I
Il giorno ventitrè o ventiquattro maggio salv'errore, un
lungo strato di paglia copriva quasi tutto il selciato della via*... Peccato
che gl'importuni riguardi ci proibiscano d'indicarla.
Le carrozze, i carri, le carrette cessavano di far rumore
appena impigliavano le ruote in quello strame. La qual cosa, tanto allora come
adesso, voleva dire che giaceva là presso gravemente ammalato un beneficiato
della fortuna. La ricchezza, lo sfarzo, la vita gaudente, persino l'orgoglio e
la prepotenza fanno men crudo senso sulla moltitudine di tale insegna di
ricchezza, la quale in fine non è che un'insegna di paglia; - e la povera plebe
che ha consumata per sè stessa tutta la sua pietà, si ricatta spesso, e nel
passare, lanciando all'illustrissimo infermo crudeli epigrammi. Però, se noi
fossimo ricchi, faremmo collocare verso corte o verso i giardini il nostro
letto, e lasceremmo la paglia a suo luogo, a placare così la pubblica
maldicenza, e ad aspettare in segreto che la dea salute tornasse a confortarci,
senza fare oggetto di spettacolo pomposo persin la febbre e il vomito e il
secesso.
Ma chi giaceva allora a letto obbligato da questi tre
incomodi era il conte F..., fratello del defunto marchese.
- Come sta il signor conte? diceva un tale al guardaportone,
il quale stava dondolandosi sulla soglia del palazzo.
- Male, sempre male, anzi
peggio: oggi a mezzodì si terrà consulto tra gl'illustrissimi signori dottori
Bernardino Moscati, Guglielmo Patrini e il dottor Bartolomeo Gallaroli, che è
il medico della casa.
- Che Dio vi scampi dai consulti... ma già questo di solito
è il malanno di chi ha il diritto di levar colla paglia il rumore delle
ruote... Più crescon le cure e le premure, più crescono i pericoli.
E a queste parole s'attraversava la domanda d'un altro, che
passava:
- Come sta il signor conte?
- Trattasi di un consulto...
- Più che la medicina sarebbe meglio consultare la carità,
la medicina dell'anima, la quale non tarderebbe a dirgli che, per guarire,
bisognerebbe fare qualche atto di beneficenza, e non lasciar nella miseria la
madre del figlio di suo fratello...
- Queste cose andate a dirle a chi vi piace, non a me che
mangio il suo pane...
- Voi parlate bene... ma il vostro padrone opera male. Però
state di buon animo, che se mai venisse a morire, come pare che voglia
succedere a tutti gli indizj, non saranno pochi quelli che in Milano berranno
alla salute dei medici che lo hanno accoppato.
Come dunque ora ha sentito il lettore, il conte F... non
avea nessuna buona fama presso i suoi concittadini. Di lui e delle sue qualità
caratteristiche non si conoscevano che l'avarizia fastosa e l'orgoglio. Era
tradizionale il cattivo credito in cui era tenuto il suo casato, fin dal
bisavolo che aveva tormentati i figli cadetti per concentrare nel primogenito
tutte le ricchezze. Codesta, come sanno i nostri lettori a sazietà, costituiva
allora un modo impreteribile nell'economia della ricchezza patrizia; ma v'erano
tuttavia diversi mezzi di farla valere, e i mezzi adottati da quel bisavolo
furono de' più disumani. Bensì un ricchissimo parente, il quale non aveva avuto
buon sangue con quel tristo antenato, per fargli dispetto, lasciò erede di
tutto il proprio un suo figlio secondogenito; (chè troppo spesso nei
testamenti, i quali, essendo fatti in fin di morte, dovrebbero pure essere atti
di purificazione di tutta la vita, si condensa invece tutta l'acredine morbosa
d'una mala esistenza). E colui vincolò la cosa in maniera che, rimanendo senza
figli il suo erede, la sostanza dovesse passar sempre
al secondogenito. In virtù di questa disposizione, il conte F..., dopo avere,
nella sua qualità di secondogenito, odiato per cinque anni il primogenito
marchese, e vissuto in continuo timore che lo zio non morisse abbastanza in
tempo, e potesse mai congiungersi ad una moglie feconda, ebbe finalmente la
consolazione di sentirsi annunciata la morte dello zio, e di andare al possesso
di quelle sostanze che gli si competevano per diritto.
Questo fatto, togliendo di mezzo le funeste disuguaglianze,
avrebbe dovuto scemargli l'avversione ch'egli avea pel fratello marchese; ma
fosse che, duratagli in petto tanti anni, quella fosse passata in istato
cronico, o il pingue cibo gli avesse cresciuta la fame; dal giorno precisamente
in cui diventò ricchissimo, cominciò a pensare, struggendosi di desiderio, come
il casato F... sarebbe stato il più ricco di Lombardia... se le sostanze del
marchese e le proprie si fossero unite in una facoltà sola. E a questa
considerazione tormentosa dava ansa il fatto che il marchese viveva una vita
scostumata e discola, e non aveva un pensiero al mondo d'accasarsi con nessuna
patrizia nè di Milano nè di fuori. I luoghi comuni e le tirate sulla virtuale
ferocia dell'ambizione si trovano in tanta copia presso tutti gli autori di
commedie e di tragedie e di racconti morali, che torna affatto inutile una
nuova dimostrazione delle sue attitudini spaventose, segnatamente dopo la
famosa parlata del convenzionale Aristodemo; però, il lettore può farsi capace
dello stato dell'animo del conte F..., e come avesse tremato ad ogni annuncio che
il marchese prolungasse di troppo i suoi amori colla tale e colla tal'altra; e
come si fosse consolato alla novella ch'erasi finalmente risoluto di mandar al
diavolo colei che avea tenuto il segreto di dominarlo più di tutte; e come
avesse provato gli effetti di un colpo apopletico quando sentì che una amante
di colui aveagli partorito un figliuolo, ed egli erasi acconciato a conviver
con essa e con esso; e come un contraccolpo apopletico gli fosse minacciato dal
giubilo che lo fece trasalire alla notizia che il suo fratello, come Abramo,
avea finalmente ripudiata quell'Agar in uno col suo Ismaele; e come poi
gl'imperversasse nell'animo una vicenda tormentosa di timori e di speranze,
quando, percosso il fratello marchese da lunga e penosa malattia, il conte
sentì a vociferarsi d'intorno che il prevosto di San Nazaro, cogliendo al varco
la di lui natura, fatta più mite dal malore, lo avesse consigliato a non
lasciare in balìa della fortuna l'innocente fanciullo ch'esso ebbe dalla
infelice Baroggi, e come anzi per dettatura del notajo Macchi avesse scritto di
proprio pugno un testamento a favore di quel fanciullo medesimo.
Tutto il resto è già noto al lettore. Gli rimane però a
sapere che l'agente di casa F... il quale fu l'uomo adoperato dal conte per
tentare il lacchè Suardi, era un tal Giorgio Rotigno, che conosceremo meglio a
suo tempo. Ora, se il marchese F... erasi messo a letto molti mesi prima, per
lasciarsi consumar lentamente dalla ricomparsa di un antico morbo ribelle ad
ogni cura, il conte s'era messo giù invece alquanti giorni prima della partenza
per Venezia del conte V... e del fratello della contessa Clelia, per malattia
violenta sopraggiuntagli in giorno di venerdì, dopo aver fatto un lauto pranzo
di magro.
Ma il mezzogiorno stabilito pel consulto non era lontano, e
alquanti servitori di casa F... stavano sulla porta attendendo che venissero i
due medici consultori e il medico della cura. - Ed ecco che non si tardò a
sentire il lontano rumore di una carrozza, la quale dal lastrico e dall'acciottolato
svoltando nella via sullo strato di paglia, smorì in un fruscìo lento e
maestoso, e si fermò davanti al palazzo. Era la carrozza del dottor Gallaroli,
che dopo pochi minuti venne raggiunta da quella del dottor Bernardino Moscati,
e infine da quella del medico-chirurgo Patrini. I passeggieri si erano fermati
a veder discendere quelle tre celebrità mediche. Il dottor Moscati, padre di
Pietro, era un vecchio alto, secco, arcigno, angoloso. La moltitudine lo
guardava con venerazione insieme e con spavento.
Esso era professore d'anatomia nell'ospedale maggiore, e
veniva chiesto a consulto in molte città anche fuori del Ducato nei casi
gravissimi di malattie. Patrini era professore di chirurgia pratica, temuto anch'esso
per l'imperterrita asprezza, ond'era fama che sgomentasse gli amputandi per
averli docili e immobili sotto al ferro operatore. Dalla scuola di lui e del
Moscati doveva poi uscire il celebre Paletta. Il dottor Gallaroli era un ometto
rubicondo e allegro, ricercatissimo in tutte le case cospicue e un po' agiate
della città, perchè dicevasi che guariva spesso gli ammalati colla sola sua
presenza e col buon umore onde purgava l'aria mefitica delle stanze da letto.
Smontati i dottori dalle carrozze, e scomparsi dalla vista del pubblico, la
ragazzaglia, com'è consueto, si fermò a vedere le rispettive carrozze e i
cavalli.
È difficile a spiegare il fenomeno, ma le bestie domestiche
ritraggono assai del carattere dei loro padroni, o diremo più giusto, della
professione dei loro padroni; segnatamente i cavalli da tiro che stanno lungo
tempo al loro servizio. Il cavallo di un medico, inquartato e ben pasciuto, ha
qualcosa di solido, di posato, di severo, che impone alle moltitudini press'a
poco come il cavallo d'un arciprete. Un occhio avvezzo, senza conoscere il
padrone, può distinguere al corso e tra la furia delle carrozze il cavallo del
medico dal cavallo del sensale, da quello del patrizio titolato, e perfino può
distinguere le gradazioni d'indole e d'età di coloro che stanno in carrozza. E
i tre cavalli dei tre dottori, a cui la ragazzaglia facea circolo, confermavano
più che mai codesta nostra opinione. Tutti e tre dell'altezza di più che
trent'once, tutti e tre gravi e vecchiotti e un po' meditabondi, parevano dire,
in loro tenore, al vulgo profano: rispettateci che siamo al servizio della
scienza. Oggidì chi volesse fare tali studj sui cavalli dei medici non
troverebbe quasi più gli animali da studiare. Non sappiamo perchè, ma oggi la
medicina va tutta a piedi. Non vi sono che i cavalli dei medici-condotti, ma
essi partecipando della condizione de' loro padroni, non sono più
riconoscibili, tanto sono maltrattati; e i cavalli di quei medici che, essendo
nati ricchi, sarebbero andati in carrozza anche senza la medicina, sfuggono
all'analisi ed alla fisiologia. Sarebbe dunque un problema nuovo e curioso:
"Valutare la condizione attuale della medicina, non come scienza, ma come
professione, dal semplice punto di vista dei
cavalli da tiro, ed esibire considerazioni e suggerimenti in proposito."
Ma lasciamo i cavalli a scalpitare dignitosamente sulla
paglia accumulata, e vediamo di poter assistere, per nostra istruzione, al
consulto medico.
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