VII
Che la vista improvvisa del conte V... facesse
un'ingratissima sorpresa ad Amorevoli, ognuno lo può credere senza fatica. Si
scolorò nel viso, fece un passo indietro perplesso, e, in una parola, mostrò di
fuori tutti i segni di chi si lascia cogliere dal timore; ma tutto dipendeva
dalla sorpresa.
- Or che si fa? gli disse il conte.
È così vero che l'effetto della musica deriva tutto dal
colorito, che quella domanda del conte, per sè stessa così semplice,
fece avvicinare di qualche passo all'uscio della camera d'Amorevoli i camerieri
che si trovavano là presso e i forestieri ch'eran discesi, chè l'inflessione
della voce e l'accento fece parer terribili quelle pur così insignificanti
parole.
Un momento di riflessione però era bastato perchè Amorevoli
si rimettesse, come suol dirsi, in sella, onde a quella domanda del conte:
- Si canta e si suona, rispose.
- Fango salito in scanno, al cospetto di chi credi tu di
trovarti?
- Al cospetto di chi meriterebbe discendere dallo scanno nel
fango.
Il conte fece un passo innanzi, e la mossa fu tale, che i
camerieri accorsero e lo trattennero.
- Ma, disse allora Amorevoli, che pretendete da me, signor
conte? Con che diritto vi siete fatto lecito di mandare ad insultare un uomo
dabbene? Io sto nella mia camera, io attendo a' fatti miei e all'arte mia, e se
momenti fa colla voce potevo ferire l'orecchio altrui, pregovi a pensare che
non è mezzanotte e siamo in Venezia, e di quest'ora gli è come si fosse di
mezzodì, in un'altra città. Le costumanze, i convenevoli, i riguardi li conosco
al pari di chicchessia. Se mi aveste mandato a pregare coi modi del gentiluomo,
meno male, vi avrei esaudito; ma invece quel vostro domestico si comportò di
maniera, che fu assai se non l'ho spinto rotolone giù per la scala. Del
rimanente, se in poco o in nulla vi credete offeso, io son qui pronto a darvi
qualunque soddisfazione.
- E quali soddisfazioni mi puoi dare tu?
- Quelle dell'uomo onesto in faccia a chi vuol dar
spettacolo di coraggio.
- Ma giacchè ti vanti di conoscere i convenevoli e le
prammatiche, non sai tu, istrione vilissimo, ch'altri offende se stesso
misurandosi co' pari tuoi?
- Pari o no pari, questa la xe ona prepotenza da sior
Lelio...
Chi diceva queste parole era un giovane di vent'anni, poco
su poco giù, il quale vestiva l'assisa di soldato di marina. S'era trovato là
ad udire insieme cogli altri forestieri; ed avendo preso notizia del fatto, e
parendogli quella del conte un'insopportabile soperchieria, non potè più contenersi,
e strillò quelle sue parole con fremebonda concitazione. Il conte si volse, e:
- Chi m'interrompe? disse.
- Angelo Emo, nobile di nave, disse il giovine uscendo dal
crocchio, e saettando la sua giovane pupilla nella pupilla torva del conte.
Era esso davvero quell'Angelo Emo, il futuro assediatore di
Tunisi, colui che gloriosamente doveva chiudere la serie degli ammiragli della
serenissima repubblica. Di quel tempo, uscito appena dalla istituzione del
Bilesimo consultore della Repubblica, del padre Lodoli, altro consultore, e del
celebre Stellini, era entrato da pochi giorni nella carriera marittima, nella
qualità appunto di nobile di nave, tirocinio che si faceva durare quattr'anni,
col saggio intendimento che i giovani alunni unissero la pratica alla teoria.
Di que' giorni egli stava coll'equipaggio lungo le coste dell'Adriatico, e
avendo sentito com'era aspettato a Venezia il conte Algarotti, che fanciullo
egli aveva conosciuto nella casa paterna, impetrò dal capitano di nave il
permesso di venire a Venezia; e siccome il padre, per essere riformatore degli
studi, stavasi a Padova colla famiglia, egli avea preso alloggio all'albergo
dello Scudo di Francia.
- Or come c'entrate ne' fatti altrui? disse il conte al
giovine soldato.
- Quand'uno offende un altro senza ragione e con violenza,
tutti hanno diritto d'immischiarsi ne' fatti dell'uno e dell'altro. In
conclusione, che v'ha fatto quel signore? Chi mai poteva imaginarsi che la
musica vi dovesse far abbaiare alla luna come un cane da presa? O quel signore
v'ha offeso, o voi avete offeso lui... Fin qui non c'è nulla di straordinario.
Ciò che v'ha di strano si è ch'egli si dichiari disposto a darvi ogni
soddisfazione... e voi la rifiutate. E che vorreste dunque?... ch'egli si
ammazzasse per rispetto alla vostra corona di conte?
- Ragazzo, bada, ch'io non torca su di te l'ira che mi venne
da lui!
- Ed ora son io che vi chiedo soddisfazione, signor
conte!... Or non vi può soccorrere la scusa della mancanza di parità fra noi...
Voi siete conte ... lo credo perchè lo sento a dire, e poco me ne importa ...
In quanto a me... i miei avi furon reggitori di quest'isole quando primamente
si congiunsero a città. Piero Emo fece prodigi di valore nella battaglia di
Chiozza. Altri si onorarono in ambasciate e in magistrature. Molti di quelli
che sono qui presenti sanno chi sono, e ponno fare testimonianza di ciò... però
raccogliete questo guanto.
E il giovinetto generoso, levatosi il guanto di daino, lo
gettò al piede del conte V... che lo raccolse e soggiunse:
- Sta bene. Or pensate al resto, perch'io non son di
Venezia, e non posso scegliermi i padrini in una città che non conosco.
Il lettore si ricorderà d'aver veduto qualche volta
addensarsi un terribile temporale al di sopra di un tratto di territorio, e
d'aver detto in cuor suo: non vorrei aver io il mio grano e le mie vigne colà;
ma d'improvviso il vento cangiar direzione alla procella stessa, e portar lo
schianto della gragnuola in quelle parti invece su cui alcuni momenti prima il
cielo si distendeva sgombro e tranquillo.
Quando il conte V... feroce e bestiale discese precipitoso a
percuotere con violenza la porta della camera d'Amorevoli, scommettiamo che la
metà almeno dei nostri lettori avranno ripreso fiato per assistere alla
truculenta scena del tenore fracassato e morto. E di fatto, una parola, un
gesto di più, qualche cameriere di meno, più radi forestieri e più placidi e
prudenti, una sola insomma di tali cause potea bastare a far iscattare la molla
d'una catastrofe tragica...
Ma invece un fil di vento e poche parole in dialetto
veneziano valsero a cambiar la direzione delle cose. - Omnia sunt hominum tenui
pendentia filo; e se Amorevoli potè scampare dal pericolo, per verità che quasi
aveva l'obbligo di far cantare un Te Deum in San Marco.
Del resto, in una relazione storica, scritta nel secolo
passato da un Cadorin padovano, dove è parlato di Angelo Emo, è riferito
codesto fatto del duello ch'egli ebbe nella sua prima giovinezza con un nobile
lombardo.
Ed ora tornando a noi, quando il conte V... ebbe raccolto il
guanto, il giovine Emo, con quella delicata cortesia che accusava in lui e
mente e cuore fuor dell'ordine comune, disse, rivolto ad Amorevoli:
- Mi perdonerete, signore, se io ho voluto per ora togliervi
di mano il fioretto. Ma al tempo non manca mai il tempo.
- Per me sono sempre
disposto a ripigliare il vostro, quando l'abbiate adoperato. La mia nobiltà sta
nell'arte mia e nella mia vita senza rimproveri. Quando il conte accetti, io
sono sempre qui ad attenderlo.
Il conte non fece motto. Angelo Emo soggiunse qualche altra
gentilezza ad Amorevoli, poi scambiate alcune parole con alcuni amici che gli
stavano intorno, due di questi si mossero ed accostatisi al conte V...
- Adesso, gli dissero, giacchè noi per parte del nobile Emo
lo assisteremo sul terreno come padrini, voi sceglierete i vostri fra que'
quattro gentiluomini là, che sono parati ai vostri comandi, e intanto ci
ritireremo a trattare del come e del dove.
Così tutti si ritrassero, mentre Amorevoli si rinchiuse nel
suo camerino.
E intanto noi balzeremo da questa notte alla notte
successiva per assistere, nel palazzo Pisani, alla lanterna magica, dove si
vedranno a passare l'un dopo l'altro i letterati, poeti, i pittori, i musici,
Le donne, i cavalier, l'armi, gli amori
onde in quel tempo Venezia brillava fra le città d'Italia.
Nè ciò sarà fatto a caso, perchè colà si offriranno forse le occasioni per
isciogliere nodi a cui il lettore probabilmente tien l'occhio.
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