Milano a Venezia, come un conduttore di diligenza. Intanto adunque che a Milano il Galantino sottoponevasi al primo interrogatorio, a Venezia il tenore Amorevoli aveva raccolte dal suo gondoliere quante notizie gli bastavano sul conto della contessa Clelia. Siccome il Bianchi, gondoliere, quando non era al servizio di lei, stava di consueto al traghetto del molo alla punta dell'isola della Zueca, così i suoi compagni del traghetto medesimo sapevan benissimo chi egli serviva di gondola in quegli ultimi giorni. Amorevoli adunque, per quanto avesse fatto interrogazioni prudenti e velate, venne pure a conoscere ogni cosa, e della casa ove essa alloggiava, e della famiglia che la ospitava ed anche delle corse che da qualche giorno ella solea fare a diporto lungo il Canal grande; perchè il Bianchi, spiccandosi ad ora tarda dal suo posto, ove stava il più della giornata facendo versi sotto il felze negli intervalli di riposo, aveva detto più volte:

- Ora andiamo a prendere la nostra bella lombarda.

Però volle anch'egli il tenore recarsi tra l'altre gondole in canale per vedere se mai gli venisse fatto d'incontrarsi in quella della contessa. Lo scontro potea benissimo succedere, senza che fossero turbate le leggi del possibile o del probabile, ma il caso volle che per quel giorno non se ne facesse nulla, e giuocassero quasi a chi si fuggiva; e anche allora che furono a pochi tratti di distanza, verso santa Chiara, l'uno non avesse sentore dell'altra, e buona notte. Tornò dunque all'albergo e , messosi in tutta gala, si portò poi, sempre intendesi in gondola, a far visita al corregidore Pisani, che aveva la sorveglianza de' teatri di musica, e dal quale eragli stato fermato il patto di sei sere di recita a quello di san Moisè, perchè solea tenersi chiuso in primavera ed estate l'inallora maggior teatro di san Cassiano. Recatosi da quel ricco patrizio, fu accolto come si poteva accogliere un celeberrimo artista di canto in un tempo in cui la musica era tenuta necessaria come l'aria e l'acqua. Il tenore si scusò del ritardo, dandone cagione a' fatti imperiosi, che il patrizio veneziano, sorridendo, accennò di sapere benissimo, e si dichiarò pronto ad incominciare i suoi impegni.

Il corregidore gli disse che il teatro sarebbesi aperto fra poco perchè dovevasi attendere anche la ballerina Gaudenzi, la quale avea fatto scrivere, le si concedessero alcuni giorni prima di partire da Milano.

- Ed ora, caro mio, ho a supplicarvi di un favore, soggiunse il conte.

- Vostra eccellenza mi comandi.

- Domani sera, a festeggiar l'arrivo del conte Algarotti, do un'accademia di musica a cui interverrà tutto il bello e il buono che abbiamo in Venezia, e molte preziosità che ci son capitate di fuori. Voi avete ad essere tra queste, e dovreste, se non pretendo troppo, cantare una scena, un'aria, che so io, un madrigaletto, qualche cosa insomma; v'è qui Luchino Fabris, l'imitatore di Egiziello, che vuol sentirvi; e nientemeno che la moglie di Hasse, la celebre Faustina, venuta per certe sue faccende di famiglia dalla Germania; la Faustina, ora matura fin troppo, ma che, cantando di agilità, è ancora capace di passar sedici crome in una battuta. V'è qui poi la Turcotti, che voi dovete conoscere perchè mi parlò di voi con entusiasmo tale che parrebbe oltrepassare persino i confini delle crome; e il conte sorrideva. E poi c'è il mago, il gran mago dell'archetto, quel diavolo di Tartini, che v'ha sentito e vuol risentirvi. Dunque, se mai vi bastasse l'animo di dir no, dovrei credervi un uomo ben inflessibile...

- Il vostro desiderio, eccellenza, basta perch'io m'induca a far ciò che di solito non faccio di buona voglia; perchè, prima di farmi sentire in camera, amo che mi si conosca in teatro...

- Vi comprendo benissimo, e tanto più vi ringrazio; ma io so, e me lo disse più d'uno, che voi siete padrone dell'arte in modo, che la governate a vostro arbitrio e in camera e in teatro. Dunque v'attendo domani, così verso le quattro di notte...

- Io vi sarò senz'altro... e Amorevoli si licenziava, il quale non avrebbe certo accettato di far la sua prima comparsa in Venezia a quel modo, se non lo avesse sollecitato la brama di vedervi la contessa. In questo pensiero, giacchè erasi fatto tardi e per quella notte ei non sapeva in che luogo ridursi di Venezia, ritornò al suo alloggio allo Scudo di Francia. , giacchè l'albergatore gli aveva fatto portare in camera, siccome ne avea avuto l'ordine, una spinetta da nolo; trasse dal baule la sua biblioteca musicale portatile, e si mise a sfogliazzarla, onde cercarvi qualche cosa che potesse fare all'uopo per l'accademia del giorno successivo. Un'aria della Merope di Jomelli, per la quale il celebre napoletano tre anni prima aveva fatto impazzire tutta Venezia e gli era stato offerto un posto di direttore nel Conservatorio delle fanciulle povere; un'altr'aria dell'Achille in Sciro dello stesso maestro; l'aria celeberrima dell'Olimpiade di Pergolese, che già l'udimmo cantare nelle carceri del Pretorio a Milano. Un grande recitativo dell'Artaserse del Vinci, il maestro perfezionatore dei recitativi obbligati. Alcuni madrigali dell'abate Steffani, passato da Venezia in Germania ad educarvi Haendel, il quale si assimilò le più care imagini melodiche del maestro, e infuse per tal modo la psiche italica nell'astrusa compagine germanica; alcuni altri celeberrimi madrigaletti dell'abate Clari, sposati per lo più a giuocherelli di poesia erotica, ma squisitissimi di stile melodico. D'una in altra cosa, Amorevoli cominciò a provare qualche frase sottovoce, accompagnandosi alla spinetta; ma quando dalle arie passò al recitativo di Vinci, la musica declamata eccitandolo ad entusiasmo, gli fece mandar fuori tutta la sua voce piena, come se fosse alla ribalta d'un grande teatro.

Era la terza volta che Amorevoli riprovava una nota tenuta, un sibemolle prodigioso, alla risoluzione del sublime recitativo di Vinci, quando sentì batter crudamente alla porta della camera. Interrompere chicchessia, foss'anco l'uomo il più placido, nel fitto d'un'occupazione a cui mette tutto l'interesse e tutta l'anima, è il vero segreto di farlo prorompere in atti d'ira, di quell'ira che è deposta in petto a tutti i mortali anche i più linfatici, non essendovi differenza che nella dose. Amorevoli aveva avuto dalla natura una dose d'ira, come suol dirsi, normale, ma gli era stata accresciuta dalle suscettività teatrali e dalle diverse liti cogli impresarj, e dalle controversie coi vestiaristi, sempre incapaci ad accontentare un cantante; per di più essendo romano, da Transtevere, dov'era nato, aveva portato seco ne' suoi viaggi tutti que' modi risoluti e troppo espressivi onde quella frazione di popolo sa imprecare più di tutti i popoli del mondo. Quando adunque si sentì rotto in due il suo preziosissimo sibemolle da quell'importuna picchiata, mandò fuori una di quelle tali frasi, e in quel tono acuto e vibrato che gli era rimasto in gola... e nel tempo stesso andò ad aprire. Era un servo in livrea, con baffi, distintivo rarissimo in quel tempo, e che per lo più soleano portar coloro che, dopo aver servito a lungo nella milizia, si riducevano a mestieri ed a servigj comuni della vita, press'a poco come al tempo nostro, in cui quanti hanno portato sciabola o fucile al reggimento, o hanno inforcato un arcione, serbano nell'aspetto qualche marchio indelebile, pel quale si può quasi indovinare se furon soldati di cavalleria o di fanteria. Quel servo pertanto, con un accentaccio lombardo e con parole nelle quali, per indefinibili combinazioni, si sentiva un'incondita fusione di Milano, di Spagna e di Veneto:

- Il mio padrone, disse, è stracco, e vorrebbe dormire, e gli danno gran noia i vostri gridi. Però uomo avvisato, mezzo salvato.

A quell'intemerata così improvvisa e così villana, Amorevoli s'accontentò in prima di guardare quel servitore con tutto il veleno che gli potea schizzare dagli occhi, poi soggiunse:

- E chi è codesto capo di popone che ti simili incarichi? Esci tosto, o non avrai tempo di contare i gradini di questa scala, tanto di fretta io te li farò fare. - E senza più, richiuse i battenti dell'uscio sulla faccia del servitore, e rimessosi alla spinetta, tornò al suo recitativo, azzardando un do sopracuto di petto, che parea voler trapassare il soffitto della camera...

Ma chi era quel servo, e a nome di chi veniva? Già noi non intendiamo di fare una sorpresa; son cose presto indovinate. Lo Scudo di Francia era allora tra' più sontuosi alberghi di Venezia. Il conte V... ch'era entrato la sera in città, in quella barca precisamente della quale la contessa Clelia, non presaga di nulla, aveva veduto alla lontana luccicare il fanale, era disceso a prendere alloggio a quell'albergo appunto, e in compagnia del suo più fido servo, il quale era già stato suo caporale al reggimento. Preso uno degli appartamenti più ricchi dell'albergo, abitava il piano superiore a quello ove Amorevoli s'era acconciato. La combinazione può parere strana per coloro a cui tutto riesce improbabile. Ma il tenore non era poi obbligato a prendere alloggio in una bettola, e il conte, per quanto fosse conte e colonnello, non aveva diritto nessuno di alloggiare nelle camere del Doge. Onde se si trovarono ambedue in quell'albergo, la cosa è tanto verosimile, che quasi sarebbe inverosimile la sua contraria. Ma di ciò non è questione. Il conte V... era dunque venuto a Venezia con intenzioni terribili... in questo almeno era logico: o non muoversi affatto da Milano e bever l'onda di Lete, ciò che invero sarebbe stato atto prudentissimo, chè il suo decoro, non ne andava di mezzo per nulla; o, giacchè erasi mosso, doveva averlo fatto per qualche cosa. Lungo il viaggio aveva meditati, come sappiamo, o almeno come si può congetturare, cento progetti, che tutti gli pareano eseguibili e tosto: ma appena furon tolte le distanze, che a lui erano sembrate il solo ostacolo all'ira sua ed alla sua vendetta, se gli rimase l'ira, si trovò impacciato sul modo di scaricarla agli altrui danni. Bastonare, frustare, sfregiare in qualche modo l'effeminato e petulante e plebeo cantore, com'esso lo chiamava, era il voto supremo della sua mente in ebollizione, ma bisognava pure che si presentasse un'occasione. Bene si ricordava dello sfregio fatto a Voltaire da quel tal duca irritato dalle sue punture; ma cogliere un uomo all'impensata e farlo bastonare da mani prezzolate gli pareva un'azione vilissima, e indegna di cavaliere e di soldato. Dovevasi pertanto cogliere un'occasione plausibile; ma per coglierla era necessario che l'occasione venisse e spontanea e tale, che il mondo potesse dire: - È giusto che colui sia stato bastonato. - E in quanto alla contessa?... Ahimè, che pensando a lei il colonnello si smarriva in un abisso di dubbj.

Ei non era determinato, focoso, innamorato, geloso come Otello. Non era assassino come Pietro de' Medici; non efferato come il duca di Guisa; non era cupo e taciturno come Nello della Pietra; non longanime come il Lopez dalla vendetta segreta; bensì in quel suo testone di ceppo e in quel suo cuoraccio da galantuomo era una miscela di tutti questi ingredienti. Ma val più una goccia di acido prussico a produrre i subiti effetti, che dodici elementi che si faccian guerra a vicenda; onde egli si affannava senza costrutto e senza mai sapersi determinare a cosa nessuna; al pari del tenore Amorevoli aveva anch'esso, in quella sera, pagato lautamente, se non un gondoliere, un servitore di piazza, per sapere tutto quello che gli occorreva di sapere; per questo i denari erano stati mal spesi; col verboso cicerone era stato in gondola a visitare i luoghi, il rio san Polo, il palazzo Salomon, la scalea, la finestra, la porta del lato della calle, tutto. Ma più raccoglieva notizie e mezzi, insomma più innoltrava nella via ch'egli aveva cercato, e più crescevano le sue irresoluzioni. Se non che, nel fitto appunto di quelle sue accalorate consulte, sente un suono di spinetta di sotto a , poi un cantare sommesso, poi una voce che si snoda e si alza, e si diffonde in vibrazioni acute.

Gli pare e non gli pare; chiede a stesso: chi è mai costui? e, chiamato il servitore, fa domandare il cameriere.

- Chi è costui che a quest'ora grida come se fosse in teatro?...

Il cameriere mal comprende, non tanto le parole del conte, quanto il piglio sdegnoso onde le pronuncia.

- Eccellenza... è uno dei più celebri cantanti del giorno... Tutti i forestieri che alloggiano qui... son discesi tutti nel salone che è presso le sue camere, per sentirlo più dappresso, e tutti fanno le meraviglie e vanno in solluchero, e si chiamano fortunati d'essere venuti ad alloggiare qui, e poterlo udire prima che canti in teatro, chè egli è la prima volta ch'ei ci capita a Venezia.

- Ma chi è dunque?

- È il tenore Amorevoli, per servirla.

E il conte che già ne avea un sentore, non fece atto di meraviglia nessuna; e rivolto al servo-caporale ch'era presente:

- Va tosto abbasso, gli disse, e di' a costui che a quest'ora altri dorme qui, e non vuol essere messo in soprassalto da' suoi strilli.

Il cameriere s'intrometteva per impedire un tale atto, ma il conte-colonnello:

- Va dunque, ruggì al servo-caporale, e bada di non far complimenti. Parla chiaro e risoluto... e se non obbedisce la vedremo.

Il servo, come sappiamo, fece quel che fece, ma quando venne respinto dal tenore, non sapendo che risolvere, perchè di fuori erano molti camerieri che adocchiavano, risalì agli appartamenti del padrone a riferirgli la risposta... Il conte stava in ascolto... quando gli giunse all'orecchio quel do di petto sopracuto che lo fece spiritare, onde, senza rispondere, discese precipitoso e formidabile, come un orso che affamato si rotola dal monte se mai gli venga veduto un giovenco sbandato alla campagna. Discese e bussòforte, che Amorevoli dovette aprire... e si vide innanzi, non certamente aspettato... il conte grande e grosso e fiero, il conte che molte volte dalla ribalta aveva veduto in palchetto.

 




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